Ho fatto un e-book. Cioè l'ha fatto il mio consorte, riuscendo anche a convinvermi che me lo faceva per esercitarsi, nel suo interesse, più che nel mio. Il racconto, comunque è mio. Non è una novità, gli affezionati di Fata Morgana forse l'hanno già letto. È stato anche messo in rete in forma incompleta da Delos, perché vincitore della prima edizione del premio Omelas sulla SF e i diritti umani. Col che ho già svelato il tema sottotraccia. Ma non si tratta di un racconto a tesi, non sono proprio capace di scriverne. Cielo clemente è stato inviato a Omelas DOPO, per consonanza con l'iniziativa, constatando che sì, effettivamente era adatto.
batteri luminescenti fotografati al buio e in luce
A essere sincera ho scritto Cielo clemente perchè:
1. la biochimica – insieme alla lettura e, molto dopo, alla scrittura – è la passione della mia vita
2. perché ero in credito di tempo ed energia verso la luminescenza, un argomento su cui avevo lavorato un po' dopo la laurea, senza ottenere grandi risultati.
3. perché il tema di fata Morgana di quell'anno era «Nuvole». A me i cieli nuvolosi piacciono, soprattutto certi cieli del nord Europa o i cieli di montagna, con le nuvole che nuotano veloci in una cielo azzurro mare… Ma un conto è amare le nuvole, un conto è averne assolutamente bisogno… Così è nato Cielo clemente, che è anche una rivisitazione in tono minore del tema del vampiro.
Comincio
con una precisazione: sensazione e percezione non sono sinonimi. Sono
sensazioni tutti i segnali trasmessi al sistema nervoso dagli organi
di senso (i cinque sensi, più i cosiddetti «propiocettori», cioè i recettori che fanno il monitoraggio della situazione interna).
Per percepire, invece, occorre che il sistema nervoso centrale
elabori le sensazioni, individuando quelle «interessanti» e
integrandole con i ricordi; in poche parole la percezione, per quanto
condivisibile con altri individui, è un'operazione individuale.
Bene.
Certe percezioni, nella nostra mente, vengono associate a situazioni
di pericolo, di stress, ad angoscia o a ricordi spiacevoli/dolorosi.
Senza tirare in ballo situazioni particolarmente difficili,
immaginiamo momento mediamente stressante, come il dover sostenere un
esame difficile. Che cosa accade nel nostro organismo?
Ma come siamo fatti dentro?
Be'
per rispondere alla nostra domanda, occorre q1ualche nozione di
anatomia del sistema nervoso... poche poche, però.
Date un'occhiata
alla figura a fianco: il diencefalo, che
somiglia a un tronco di piramide capovolto, alla base minore
presenta, tra l'altro, due nuclei: talamo e ipotalamo, e
quest'ultimo è collegato con l'ipofisi. L'ipofisi è una
super ghiandola i cui ormoni regolano l'attività di tutte le altre
ghiandole endocrine dell'organismo. Così, tramite neurotrasmettitori
prodotti dall'ipotalamo e diretti all'ipofisi, viene mantenuta una
stretta connessione tra le attività del sistema nervoso e quelle del
sistema endocrino. Un altro ruolo chiave del diencefalo è quello di
relè nei confronti del cervello: raccoglie input sensoriali
provenienti da tutto il corpo, e le smista alle aree specifiche del
cervello.
C'è
un'altra cosa da osservare: oltre al sistema nervoso centrale (SNC) e
al complesso di nervi motori e sensitivi che formano il sistema
nervoso periferico (SNP), noi possediamo altri due sistemi che
insieme formano il Sistema nervoso autonomo (SNA): il simpatico
(formato da nuclei nervosi che scorrono a lato della colonna
vertebrale) e il parasimpatico, formato da nuclei che sono
all'interno del midollo spinale, ma, appunto, autonomi. I due sistemi
sono antagonisti e complementari: gli impulsi di uno aumentano
l'attività di un organo, quelli dell'altro la rallentano (No, uno
non è sempre attivatore e l'altro inibitore, dipende!) Nella figura
potete vedere su quali organi agiscono. Ma perché due? E non bastava
il SNC? Intanto, come dice il loro nome, SNA, i due sistemi
esercitano effetti indipendenti dalla nostra volontà, sgravando la
corteccia di compiti per così dire vegetativi. Inoltre,
due sistemi invece di uno garantiscono un controllo più fine.
Fine
della lezione di anatomia.
Allora,
tramite il diencefalo (talamo- ipotalamo- ipofisi) e i gangli del
sistema nervoso simpatico, la zona midollare delle ghiandole
surrenali (vedere figura) e specifiche regioni cerebrali
scaricano nel circolo sanguigno rispettivamente adrenalina e
noradrenalina. Questi due ormoni (definiti «dello stress»)
hanno la funzione di preparare l'organismo o alla lotta o alla fuga
(fight or flight); in pratica agiscono aumentando la pressione
sanguigna, il battito cardiaco e il metabolismo di zuccheri e grassi
per fornire energia ai muscoli e al cervello.
Negli
emisferi cerebrali, però, adrenalina e noradrenalina agiscono a
livello delle sinapsi, disturbando fino all'impedimento i
collegamenti tra i vari neuroni.
La
loro funzione, che condividiamo con tutti i mammiferi, non è - come
pare - quella di farci uscire di testa mentre avremmo bisogno di
pensare, ma un meccanismo di sopravvivenza: nel momento dell'azione
le riflessioni non servono. Parafrasando un noto detto napoletano, o'
muscolo non vuo' penzieri. In
fondo l'azione degli ormoni si è affinata nei mammiferi in un
periodo in cui esami e quiz televisivi non esistevano ancora... Certo
che questo retaggio del nostro passato evolutivo è ormai inadeguato
per noi animali «culturali».
Circuito surrenali-iptalamo-ipofisi in mammifero. Pituitaria = ipofisi
Nella
nostra società complessa, un attacco (nor)adrenalinico, con
relativo blocco della capacità di ragionare lucidamente, talvolta
può essere catastrofico, ma di solito causa disturbi di breve
durata. Altri ormoni surrenali, però, provocano vere e proprie
patologie. È il caso dello squilibrio tra cortisolo(ormone prodotto dalla zona corticale
delle ghiandole surrenali e ACTH
(l'ormone ipofisario che stimola la zona
corticale)
Sia
il deficit, sia l’eccesso di ACTH disturbano l’apprendimento di
contenuti e comportamenti nuovi; ad esempio l'eccesso di ACTH provoca
un irrigidimento dei contenuti appresi, impedendo così
l’acquisizione di nuove informazioni.
Non mi ricordo...
Esistono
poi le alterazioni della memoria vere e proprie, ossia riduzioni (e
talvolta accrescimento) più o meno gravi della capacità di
ricordare Nei soggetti con Disturbo Amnestico è compromessa la
capacità di apprendere nuove informazioni, e/o quella di ricordare
informazioni apprese in passato. Una caratteristica piuttosto comune
è quella di preservare i dati acquisiti nel lontano passato, e per
primi quelli più recenti.
Le
cause dell’amnesia possono essere molteplici: un intervento
chirurgico sul lobo temporale, una intossicazione cronica da alcool,
traumi cranici, encefaliti, insufficiente ossigenazione, tumori e
disturbi vascolari, somministrazione di farmaci antipsicotici. .
Il
disturbo amnestico persistente è dovuto ad abuso di sedativi
(ipnotici o ansiolitici), o di alcolici. All’abuso di alcol è
correlata una tipica forma amnestica classicamente descritta come
sindrome di Korsakoff. In questa patologia, riscontrabile in
alcolisti cronici, sono presenti difficoltà sia a memorizzare nuovi
eventi, sia amnesia per gli avvenimenti lontani nel tempo, precedenti
all’instaurarsi della malattia. In questa forma morbosa i fenomeni
di confabulazione hanno un significato compensatorio. Il soggetto
elabora falsi ricordi per coprire la propria amnesia e rispondere in
qualche modo alle esigenze sociali della situazione in cui si trova.
I
disturbi della memoria possono essere di natura sia quantitativa, sia
quantitativa.
Carrà: Ovale e apparizioni
Alterazioni
quantitative:
L’ipermnesia
è un aumento delle capacità mnestiche; può essere a) permanente, con capacità
globali o settoriali – cifre, date, poesie – al di sopra della media; non ha nulla a che fare con l'intelligenza» e può essere posseduta anche da fenomeni come gli idiots savants; b) transitoria, di solito connessa a stati emotivi alterati (stress, isteria, crisi epilettiche, gravi spaventi) o intensi attacchi
febbrili, lesioni cerebrali, ipnosi e riguarda ricordi normalmente non accessibili alla coscienza.
L’Ipomnesiaè invece un progressivo indebolimento della memoria, associata
spesso a impoverimento dei neuroni dovuto all'età avanzata, a
patologie neurologiche, a ipossia.
Alterazioni
qualitative
La
Paramnesia è un’alterazione per la quale i
ricordi vengono deformati nel contenuto, nel significato e nella
collocazione spazio-temporale. Le tipologie sono:
a) reminiscenza o rievocazione senza riconoscimento, ad esempio un ricordo
riemerso non viene riconosciuto come tale ma scambiato per un'idea
nuova;
Van Gogh, Les Alyscamps, ricordo personale
b) pseudoreminiscenza o rievocazione immaginaria
(cioè non dovuta a un ricordo) o un’esperienza psichica
vissuta realmente ma ricordata con contenuti diversi da quelli reali. I
falsi ricordi sono produzioni compensatorie da parte di soggetti con gravi lacune mnemoniche. La falsificazione
può essere dovuta a imbarazzo (il soggetto cerca
di mascherare un vuoto di memoria consapevole) oppure fantastica, se
il soggetto descrive esperienze avventurose e
fantastiche; è tipica del deterioramento organico da abuso di alcool
(Sindrome di Korsakoff). In sintesi è una condizione simile ai sogni ad occhi aperti;
c) ecmnesia o deformazione temporale, ossia lo
scambio di ricordi dell'infanzia per ricordi attuali. È tipico della
demenza, delle lesioni cerebrali o un effetto di
allucinogeni;
d)
il déjà vu: si verifica quando una situazione nuova
viene percepita come «già vista» e vissuta con la sensazione di sapere che cosa accadrà dopo. Questi
fenomeni se associati a crisi epilettiche o isteriche possono durare
ore, giorni. Nei soggetti «normali», però, durano solo qualche
secondo. La scienza spiega questa sensazione di errata familiarità
in tre modi: 1. un errato collegamento a esperienze passate causato
da situazioni parzialmente simili; 2. la continuazione di uno stato
emotivo precedente causato da una difficoltà di adattarsi al
contesto presente; 3. il ricordo di fantasie inconsce riattivato
dagli stimoli presenti.
Simili
al déjà vu sono il déjà entendu (ho già ascoltato
queste parole, questi suoni), il déjà fait (ho già fatto
questi gesti) il déjà
pensé (ho già formulato questo
pensiero).
e)
il jamais vu o misconoscimento, cioè la percezione di
situazioni ben note come nuove ed estranee. È associato alla
schizofrenia, alle crisi epilettiche, all'uso di droghe o a particolare affaticamento.
I
disturbi della memoria sono anche il sintomo che consente di riconoscere il
declino delle funzioni cognitive; nelle demenze, per esempio, la
degenerazione delle cellule cerebrali è il fattore determinante per
la diminuzione di funzioni come l’attenzione e l’apprendimento,
che sono essenziali per un buon funzionamento della memoria.
La protagonista è affetta da demenza senile
Le
amnesiesenili sono alterazioni «fisiologiche» (vale
a dire dovute alla vecchiaia e non a patologie o traumi) e si
manifestano con la difficoltà a ricordare nomi propri anche
familiari, a trovare oggetti di uso quotidiano; il soggetto fatica ad
acquisire nuove informazioni, a meno che non riguardino temi che lo
interessavano in passato, e nuove tecniche di pensiero. La brutta
notizia è che questo processo non comincia all'improvviso, in età
avanzata: è piuttosto una progressione, significativa già a partire
dal quarto decennio; la buona notizia è che la progressione è più
lenta in chi è abituato ad acquisire nuove informazioni nelle aree
di interesse personale. Già, a pensarci è profondamente ingiusto
che chi fa un lavoro «intellettuale» (di solito meglio remunerato)
abbia anche il vantaggio di restare lucido più a lungo, mentre chi
venendo da un'infanzia culturalmente deprivata ed economicamente
svantaggiata ha dovuto ripiegare su un lavoro manuale, ripetitivo e
logorante, sia anche condannato a una vecchiaia mentale precoce. Un
tempo invece di questi giri di parole si sarebbero scomodati termini
come povertà, sottoproletariato, sfruttamento. Ingiustizia sociale,
magari. Mi sento desueta. Dev'essere il virus del comunismo. Guarda
dove può portarti una chiacchierata sulla memoria...
Disturbi
associativi
Se
invece l’amnesia è funzionale - cioè compromette la
memoria autobiografica, in particolare i ricordi riguardanti
un'esperienza traumatica - siamo in presenza di un gruppo di disturbi
mentali definiti disturbi dissociativi. E siamo entrati nel terreno
suggestivo, ambiguo e narrativamente molto frequentato della
psicoanalisi.
Circa
una secolo fa, Freud postulò l'esistenza di un meccanismo conscio di
soppressione di alcuni ricordi. Il soggetto, in pratica, attua una
rimozione di particolari eventi di natura affettiva o conflittuale a
scopo difensivo.
Solitamente
l’Amnesia Dissociativa si
presenta come una lacuna (o una serie di lacune) reversibile nella
rievocazione di momenti della storia personale che non possono essere
recuperati in forma verbale. Un'amnesia
psicogena può riguardareavvenimenti specifici o un periodo di tempo (ore, settimane…). Può però riferirsi a tutta
la vita del soggetto; in questo caso, all'amnesia si sovrappone spesso
la «fuga dissociativa».
Fuga
dissociativa/DID
Questo disturbo comprende sia l’amnesia sia alterazioni
dell’identità: confusione, perdita
dell’identità o assunzione di un’identità nuova.
Il
disturbo dissociativo dell’identità (DID) assomiglia alla fuga, ma
il passaggio da un’identità all’altra e dai relativi sistemi di
ricordi autobiografici è ciclico. In questo caso si parla di
«personalità multiple»: caratteri indipendenti fra loro e a volte
contrastanti, che convivono nella stessa persona, ciascuna con il
proprio bagaglio culturale e autobiografico e con proprie attitudini
e orientamenti sessuali.
Una personalità multipla, quindi, sarebbe conseguenza di una
dissociazione di parte dei ricordi, attuata per
gestire situazioni particolarmente traumatiche e stressanti (ad
esempio un incidente, un abuso sessuale o fisico vissuto
nell’infanzia, il fallimento delle relazioni familiari ecc.), che il
soggetto, spesso molto giovane, non è riuscito ad affrontare con la
propria personalità originaria.
Il
DID fu «individuato»
all’inizio del 1800, con l'affermarsi di discipline quali la
psicologia e la sociologia; da allora sono stati descritti in
letteratura non più di 300 casi. L'interesse
verso questa sindrome è però sempre stato fortissimo anche fra i
non addetti ai lavori, come scrittori, autori di cinema e fiction
televisiva, perché il tema si addentra nel territorio – tipico
della narrativa fantastica – della trasgressione all'ordine biologico,
naturale e costituito: pensiamo, ad esempio, allo Strano caso del dr.
Jekill e Mr. Hide di R. L. Stevenson, splendida parabola sia dei rapporti
fra conscio e inconscio sia del nostro Io, scisso fra Bene e Male, ma
anche caso emblematico di doppia personalità.
Dopo
un primo momento di fama, il DID cadde nell'oblio fino agli
anni Settanta del XX secolo, con il caso di Sybil Dorsett descritto dalla
psicoanalista Cornelia B. Wilbur e presentato nel
testo Sybil (1973) da Flora Rheta
Schreiber. In cura per ansia e perdita di memoria, Sybil
manifestò 16 personalità che Wilbur incoraggiò a integrarsi. Considerato
dapprima un testo pioniere, il libro venne in seguito ritenuto fraudolento e infine riabilitato. IL DID, tuttavia, rimane un disturbo controverso: fra gli elementi più discussi il fatto che le diagnosi
sembrano confinate al Nord America e molto meno frequenti in
altri continenti, e la grande e fluttuante varietà di sintomi.
I rapporti fra le varie personalità spesso non esistono, a causa di
un’amnesia che impedisce a una personalità di ricordare le azioni,
le esperienze o perfino l’esistenza di un'altra. In qualche caso,
però, una delle identità è (o lo diventa durante il trattamento)
consapevole dell'esistenza e dei ricordi delle altre. Questo è il
tema di un saggio estremamente suggestivo che citerò in seguito e su
cui vorrei soffermarmi in un altro post.
NON
RICORDO MAI I MIEI SOGNI!
(MA TANTO, A CHE COSA SERVONO?)
Perché
a volte siamo in grado di ricordare i sogni appena fatti e altre
volte no?
Qui
occorre un'altra (breve!) spiegazione.
Gli stadi del sonno, dalla veglia vigile (1) alla veglia rilassata (2) al sonno profondo (3 - 4) al R.E.M.
Quando
dormiamo non sperimentiamo sempre il medesimo stato. Il nostro sonno,
poniamo che duri otto ore, è un insieme di cicli che si susseguono
con una certa regolarità. Ogni ciclo è a sua volta suddiviso in
quattro fasi: uno stato di veglia vigile, nel quale la corteccia è
attiva e produce onde cosiddette Beta; uno stato di veglia rilassata,
che precede il sonno profondo, nel quale siamo in grado di meditare e
visualizzare obiettivi ed emettiamo onde alfa; uno stato di sonno
profondo.... e, infine, uno stato di sonno REM (una sigla che
conoscete di sicuro: Rapid Eye Movement), cioè la fase
«classica» del sogno e della meditazione profonda, nella quale vi è
una elevata interazione tra i due emisferi cerebrali e la corteccia è
percorsa da particolari onde lente, dette theta. Dopo un primo ciclo
completo, il soggetto addormentato torna alla fase tre, sale a quella
due, scivola ancora nella tre e poi nel REM. I cicli si ripetono tre
o quattro volte per notte. Fine.
Bene,
una ricerca italiana ha confermato che solo se il sognatore si
sveglia dalla fase REM ricorderà l'ultimo sogno fatto appena prima
del risveglio. Ma lo sapevamo già, diranno molti! Vero, questa non è
una novità, ma la ricerca, coordinata dal prof. De Gennaro, dice
molto di più e cioè:
1.
Che questo è lo stesso meccanismo riscontrato per la cosiddetta
memoria episodica durante lo stato di veglia.
In
pratica, indipendentemente dal fatto che voi abbiate accumulato i
ricordi in stato di veglia o in sogno, sono sempre le medesime aree e
gli stessi meccanismi a consentire l'accesso ai ricordi episodici.
Dice L. De Gennaro:
Quando
si chiede a una persona di ricordare fatti e situazioni apprese nel
corso della giornata la presenza di specifiche oscillazione
elettriche con frequenza lenta nelle aree frontali rende possibile il
ricordo di quell'episodio. Se questo non accade, la memoria
dell'evento apparentemente sarà perduta per sempre.
2.
Che il coinvolgimento del medesimo meccanismo sia nella memoria
episodica sia nel ricordo del sogno spiega il fenomeno dell'anoneria,
cioè la perdita di qualsiasi ricordo dei sogni dopo una lesione
delle aree deputate alla memoria episodica.
3.
Che, in realtà, l'esperienza del sogno non è limitata alle fasi REM
ma si riscontra anche nelle altre fasi del sonno; in questi casi il
ricordo del sogno non è legato alla presenza di onde theta ma
all'assenza di onde alpha, quelle tipiche della veglia. Non male,
vero?
Altre
notizie sui sogni ci vengono da uno studio secondo
il quale i
sogni sarebbero il modo in cui il cervello consolida nella memoria le
esperienze recenti, nel breve termine migliorando la capacità di
svolgere con efficienza specifici compiti e, nel lungo termine,
integrando l'informazione in esse contenute nel nostro repertorio di
comportamenti. Spiega Robert Stickgold, direttore della ricerca:
…
dopo
cent'anni di dibattiti sulla funzione dei sogni, questo studio ci
dice che essi sono il modo del cervello per elaborare, integrare e
realmente comprendere le nuove informazioni. I sogni sono una chiara
indicazione che il cervello che dorme sta lavorando sulle memorie su
una pluralità di livelli, ivi comprese le vie che permetteranno di
migliorare le prestazioni.
Secondo
i ricercatori, il
cervello che dorme sembra svolgere contemporaneamente due funzioni:
1. l'ippocampo elabora l'informazione che è rapidamente
comprensibile, 2. le aree corticali superiori tentano di applicare la
nuova informazione a compiti più complessi e astratti.
Il
nostro cervello, a livello non conscio, lavora sulle cose che ritiene
particolarmente importanti. Ogni giorno ci troviamo di fronte a una
tremenda quantità di informazione e di nuove esperienze. Sembrerebbe
che i nostri sogni pongano la domanda: Come posso usare questa
informazione per plasmare la mia vita?
STORIE AL CONFINE TRA IL SOGNO E L'OBLIO
Ora basta con lezioni e notiziole. Tutti noi amiamo le storie (e forse ne scriviamo anche qualcuna), quindi occupiamoci di
che cosa raccontano narratori e sceneggiatori sulle amnesie, sugli
stati dissociativi, le personalità multiple, i sogni.
Innanzitutto esaminiamo i temi tipici della narrativa fantastica
(dato che non butto mai via niente, riprendo un breve testo che ho
utilizzato molti anni fa, in un ciclo di incontri organizzati da CS Libri per gli studenti di una scuola
superiore):
1.
Temi che riguardano la percezione che l'«io» ha del »mondo. Il
loro denominatore comune è l'esplorazione dei confini tra materia
e spirito, un'esperienza che riporta a stati alternativi alla
veglia, come la follia, l'esperienza mistica, l'uso di droghe, il
sogno, la primissima infanzia. Narrativamente questi stati vengono
resi attraverso la metamorfosi, la confusione tra realtà e piano
simbolico, la cancellazione dei confini tra soggetto e oggetto e tra
soggetti diversi, la deformazione dello spazio e la sospensione del
tempo, la vanificazione del rapporto causa-effetto.
2.
Temi che riguardano l'interazione dell'«io» col mondo e con gli
altri. Il primo fra tutti è quello della sessualità: nei racconti
fantastici il desiderio sessuale è potente e incontrollabile,
spesso diretto verso oggetti socialmente riprovati: sorelle,
genitori, persone dello stesso sesso, religiosi. Altro tema
potentissimo è quello della morte e della sua sconfitta (vampiri,
fantasmi, lamie vivono tutti oltre la morte) e, collegato ai primi
due, quello della violenza. Dracula l'immorto è creatura sensuale e
trasgressiva per eccellenza.
Le
tematiche e le modalità narrative fanno del fantastico un genere […]
potenzialmente sovversivo. Un genere «guastatore», nato per minare
le nostre certezze individuali, carico di una profonda valenza
«politica» che consiste, paradossalmente, proprio nel mettere in
discussione le nostre certezze biologiche, psichiche, etiche e
sociali.
Il
punto 2. non è del tutto pertinente, lo so… l'ho inserito per amor
di completezza e per spezzare un'altra lancia a favore della
narrativa fantastica, ma il punto 1. è esattamente ciò di cui
abbiamo discusso finora, patologie comprese. In pratica, i
buoni autori di fantastico pescano in maniera più o meno consapevole
nelle alterazioni della percezione, nelle falle della memoria, nella
rimozione dei ricordi e nella dissociazione del nostro Io più
autentico dalle esperienze più dolorose. Non lo dichiarano
apertamente, certo, non scrivono avvertenze di questo tipo: «ora vi racconterò
il caso di un tizio con due personalità» o «attento lettore, ti
spiegherò la sensazione che si prova a non riuscire più a
distinguere tra sogno e realtà». Non preannunciano «adesso
parleremo di una donna convinta di aver già vissuto la vita che sta
vivendo mentre è semplicemente vittima di un deja vu». Non
lo fanno perché sono narratori, non neurologi, non sono
interessati a spiegare un'anomalia ma, semmai, a evocare ciò che di
anomalo normalmente ci accade. Perché soltanto proiettandoci
nell'anomalia ci indurranno a riflettere sulla nostra «normale»,
comune umanità.
Anche
questa volta citerò degli esempi – non i più famosi, perché
tutti li conoscono già, ma – per fare un esperimento – i primi che mi vengono in mente. Sicuramente questi miei ricordi, così familiari e rivisitati da presentarsi per primi, hanno una parte importante nel mio immaginario (e onestamente, pensando a ciò che scrivo di solito, riconosco non il tema, ma almeno l'aura, il sapore di alcuni di loro).
AMNESIE
Il
tema del/la poveretto/a che si risveglia in una stanza sconosciuta,
circondato/a da oggetti che non ricorda di aver visto prima e senza
più ricordare il proprio nome è stato visitatissimo in ogni epoca.
Tanto
per cambiare genere citerò per primo un noir di Cornell Woolrich,
Sipario Nero. Letto da
ragazzina, mi colpì per la vicenda intrigante: un uomo, colpito alla
testa da un pezzo di cornicione, torna a casa trovandola vuota.
Rintracciata la moglie, che ormai abita altrove, scopre di essere
sparito tre anni prima e di non ricordare assolutamente nulla di ciò
che ha vissuto nel frattempo. Alcuni immagini cominciano ad affiorare
da quel nulla: un minaccioso uomo vestito di grigio, il volto di una
ragazza… Pubblicato nel 1941, Black Curtain è un
concentrato dei temi che serpeggiano in tutte le opere di Woolrich:
amnesia, inconscio, paranoia. Il romanzo è stato trasposto per il
cinema nel 1942 da Jack Hively come Street of chance e ispirò
un episodio della serie televisiva L’ora di Hitchcock
diretto da Sidney Pollack.
Un
thriller sull'amnesia è anche Il terzo giorno di Joseph Hayes, autore di racconti, romanzi e scenggiature. Da questo romanzo è stato anche tratto un film con George Peppard. Pubblicato da Longanesi negli anni Sessanta, purtroppo è rintracciabile soltanto in qualche biblioteca comunale o nei siti di collezionisti; in rete non esistono recensioni in proposito.
Nei
romanzi e racconti di P. K Dick che ho citato nel post precedente il
tema del ricordo si intreccia vividamente a quello dell'incapacità
di ricordare e, finalmente, della presa di coscienza. In altri due
romanzi la perdita del proprio mondo e/o del proprio passato è
legata alla necessità di doverlo rievocare; il primo, che cito
soltanto, è La città sostituita, il secondo è Ubik,
splendida parabola sulla dissoluzione della realtà e del ricordo. Leggerlo è altamente raccomandabile
anche se inquietante fino all'angoscia. Potrei scrivere di Ubik per dieci pagine, ma preferisco rimandarvi a due ottime recensioni su Librinuovi out of print… Però il romanzo dickiano che
considero più significativo e toccante è Un oscuro scrutare. Scritto nel 1977, si svolge in California in un futuro molto prossimo, che potrebbe essere proprio il nostro presente. Bob, il protagonista del romanzo, è un agente infiltrato sotto copertura dalla narcotici in un gruppo di sballati per individuare gli spacciatori di una droga che miete vittime fra i giovani. Le sue due identità si intrecciano in maniera tanto profonda da diventare quasi due personalità ugualmente reali. I suoi contatti con le droghe divengono abitudini, condivide poco per volta la confusione mentale, i pensieri circolari e sempre più inconcludenti – fino a giungere all'amnesia e alla confabulazione – dei compagni che ama e detesta quasi con la medesima intensità. La missione inghiotte poco per volta tutto ciò che il vero Bob avrebbe potuto essere ma non può più diventare. La progressiva disgregazione del suo pensiero è resa da Dick con quella che considero una prova da vero scrittore (e un'intensità profondamente segnata da vicende autobiografiche). Personalmente ritengo A scanner darkly qualcosa di molto simile a un capolavoro ma, per onestà, vi
avverto che alcuni autori amici miei non lo apprezzano quanto me,
e ritengono lo stile di Dick non tre volte più abile ma due volte più
sciatto. Dal romanzo è stato anche tratto il film omonimo con animazioni digitali diretto da con Keanu Reeves diretto da R. Linklater.
Un
racconto bellissimo e terribile sulla progressiva perdita dei ricordi
(indotta artificialmente e che colpisce l'intera umanità) è Fra
le rovine della mia mente di P. J. Farmer (autore discontinuo ma
grande): un'intera specie colpita dall'Alzheimer o dalla demenza
senile, che perde ogni giorno un ben preciso periodo dei propri
ricordi a partire dai più recenti ma che, a differenza di quei
pazienti è ben consapevole di quanto sta accadendo e che ciò che
oggi ancora ricorda sarà perso per sempre la mattina dopo. Letto su un vol. 26 della gloriosa vecchia serie di «Robot» è, dopo una ristampa nella BUR Rizzoli nell'antologia La grande avventura, attualmente fuori commercio.
Troppa gente nella mia testa…
Per
il Disturbo dissociativo di identità (DID) c'è il famoso e troppo discusso Sybil, il film omonimo e un testo estremamente intrigante che avevo promesso di citare. Si intitola Una stanza piena di gente e racconta il caso di John Milligan, affetto da DID con 24 personalità, «primo individuo nella storia degli Stati Uniti a essere dichiarato non colpevole di gravi crimini […] in quanto affetto da disturbo da personalità multipla».
Frutto di lunghi e continui incontri tra Milligan e l'autore del libro, Daniel Keyes, è una lettura impervia e avvincente alla quale mi sono avvicinata perché conoscevo l'autore: da ragazza avevo letto Fiori per Algernon, un racconto di fantascienza psicologica che nel tempo mi ha dato molti spunti di riflessione sul tema delle disabilità mentali. Spero, prima o poi, di scrivere una recensione all'altezza.
Infine mi viene in mente Lo specchio scuro, bel noir di Robert Siodmak con una grande Olivia de Havilland. In realtà si tratta di una citazione alla rovescia, ma il film è suggestivo, ambiguo e raffinato.
Per
la confabulazione fantastica devo assolutamente citare Occhi verdi di Lucius Shepard, un romanzo di fantascienza basato
sulla possibilità riportare in vita individui defunti iniettando nei loro cervelli e negli altri tessuti
corporei un particolare ceppo batterico. Questi «risorti», definiti Personalità
Artificiali Indotte Battericamente, sopravvivono da qualche ora a
qualche mese, esibendo personalità, capacità e ricordi molto
diversi da quelli posseduti in vita; verso la fine i loro occhi
acquistano un particolare bagliore verde. Al di là della vicenda
(di cui sono protagonisti un risorto con eccezionali doti in campo
medico e la dottoressa che lo ha in cura), ho trovato estremamente
suggestivi i
passati completamente inventati che i risvegliati si attribuiscono,
vere e proprie confabulazioni fantastiche basate su frammenti di ricordi
di ogni genere che il loro Io vacillante «cuce» insieme nel
tentativo di ridiventare una persona completa.
Con crescente
perplessità (e paura) ho quindi letto le recensioni attualmente disponibili in
rete – sia in italiano sia in lingua inglese – rendendomi conto
che nessuna menziona questa peculiarità, a suo modo struggente, dei
risorti. Che
sia io a soffrire di confabulazione fantastica, fino a inventarmi,
molti anni fa, tutta la faccenda, per poterla sfoggiare in un post
che avrei scritto in un lontano futuro?
Anche
sui sogni si potrebbero ricordare migliaia (milioni?) di titoli.
Uno
dei più modesti, «ingenuo ma intrigante» come l'ha definito
giustamente un blogger, è Sogno dentro sogno di John Hill
che, ho letto, è uno degli pseudonimi di Dean Koontz. Credevo di non
aver mai letto nulla di Koontz, autore che uno dei collaboratori
della pria serie di LN-LibriNuovi (gloriosamente fotocopiata e
rigorosamente per soci) definiva «un onesto panettiere» della
narrativa. E invece…
A
proposito di sogni, uno degli espedienti narrativi più odiosi e deludenti che
ogni tanto ritrovo a chiudere racconti e perfino romanzi :
…
Aprì gli occhi. Fuori il
cielo azzurro occhieggiava fra i tetti (o gli alberi, o le nuvole).
Il profumo del caffè gli giungeva dalla cucina, insieme ai rumori di
ogni mattina. Era stato solo un terribile sogno»
È una cosa che mi manda in bestia e mi fa pensare tutto d'un fiato:
Cosa?
Terribile sogno? Mi hai trascinato attraverso descrizioni disgustose
e/o enfatiche, morte e disperazione, passioni indicibili (che di
solito infatti vengono dette malamente) ed era SOLO UN TERRIBILE
SOGNO!? Ma va' a quel paese, ecco!
ma sarà accaduto anche a voi di fare un sogno davvero terribile – di quelli che
suscitano sensi di colpa, paure e inadeguatezza, timore che la vostra
vita possa diventare irrevocabilmente molto più infelice. Non
sareste furente nei confronti dell'autore che invoca un sogno del genere solo
perché non sa più come concludere la sua «operina»?
Tra
le mie ossessioni «narrative», il tema del ricordo merita il
primo o il secondo posto (conteso sul filo di lana a quello della comunicazione/comprensione fra senzienti).
Come
ricordiamo? Dove finiscono i ricordi che crediamo di avere smarrito?
Come riemergono, improvvisi e vividissimi, sorprendendoci e
trascinandoci indietro nel tempo, fino a qualche fatidico allora. E
come possiamo salvarci dal ricordo di quel dolore, di quel
fallimento, di quel terribile momento vissuto da idioti, come se non avessimo
mai imparato nulla? E ciò che scivola sornione nei nostri sogni è la copia
confusa di un ricordo vissuto o la rievocazione di un ricordo altrui,
regalato da una lettura, un racconto, una canzone? E potremo mai
cancellare volontariamente ciò che non abbiamo ancora imparato a
sopportare?
Un articolo di Jerry Adler comparso su Le Scienze (n° 527, Luglio 2012),
mi ha sedotto fin dal titolo: Cancellare i ricordi dolorosi.
L'ho letto d'un fiato e mi ha spinto a documentarmi sulla memoria, sulla riattivazione di un ricordo, sulla possibilità di dimenticare. Ho frugato nella Rete, sugli scaffali delle librerie di casa e nei miei stessi ricordi. Dato che non so, nemmeno come docente, separare la saggistica
dalla narrativa, leggendo ho anche ricordato diversi racconti,
romanzi, film che ruotano attorno al ricordo e all'oblio; questo
post e la seconda puntata (sull'amnesia e gli stati alterati della
memoria) saranno, quindi, miscele piuttosto eterogenee di letture/immagini. Non mancherà un'ultima parte dedicata a mie riflessioni sulla relazione profonda tra memoria, ricordo e narrazione, non solo come tema o come tecnica narrativa, ma - più profondamente - come vero e proprio nocciolo del processo narrativo. Sarei davvero contenta di qualche commento in proposito.
Un'avvertenza: alcuni termini specifici ricorrono più volte; riscriverli ogni volta è noioso, appesantisce la lettura e fa perdere tempo a voi e a me. Userò quindi qualche sigla che vi prego di imparare a memoria. Mantenere allenata la memoria è molto importante perciò imparandole farete soltanto il vostro bene.
Infine una preghiera. nel post ho accennato ad alcune reazioni biochimiche e interazioni cellulari perché sono alla base del processo della memoria. Troverete qualche termine scientifico (RNA, DNA, enzima, roba così), ma non lasciatevi ingannare: non ho la pretesa di fare una lezioncina, voglio semplicemente fornirvi qualche informazione, evocare alcune suggestioni, sollevare qualche problema etico – insomma ripercorrerò la strada compiuta per informarmi tenendo però al guinzaglio il mio entusiasmo biochimico. Mi rendo conto che ciò che scrivo potrebbe risultare semplicistico e ovvio ai più specializzati e noioso e oscuro a chi ha invece una preparazione umanistica. Consideriamo i due post una scommessa che spero, se no di vincere, almeno di perdere onorevolmente.
Prima di tutto: che cos'è la memoria?
…
noi siamo chi siamo
soprattutto grazie a quello che ricordiamo della nostra vita. [...]
Sogni e ricordi sono l’unico laccio tenace che ci tiene stretti al
futuro e al passato: i mattoni portanti della nostra vita. L’io-uomo
è quello che ha imparato ad essere con l’apprendimento, con
l’interesse, con lo stimolo che la «memoria» ha
metabolizzato in una personalità unica e distinta da tutte le altre.
Un profumo, un sapore, una musica, una voce, possono riaccendere
istantaneamente il bambino che siamo stati, l’adolescente,
l’adulto, nella sequenza filmica del nostro passato. Possono
tuffarci nelle pieghe stratificate dei ricordi con sensazioni
analoghe, senza soluzione di continuità, azzerando il tempo.
La
memoria è la capacità di un organismo di conservare e utilizzare
le esperienze passate e utilizzarle in seguito, per fronteggiare
eventi successivi. Si esprime con il ricordo che, fisiologicamente,
può sbiadire e scomparire. L'amnesia, invece, è un fenomeno
patologico.
R. Magritte: La memoria
Senza
la memoria, noi umani non potremmo svolgere funzioni superiori come
percepire, riconoscere, comprendere e usare il linguaggio, scegliere,
pianificare il futuro, risolvere problemi. La memoria collabora
strettamente con l'immaginazione: il confronto tra scenari ricordati
e scenari immaginati, tra esperienze vissute e obiettivi prefigurati,
tra le emozioni e i sentimenti le accompagnano, guida le
nostre decisioni future.
Le
strutture cerebrali della memoria si formano durante lo
sviluppo embrionale e vengono modulate dallo sviluppo e
dall'esperienza, quindi siamo animali «programmati» per
ricordare; che cosa e come ricorderemo, però, dipende dalle nostre interazioni con l'ambiente, dalla quantità di stimoli, ma
anche dalla loro coloritura emotiva.
Ricordare
non significa recuperare immagini statiche immagazzinate ma ricostruire un’esperienza trascorsa
in un nuovo contesto, attraverso il rimaneggiamento di mappe
neuronali. La
nostra identità nasce dalla continua ricostruzione, dal
rimodellamento, dal confronto di passato e
futuro come varianti di una medesima scena, dalla narrazione di noi a
noi stessi, questo intendiamo quando dichiariamo di «aver
meglio compreso il nostro passato».
Naturalmente la rielaborazione del passato può portare all'autoinganno, oppure al
congelamento dei nostri ricordi. Quanti di noi offrono una versione ormai statica, non più rivisitabile, delle vecchie esperienze? Forse il fastidio che proviamo per i ricordi narrati
duecento volte dal solito parente non derivano dalla ripetizione ma dalla sensazione di avere in mano un'istantanea ormai
immodificabile.
Il
processo mnestico è costituito da alcune tappe: 1.
registrazione;2. immagazzina- mento; 3. recupero/ rievo- cazione delle informazioni; ognuna è regolata
da particolari sistemi collocati in diverse aree corticali (il lobo
temporale, alcune regioni frontali e nuclei), nello ippocampo, nel talamo e nel cervello
anteriore basale.
Il
nostro cervello è composto da miliardi di neuroni
(cellule nervose ramificate) collegati tra loro in una rete complessa. Il messaggio viene trasmesso da una cellula
nervosa all’altra grazie a mediatori chimici e che agiscono in
punti specifici di contatto chiamati sinapsi. Quando i neuroni
sensoriali trasportano informazioni, al loro interno si attiva un
gene che determina la sintesi di proteine capaci di modificare
la sinapsi che lo collega a un altro neurone, generando le vari
forme della memoria.
Tutti
gli impulsi nervosi che ci arrivano dagli organi di senso circolano
nel cervello e – se sono privi di interesse o ricollegabili ad
associazioni già presenti, oppure se sovrastati da altre percezioni,
come il dolore – nel giro di dieci/venti secondi si perdono nel
rumore di fondo, senza essere consolidati nella memoria.
Solo
se «rilevanti», le percezioni passano al livello della memoria
immediata (MI). Le informazioni si possono comunque salvare
dall’estinzione richiamandole entro pochi secondi per associarle a
qualche ricordo già immagazzinato.
dal sito http://www.rpolillo.it/faciledausare/Cap.4.htm
Prima
del decadi- mento della MI, la informazione entra nel
magazzino della memoria a breve termine (MBT), il quale è legato
alla formazione di una matrice di RNA che dura per circa 20 minuti,
sciogliendosi poi di nuovo, proprio come un tempo nei processi di
stampa l’originale dopo l’uso veniva nuovamente fuso. Entro
questo tempo, quindi, l’informazione deve essere già passata alla
memoria a lungo termine (MLT) mediante la formazione di certe
proteine. La prima di queste proteine, PKMZ (non dimenticatevela, tornerà ancora), modifica altre proteine e così via; alla fine di questa catena viene attivato il Potenziamento a lungo termine (LTP), ossia un
processo mediante il quale due neuroni vengono connessi in maniera
che si attivino simultaneamente. Ecco che un determinato stimolo viene associato a una
particolare esperienza o a un certo pensiero.
La
MBT ha una capacità di circa 5 elementi che, non sottoposti a
ripetizione, vengono subito perduti. La MLT è ritenuta virtualmente
illimitata: ogni informazione che passa dalla MBT alla MLT trova una collocazione permanente.
La
memoria di lavoro (ML) si pone tra la MBT e la MLT, e sembra
trattenere «a fuoco» le informazioni per un tempo molto breve,
pochi secondi, per consentirne l'analisi, la «lavorazione» e il
confronto, è cioè un block notes da utilizzare per la formazione di
concetti e per pensare.
La
struttura proposta per la ML si articola in almeno tre sottosistemi:
centro esecutivo (Central executive) , che collega MLT ad altri due sottosistemi. il block
notes visuospaziale (Sketchpad), associato all’emisfero destro e
specializzato nel trattenere l'informazione visuospaziale e il
circuito fonologico (Phonological loop), formato da un magazzino di informazioni
acustiche a breve termine, accoppiato a un processo di ripetizione
articolatoria.
Il
centro esecutivo sarebbe responsabile della selezione ed esecuzione
delle strategie spostando l’attenzione a seconda delle esigenze.
Svolge anche la funzione di supervisore, attivo
quando occorre superare schemi mentali inadeguati in una certa situazione e coordina informazioni
provenienti da fonti diverse.
Insomma, ricordare è una faccenda molto complicata.
Quando
diciamo «imprimiti questo nella mente», non siamo troppo lontani
dal vero: la memoria durevole non è un flusso
elettrico permanente ma una sorta di incisione,
l'engramma.
Alla base della memoria a lungo temine c'è una vera modificazione fisiologica che consiste in cambiamenti delle microstrutture delle sinapsi. Gli engrammi sarebbero la «impronta» di tutte queste
modificazioni sinaptiche. Quando questa impronta viene riattivata
porta alla formazione di impulsi che sono copie di quelli responsabili dell’esperienza originale, cioè al ricordo.
Non
esiste un centro neuronale unico della memoria, la traccia mnestica è
«distribuita»: molti distretti del sistema nervoso partecipano
all’immagazzinamento di una determinata informazione; l’engramma,
però, è «localizzato» perché solo determinate tracce sono implicate nella codificazione mnemonica di un certo
evento. e ciascuna di esse partecipa in maniera differente all'impronta globale.
La memoria esplicita (dichiarativa): com- prende la memoria
semantica (dei fatti) ed episodica (degli eventi). La prima
riguarda conoscenze generali, condivise dalla collettività e
si esprime attraverso affermazioni, nomi, definizioni, brevi frasi; la
seconda è invece fortemente legata al contesto (chi, dove, come,
quando) e ha una forte componente autobiografica, (auto)narrativa, di
costruzione del sé.
In
conclusione la memoria semantica accumula informazioni provenienti da
numerosi episodi, riflette la nostra capacità di valutarli globalmente, estraendone le caratteristiche
comuni, mentre la memoria episodica rappresenta la capacità di
estrarre e recuperare un singolo evento dall’insieme.
La memoria implicita, suddivisa in procedurale (quella che ci
permette, per esempio, di ricordare come si guida l'auto o si suona
uno strumento musicale o si pratica uno sport) – quella che
noi indichiamo come «automatica» e che, se lesa, rende difficoltosi
gesti quotidiani come vestirsi – e semantica (che permette di fissare
concetti astratti). La memoria implicita è anche coinvolta in quei
processi in cui noi inconsapevolmente attribuiamo a un certo evento
un significato ansiogeno o spaventoso perché portatore di stimoli
(suoni, immagini) collegati nella nostra mente a situazioni nelle
quali abbiamo provato ansia o paura.
Proprio questo è il tipo di memoria che descrive Jerry Adler.
Ricordi che fanno male Purtroppo
se noi siamo i nostri ricordi, alcuni di essi ci tengono in letteralmente in
ostaggio: un veterano di guerra, ad esempio, può soffrire di PTSD
(disturbo post-traumatico da stress), associando stimoli come spazi
aperti, rumori intensi e improvvisi, folle, con il dolore e la paura provati in
combattimento.
Base militare di Nassiriya dopo l'attacco
Questo disturbo incide pesantemente sulla vita quotidiana dei reduci; negli Stati Uniti, la percentuale di colpiti pare oscillare tra il 20 e il 40% dei reduci; in Italia i casi dichiarati sono 2 o 3 l'anno, ma leggetevi questa inchiesta.
Partiamo allora da un qualunque veterano, chiamiamolo John. Per condurre una vita normale, John deve riscoprire che gli stimoli collegati al suo
ferimento – spazi aperti, fragori, urla improvvise, rumori di motori in avvicinamento o di elicotteri in volo – nella vita
quotidiana alla quale è fortunatamente ritornato NON sono associati a situazioni di pericolo.
Per farcela John ha diverse possibilità:
1.
Autorizzare la manipolazione del proprio cervello: occorre lavorare a livello
dell'ippocampo, dove si formano e sono archiviate le memorie
riguardanti i luoghi; in esperimenti condotti su topi, l'iniezione
nell'ippocampo di una sostanza denominata ZIP cancella la «paura»
associata a una certo stimolo. ZIP è un antagonista di PKMZ (rieccola!), la
proteina che attiva il potenziamento a lungo termine. ZIP, in pratica, sconnette i neuroni connessi
durante il potenziamento.
Ma
se io fossi John non accetterei, perché ZIP è efficace ma non
specifico: dal punto di vista biochimico un ricordo cattivo non è diverso da un
ricordo buono e ZIP potrebbe combinare dei bei pasticci (infatti nessuno si sogna di autorizzare la sua
sperimentazione sugli esseri umani).
Che
fare, quindi? Bisognerebbe contrastare il passaggio dalla MBT alla
MLT, tenendo conto che i ricordi a lungo termine sono spesso quelli a
maggior impatto emotivo: probabilmente ricordate molto meglio ciò
che avete mangiato (o NON mangiato) durante la cena in cui il/la
vostro/a ex vi ha dato il benservito. Ben
difficilmente, invece i ricordate che cosa avete ingoiato, oltre alla
noia, durante lo sciagurato pranzo organizzato dai vostri condomini
lo scorso anno. Bene, mentre Lui/Lei vi stava piantando in asso, voi stavate producendo una palata di noradrenalina, un
neurotrasmettitore che favorisce la sintesi proteica nei neuroni
dell'amigdala. Per impedire a quella sciaguarata cena di diventare un ricordo doloroso, dovrebbe andare bene
qualunque sostanza che abbassi la concentrazione di
noradrenalina: la più nota è il propranololo, un beta bloccante usato dagli artisti per controllare l'ansia da palcoscenico e
dagli ipertesi per abbassare la pressione. Ma quando occorre
somministrarlo? La finestra temporale è di poche ore, dopo il riccordo sarà
ormai stabilmente immagazzinato nella MLT. Questa possibilità è
stata utilizzata circa nel 2002 da uno studioso che ha
somministrato il propranololo ad alcune vittime di incidenti stradali o di
aggressioni. Inizialmente il farmaco – che NON cancella il ricordo ma solo la sua valenza emotiva
negativa, lasciandone intatta la memoria – aveva fatto ben sperare,
ma uno studio successivo e su ampia scala ha smorzato gli
entusiasmi.
2.
Migliorare l'estinzione:
Arag
di
solito un ricordo prima o poi sbiadisce. Ma un ricordo doloroso,
carico di coloriture emotive, ansia, dolore e paura, permane per
lunghissimo tempo, anzi ogni nuova rievocazione lo fissa con
maggiore forza. Si tratta di un meccanismo raffinato di
sopravvivenza: fino a che il ricordo di un pericolo o di un dolore
permane, noi faremo di tutto per evitare di
metterci in analoghe situazioni. Si è quindi pensato a un
trattamento simile a quello utilizzato per le fobie: hai paura dei
ragni? Be', prima ti mostrano la parola: RAGNO. Poi ti fanno vedere
l'immagine del caro aracnide, poi te ne fanno vedere una più grande,
poi ti chiedono di tenere in mano un modesto ma ben vivo vivo ragno nostrano e via così. Alla fine, immagino, ti presentano ad Aragog, il ragnone amico di Harry Potter.
Per
il trattamento del PTSD è estremamente utile la realtà virtuale:
scenario di guerra, spari, scoppi, perfino effluvi di polvere da
sparo e sudore. Così il trattamento si spinge fino all'amigdala, alla quale comunica: «niente di tutto questo è una minaccia». Ma non basta. I
neuroscienziati si sono resi conto che l'estinzione non consiste
nella cancellazione di un ricordo ma nel consolidamento di un ricordo
nuovo, «sicuro», che entra in competizione con quello del trauma.
Intendiamoci, in situazioni di stress – per esempio in un nuovo
ambiente – gli stimoli originari riportano a galla il ricordo del
trauma, che quindi non è affatto estinto. Il consolidamento del
nuovo ricordo sicuro, può essere accelerato con l'utilizzo di una
sostanza (cicloserina) che attiva il suo potenziamento a lungo termine.
3.
modificare la memoria: ricordate
la famosa finestra temporale di cui abbiamo parlato a proposito del
propranololo? Bene, perché invece di usare farmaci non cercare di
lavorare durante quel lasso di tempo necessario al consolidamento del
ricordo? Immaginiamo
che il complesso delle nostre memorie e dei ricordi che contengono
non sia un libro scritto dalla prima all'ultima pagina e
immodificabile, ma il disco rigido di un PC, dal quale richiamare e
modificare i file (ricordi) archiviati ma ancora «labili», prima
che vengano consolidati. Dal punto di vista evolutivo, questo limbo in cui i ricordi vengono lasciati per alcune ore prima di essere definitivamente
fissati, potrebba servire ad aggiornarli con altre informazioni.
Adrenal gland = gh. surrenale; kidney = rene
Esistono sostanze che in grado di bloccare il consolidamento dei ricordi? Sì. il cortisolo, prodotto dalla cortex delle ghiandole surrenali è un ormone coinvolto nella formazione di ricordi ad alto livello emotivo; non per niente è chiamato «ormone dello stress» – stress vero, da trauma fisico profondo o da paura terribile, non stress da capufficio. Bene, il metopirone è un antagonista del cortisolo, in pratica ne inibisce la sintesi. Anche il propranololo promette bene. Lo
studio sugli esseri umani è comunque appena appena all'inizio.
Questioni
di etica
1)
Noi siamo i nostri ricordi…
Supponendo che esista un metodo sicuro, selettivo ed efficace, voi
vi fareste modificare i ricordi o almeno modificare la vostra
reazione in proposito? Come si dice: questo ricordo è un bastardo.
Ma è il mio bastardo… Che cosa sarei, io, se cancellassi qualcuno dei miei ricordi? Questo è il primo problema.
2)
Ma, e le mie emozioni?
La
prima volta che abbiamo parlato del propranololo, abbiamo visto che è in grado non di cancellare il ricordo ma di eleminarne la
coloritura emotiva. Il fatto che essere sopravvissuto per un
pelo a un attentato non vi faccia più né caldo né freddo,
potrebbe compromettere la vostra integrità
psicologica? Oppure essere costretti a rintanarvi nel buco più lontano
ogni volta che udite un forte fragore è una compromissione molto
più dolorosa e debilitante di voi stessi? Fa riflettere il commento di James
McGaugh, studioso dell'Università della California [1] sul fatto che le vittime di
PTSD
… si
sentano dire in continuazione «ma dai, vedrai che passerà».
Questo va bene e somministrare un farmaco no? E perché mai?
Perché sperare che il ricordo sbiadisca e la valenza
emotiva trascolor0 dovrebbe essere più accettabile mentre del fornire (con l'accordo informato
del paziente) un farmaco che ottenga il medesimo risultato in molto
meno tempo? Con questo tipo di ragionamento saremmo ancora qui a
operare senza anestesia e a partorire senza epidurale. O no?
Questioni da legulei
A
un altro aspetto, sollevato da Adler, io francamente non avrei mai e
poi mai pensato. Lo metto in scena, invece di riportare le sue parole,
solo per variare un po' il tono troppo didattico di questo post:
Stiamo assistendo a un processo, uno di quelli da thriller forense, sul tipo di The good wife (noioso perché infestato dai drammi sentimental-sessuali dei vari avvocati); si tratta di un caso di stupro: i rappresentanti dell'accusa e della difesa cercano ognuno di trascinare la giuria dalla propria parte. L'accusa, elegante e grintosa come Alicia Good/Julianna Margulies, chiama a deporre la vittima; la difesa trema, queste testimonianze in diretta fanno sempre presa sulla giuria. Alicia chiede alla testimone di rievocare l'aggressione e le proprie emozioni. La vittima, che ha subito tempestivamente (durante la famosa finestra temporale) un trattamento contro il PTSD, allinea un fatto dopo
l'altro – lui mi ha aggredito, io ho cercato di difendermi, allora lui mi ha minacciato, picchiato… – parla tranquilla, precisa e efficiente; «sì, è lui», conclude e indica l'accusato senza un battito di ciglio o
un tremito nella voce. Il ricordo è vividissimo ma la coloritura
emotiva è andata persa.
Come
reagirà la giuria? E come avrebbe reagito, invece, di fronte a una
vittima in lacrime, indignata, spaventata? Eh già. L'accusa si
trova per le mani un testimone affidabile ma emotivamente inutile. D'altra parte, una vittima traumatizzata non è
emotivamente equilibrata, bensì sopra le righe, nelle condizioni anomale associate al ricordo del trauma. Un bel dilemma
etico, che francamente io – come molti di voi, immagino – risolverei considerando che, se ad alterare emotivamente la
vittima fosse stato l'accusato, mangerebbe semplicemente il piatto
che si è cucinato. Ma se non lo fosse?
Comunque,
la scelta di manipolare la memoria in qualsiasi modo – con farmaci,
tecniche varie o trattamenti psicologici - è davvero discutibile,
nel senso che andrebbe dibattuta a lungo. Probabilmente è
impossibile stabilire regole adeguate a ogni singolo caso. Soltanto
il paziente potrebbe dare il proprio assenso informato. I neuroscienziati
e gli studiosi di etica dovrebbero limitarsi a spiegare e ad
assicurarsi che la vittima del PTSD abbia afferrato chiaramente tutti
gli aspetti della questione. Ma riuscirebbe la vittima a immaginare
fino in fondo le alternative, le conseguenze della propria scelta?
Ti racconto i tuoi ricordi…
Come
autore, ma soprattutto come lettore, mi interrogo spesso su che cosa accada veramente quando qualcuno scrive una storia e un altro chiunque, sconosciuto e lontano, la legge. Come fanno, quelle lunghe file di parole
che diventano frasi, periodi, paragrafi, capitoli… a divenire vite ed emozioni di gente che molto spesso non esiste al di fuori
della nostra mente di scrittori/lettori? A evocare mondi lontani,
persi nel passato, nel presente e nel futuro? A farci entrare in mondi famigliari, che sono quasi il nostro, eppure non lo sono perché ospitano creature
virtuali, vive soltanto dentro di noi?
La narrazione, a ben pensarci, è un processo complesso e sofisticato, un miracolo che
solo i senzienti sono capaci di compiere. Se il ricordo è uno dei
più stupefacenti risultati della lotta contro l'entropia, la
narrazione è sicuramente il suo apice.
Fragonard: Donna che legge
Pensate
a uno scrittore che vi abbia davvero emozionato, che vi tocchi in
profondità, che sia davvero in consonanza con voi. Un autore che vi
abbia fatto pensare «sembra che l'abbia scritto per me» - «Se
ne fossi capace, potrei averle scritte io queste pagine» - «Non
sapevo di provare questa emozione, ma è vera, mia, la comprendo e la
riconosco».
Uno
scrittore in gamba, un virtuoso
della parola, uno che sa bilanciare perfettamente ingredienti,
emozioni, ritmo. Certo. Ma, al di là della padronanza della tecnica (che, a vari gradi,
è indispensabile), come avrà fatto, questo estraneo, a toccarvi tanto da vicino, a
entrare così tanto dentro di voi?
Sicuramente una storia è una specie di patto tra chi la racconta e
chi la ascolta. Questo patto è esplicito nella narrativa fantastica,
perché chi la scrive chiede al lettore (consenziente) di «credere»
all'incredibile, o almeno al fortemente improbabile, al non
dimostrato. Ma questa collaborazione è sempre
indispensabile: è chi legge che ci mette i ricordi, non chi scrive.
Chi scrive evoca i propri, fa del suo meglio per tradurre in parole la
coloritura emotiva che è loro associata. Ma a voi che leggete, a meno di una improbabile coincidenza, quelle parole non evocheranno alcuna associazione, perché il famoso engramma è impresso nella mente dell'autore, non nella vostra. Se proprio
andrà bene, le parole dell'autore diventeranno forse un nuovo
ricordo.
E allora come fa, il nostro autore a cogliere nel
segno? Grazie alla magnifica arte dell'ambiguità: se non pretenderà
di essere troppo preciso e circostanziato, se troverà parole sufficientemente (e magnificamente)
ambigue e nebulose da evocare un ricordo simile, assonante nella vostra mente, la magia sarà
compiuta. La precisione quasi chirurgica con la quale i grandi scrittori trovano le parole, quelle adeguate, funzionanti in maniera diversa per ognuno dei suoi lettori, è frutto di una meravigliosa ambiguità e vive, letteralmente vampirizza i vostri ricordi: l'autore può solo fornire lo stimolo chiave, la coloritura emotiva è vostra.
Faccio
un esempio fresco fresco: sto leggendo La sindrome di Rasputin,
un delizioso romanzo breve di Ricardo Romero che mi riservo di recensire sul blog LN out of print. I protagonisti sono tre persone di età differenti (un giovane dj, un impiegato e un guardiano
notturno che, in una odierna e notturna Buenos Aires, sono costretti a improvvisarsi investigatori. I tre sono «amici» in quanto tutti affetti da Sindrome di Tourette, accomunati da tic, manie e reazioni difficili nei confronti della gente. Insomma, le loro esperienze e le mie sono diversissime.
Van Goch, Notte stellata
In una delle mie scene preferite, l'impiegato, scaraventato da una finestra, atterra
miracolosamente di schiena sul tetto di un autobus che continua la
sua corsa e pesto, con le ossa fratturate e la convinzione di
morire di lì a poco, prova una vera catarsi nel contemplare il cielo
notturno, con la sensazione di cadervi dentro.
Mai
accaduto a me, giuro. Eppure ho provato un'assonanza profonda. Era
perfetta così e non ho nessuna intenzione di provare a spiegarmela.
Al massimo posso ricordare una notte, in campeggio, sdraiata su una
coperta a guardare il cielo, o un film visto da bambina con un tizio
che guardava il cielo da una zattera… o io che riposo sdraiata su un
masso piatto, in un bosco… Del resto non so. Non ricordo. Eppure
ri-conosco. Ri-suono. Romero ci ha messo molto – il tocco leggero, la
costruzione ottimale che ha condotto a quella catarsi, l'amore per
il cielo di notte, la solitudine definitiva e perfetta e chissà che
altro – ma anche io ho fatto la mia parte. È stata una buona
collaborazione.
Questo
vale per la narrazione in generale.
Ma
ci sono romanzi, racconti, film, quadri, basati proprio sul tema del
ricordo, del bisogno di ricordare, della necessità di dimenticare.
Il
primo racconto che mi viene in mente è Reincantamento [2], un bel racconto di Vittorio Catani,
che tratta proprio della qualità del ricordo e del bisogno di
dimenticare. Non ne racconterò la trama, perché è una costruzione
sapiente e ben dosata che svela piano piano vari livelli di realtà e
non intendo bruciarla in poche righe; merita davvero una lettura.
Il
secondo racconto si basa su un altro dei miei must, il potere
evocativo degli oggetti, il loro ruolo di testimoni muti delle nostre
vite, la loro capacità di farci immaginare le vite degli altri. …
Si intitola Il mondo delle cosee, insieme ad altri racconti decisamente
belli, fa parte dell'antologia omonima di Michael Zadoorian pubblicata
in Italia da Marcos y marcos. A raccontare la storia è un collezionista compulsivo di oggetti anni Sessanta che, alla morte della madre, si trova a dover sgomberare la casa di famiglia, piena proprio delle cose di cui è appassionato. Improvvisamente gli oggetti che ha sempre desiderato con la passione fredda del collezionista diventano testimoni della vita di famiglia, ognuno unico, ognuno insostituibile, oggetti troppo preziosi per disfarsene ma troppo intensi da tollerare. La casa di un genitore è un campo minato di emozioni, nascoste nel solido terreno dei ricordi [… mi sento in colpa per tutto ciò che finisce tra le cose da buttare, ma anche per le cose che decidiamo di tenere.
Il
terzo, Morire dentro di Robert Silverberg, è un romanzo di
fantascienza apparentemente poco pertinente con il nostro tema, e che amo soprattutto perché esplora l'altra mia ossessione
narrativa, la comunicazione fra esseri umani. Ripubblicato qualche
anno fa da Fazi editore, è la storia, ricostruita a flashback, di un telepate,
sperso fra milioni di umani di una grande città americana degli anni Settanta. Quel talento ha
plasmato tutta la sua vita, rendendolo prima un ragazzino strano, poi
un adolescente disadattato che non riesce a instaurare relazioni profonde; da adulto è diventato un afasico
emotivo, ubriaco delle emozioni e dei pensieri altrui, incapace di amare una donna e di affidarsi a lei perché stordito dal riverbero delle sue emozioni. Emarginato e privo di amici, dovrà imparare a sopportare anche il tramonto del proprio dono avvelenato. Il tema del ricordo è
toccato in tutto il romanzo e costituisce il nocciolo del suo acme.
La
lista sarebbe lunghissima e vorrei citare titoli meno conosciuti e autori di genere (FS e noir sono i più promettenti), perché spesso riservano sorprese e punti di vista inconsueti. Tanto per dire mi ricordo I labirinti della memoria, primo di otto racconti di P.K. Dick, nell'antologia omonima, e Total Recall, (Ricordi in vendita) sempre di Dick, nei quali i temi del ricordo e della sua cancellazione sono collegati con lo strapotere economico e la perdita di identità (temi che Dick ha esplorato in maniera quasi ossessiva. Un tema molto simile torna anche in Filmini casalinghi di Mary Rosenblum, un racconto inserito nella antologia Controrealtà che recensirò quanto prima. Basta. Ho ancora un buon numero di titoli, alcuni me li riservo per la prossima puntata, altri magari li aggiungerò più avanti. Se vorrete collaborare sarete i benvenuti.
Per
quanto riguarda i film, credo che il primo che abbia incontrato,
diversi decenni fa, fosse Io ti salverò di Alfred Hitchcock,
con Gergory Peck affascinante smemorato e Ingrid Bergman, bella
psicanalista intenzionata a salvarlo dall'amnesia e da un'accusa di
omicidio. Avevo meno di dieci anni e vidi il film in TV, come molti
altri noir d'antan. I miei erano appassionati del genere e li
rivedevano volentieri, spiegandomi parcamente i passaggi più
complessi. Io ti salverò è famoso per l'episodio del sogno
dell'amnesico, inquietante grazie alla collaborazione di Salvador Dalí.
Immagino che ai giorni nostri una pellicola – che potremmo definire
sorpassata e superficiale nella rappresentazione dell'inconscio
indagato dalla psicoanalisi – così inquietante verrebbe
classificata per «minori accompagnati» e i miei sarebbero tacciati di incoscienza. Io li ringrazio per avermi introdotto a un mondo
virtuale così promettente e suggestivo.
Due film legati al tema del ricordo sono ispirati, più o meno fedelmente, ai due racconti di Dick che ho citato, rispettivamente: Paycheck di Jon Woo
e Total recall di Paul Verhoeven
Nel
recente Inception di Christopher Nolan, realtà, ricordo, immaginazione, sogno e
condivisione sono fittamente intrecciati. Nonostante alcuni difetti è
di ampio respiro e di grande suggestione e pone tra l'altro il tema
interessante dei pericoli (e della bellezza) di una comunicazione a
due quasi esclusiva.