giovedì 5 gennaio 2023

Occorre tassare i super ricchi per salvare il nostro pianeta

 

Quando apro un nuovo numero di «Internazionale», di solito mi limito a leggere gli articoli che catturano la mia attenzione, poi metto la rivista in scaffale per ulteriori consultazioni. Alcune settimane fa, però,  ho letto con grande attenzione il n. 1486 (1) e sono riuscita a unire alcuni articoli in una proficua (e inquietante) relazione che mi ha indotta a documentarmi ulteriormente.

Il punto di partenza è stato un articolo a firma Thomas Piketty (2) che ho riassunto di seguito, con l'aiuto di una tabella; il quadro che ne emerge dovrebbe farci riflettere.

“Diciamolo subito: è impossibile lottare seriamente contro la crisi climatica senza una profonda ridistribu-zione delle ricchezze, sia all'interno dei paesi sia a livello internazionale. Chi sostiene il contrario mente. E anche chi sostiene che la ridistribuzione è impossibile tecnicamente o politicamente”. (2)

 

I miliardari del mondo hanno molto aumentato la loro ricchezza dopo la crisi del 2008, come risulta dal Rapporto sulle Disuglianze globali del 2022. (3) (4)

Non ho intenzione di rivelare i nomi dei ricconi facendo loro pubblicità. In rete, comunque, troverete elenchi dettagliati; consiglio «Forbes», che ogni anno si dilunga sulla questione.

Vale la pena, invece, riflettere su un'altra dichiarazione di Piketty:

“Ma serve, soprattutto, che una parte delle entrate dei più ricchi sia versata ai paesi più poveri. Il sud del pianeta non può più stare fermo ad aspettare che il nord mantenga i suoi impegni. È il momento di pensare al mondo che verrà, o quello attuale si trasformerà in un incubo”. (2)

In un altro articolo del settimanale (1), la giornalista Audrey Garric fa altre osservazioni interessanti (5):

“L'argomento delle perdite e dei danni (loss and damage) è divenuto una specie di "linea rossa" per molti paesi in via di sviluppo che chiedono un sostegno economico, obbligando gli stati ricchi a far evolvere i loro discorsi”.

 

 “I danni causati dal riscaldamento globale colpiscono tutto il pianeta, ma gli effetti sono più disastrosi nei paesi in via di sviluppo, che non hanno i mezzi per affrontarli e limitarli”.

E che, come sappiamo, sono molto meno responsabili dei paesi ricchi della castrofe climatica. 

I paesi industrializzati, invece, si sono arricchiti proprio con le energie fossili che hanno provocato il riscaldamento globale. Il riscaldamento avrà effetti globali, non soltanto sui paesi in via di sviluppo: la siccità indiana del 2022 ha provocato una minore produzione di grano e que-sta carenza andrà a sommarsi ai problemi alimentari provocati dalla guerra in Ucraina. 

In conclusione, da parte dei paesi ricchi, il pagamento non è un atto di solidarietà o una dimostrazione di bontà d'animo, è un dovere, proprio come saldare un debito.

 

Perdite e danni 

 

fonte: green Me (6)

Alcuni scienziati hanno quantificato perdite e danni subiti dalle economie dei paesi in via di sviluppo in cifre che vanno da 290 a 580 miiardi di $ da qui al 2030, e fino a 1700 miliardi annui entro il 2050.

Sempre a proposito di loss and damage, com'è andata la COP27? Poteva andare peggio, ma sarebbe dovuto andare meglio. Per i dettagli consultare (7) (8)

 

fonte «Eco dalle città» (8)

 Mentre proseguono, con molte incertezze, le trattative sulle perdite e i danni, faremmo bene a chiederci chi guadagna a dismisura  sull'uso delle energie fossili.

 

I paesi ricchi: due volte più furbi o tre volte più …

Thomas Hummel (9) ha fornito una risposta che ho verificato anche in altre fonti.

“Nel secondo trimestre del 2022, le sei principali aziende petrolifere hanno registrato 57,2 miliardi di euro di profitti. In tre mesi! Certo, questo denaro muove l'economia, ma per quanto riguarda i bilanci degli stati il calcolo si è già rovesciato”. (9)

 

Today Meteo 18 /07/2021 (10)


“Dopo l'inondazione della valle dell'Ahr, nel 2021, la Germania ha dovuto spendere 30 miliardi di euro […] L'occidente deve chiedersi quanto vuole essere stupido. I profitti a breve termine sono ancora la priorità? La Germania vuole finanziare l'estrazione di gas in Senegal, poi acquistare quel gas a caro prezzo, e dopo qualche anno pagare i danni di una terribile siccità in quello stesso paese?” (9)

Già. Quanto vogliamo essere stupidi, o comunque assecondare coloro che si comportano come tali?

Nel caso foste scettici, potete verificare altre fonti: (11) e (12).

 

 

(1) «Internazionale» 1486, 11 novembre 2022

(2) Articolo originariamente uscito su «Le Monde»: https://www.lemonde.fr/blog/piketty/2022/11/08/redistribuer-les-richesses-pour-sauver-la-planete/

(3) https://wir2022-wid-world.translate.goog/?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc

(4) https://www.credit-suisse.com/about-us-news/it/articles/media-releases/global-wealth-report-2022---record-wealth-growth-in-2021-tapered-202209.html

(5) Audrey Garric, È il momento di risarcire il sud del mondo in Internazionale 1486, 11 novembre 2022. Articolo originariamente uscito su «Le Monde»

(6) immagine – pubblicata non a scuopo di lucro – https://www.greenme.it/ambiente/clima/cop27-cosa-prevede-laccordo-proposto-a-sorpresa-dalleuropa-per-istituire-un-fondo-a-copertura-dei-danni-dei-disastri-climatici/

(7) https://esgnews.it/cop-27/cop27-come-si-e-conclusa-e-con-quali-risultati/#Il_fondo_Loss_and_Damage

(8)  immagine pubblicata non a scopo di lucro. Articolo di Bruno Casula, https://www.ecodallecitta.it/cop27-alla-stretta-finale-per-greenpeace-la-bozza-di-accordo-apre-la-strada-all-inferno-climatico/

(9) Thomas Hummel, I soldi cambiano il clima, «Internazionale» 1486, 11 novembre 2022. L’articolo è originariamente apparso su «Süddeutsche Zeitung». 

(10) https://www.today.it/meteo/alluvione-germania.html

(11) Angelo Mastrandrea I paperoni degli extraprofitti sul petrolio e sul gas

https://ilmanifesto.it/i-paperoni-degli-extraprofitti-sul-petrolio

(12) Edoardo Prallini, L'Onu contro le compagnie petrolifere: "Profitti immorali, vanno tassati"

https://forbes.it/2022/08/05/compagnie-petrolifere-ricavi-record-crisi-energetica/



 







martedì 15 marzo 2022

Quanto manca al collasso della foresta pluviale amazzonica?

Questo post si basa su tre articoli

Il primo2 è pubblicato su the conversation  https://theconversation.com 

una fonte indipendente di notizie, analisi e opinioni di esperti, scritte da accademici e ricercatori e distribuite direttamente al pubblico a titolo gratuito. Sono profondamente in debito con questa fonte che, negli ultimi anni, mi ha fornito un gran numero di spunti di riflessione.

Il secondo3 compare su «The Guardian».

Ulteriori dati sono riportati in un recentissimo articolo di Wired.it4


In questi giorni siamo tutti comprensibilmente concentrati sulla tragedia umana (oltre che politica) che si consuma in Ucraina e, ovviamente, sulla nostra poco avveduta dipendenza da due combustibili fossili (petrolio e gas costituiscono il 70% dei nostri consumi e sono quasi tutti importati)1

Tale dipendenza e il conseguente aumento del costo dell’energia (costo che, in definitiva, finanzia la macchina bellica russa) hanno fatto scivolare sullo sfondo i piani europei per la transizione ecologica, che nel nostro Paese già procedeva molto a rilento. In Italia sono state tirate in ballo ulteriori trivellazioni, un ritorno al nucleare e persino l’uso del carbone.

Ma questi passi indietro il pianeta e la vita che Terra ospita non se li possono permettere. Ed eccomi qua a ricordare che la foresta amazzonica non è soltanto un gran mucchio di alberi.



Lo stato delle cose in Amazzonia2

 

https://www.scienzaverde.it/cronaca-ambientale-blog/importanza-della-foresta-amazzonica/


Con i suoi 5,5 milioni di kmq (il 20% degli originari 6,7 milioni è già stato distrutto), la foresta pluviale amazzonica è la più grande del suo genere e ospita un
decimo di tutte le specie viventi conosciute. Molte altre, probabilmente, non faremo in tempo a conoscerle e classificarle.

L'Amazzonia esiste così com’è da almeno 55 milioni di anni, ma il processo di disboscamento procede a gran velocità: nel corso del 2020 il Brasile ha perso quasi 38 kmq di vegetazione al giorno, equivalenti a ventiquattro alberi ogni secondo3.

Diversi gruppi di scienziati e ambientalisti affermano che, a causa del cambiamento climatico, oltre il 75% dell'ecosistema ha perso resilienza dall'inizio degli anni Duemila. Il processo è più evidente nelle aree più vicine all'attività umana e in quelle dove le precipitazioni sono più scarse.


La RESILIENZA di un ecosistema – vale a dire la sua capacità di mantenere processi abituali come la ricrescita della vegetazione dopo la siccità – è difficile da quantificare. Willcock e collaboratori2 hanno esaminato le immagini satellitari di aree remote della foresta amazzonica negli anni fra il 1991 e il 2016 e misurato la profondità ottica della vegetazione [cioè quanto un mezzo, in questo caso lo spessore della vegetazione, sia opaco alla luce]. Ne hanno concluso che la biomassa forestale recupera più lentamente mentre lo stress ambientale aumenta.


Secondo lo studio, periodi secchi più duraturi e condizioni generali più secche provocate dai cambiamenti climatici minano la capacità della foresta pluviale di riprendersi dalle successive siccità. Le specie arboree sensibili alla siccità vengono sostituite da altre più resistenti, ma a un ritmo molto più lento rispetto ai rapidi cambiamenti del clima regionale.

 

Rallentamento critico2


L’Amazzonia, cioè, si sta avvicinando a un punto critico che, se superato, porterebbe al rapido trasformarsi della foresta pluviale in una prateria secca o in savana.

Il rallentamento critico è un processo durante il quale più un ecosistema diminuisce la propria resilienza e meno è in grado di risollevarsi.

Se lo stress persiste, diventa più probabile che l'ecosistema raggiunga un punto in cui scivola bruscamente in un nuovo stato.

In altre parole, il rallentamento critico è l'avvertimento precoce di un imminente collasso.

Altre ricerche sugli appezzamenti di foresta pluviale supportano l'affermazione dello studio di Wilcock e collaboratori: la biomassa nella foresta pluviale sta impiegando più tempo per riprendersi dallo stress. Gli alberi muoiono più spesso e ricrescono più lentamente, contribuendo a una riduzione complessiva della biomassa amazzonica totale.


Il destino dell'Amazzonia4

 
I dati di questa ricerca non svelano quando potrebbe verificarsi una transizione critica o se essa sia già in corso. Ma, oltre al cambiamento climatico di per sé, altre gravi fonti di stress, stanno agendo contemporaneamente: la costruzione di strade, l'espansione dei terreni agricoli Ma, soprattutto, il disboscamento dovuto agli allevatori e agli agricoltori che non solo disboscano ma bruciano i detriti per far posto a coltivazioni e bestiame. I fuochi possono poi incendiare la torba, materia organica concentrata nel suolo, che rilascia ingenti quantità di carbonio nell'atmosfera. Da enorme bacino in grado di catturare la CO2 l'Amazzonia si sta trasformando in una fonte di gas serra.

Il fenomeno è complesso: l'Amazzonia agisce come una sensibilissima macchina idrologica: gli alberi assorbono la pioggia e rilasciano vapore acqueo con la fotosintesi,

Come spiega Luciana Vanni Gatti, (Istituto nazionale di ricerca spaziale del Brasile)


l'evapotraspirazione è fondamentale per produrre precipitazioni. l’Amazzonia può immetterne nell'aria una quantità paragonabile a quella che il Rio delle Amazzoni scarica nell'oceano. Si tratta di una quantità enorme di vapore acqueo nell'atmosfera4.


https://it.ovalengineering.com/rainforests-water-pump-455002


Una delle fonti di stress più pericolosa è, attualmente, la politica del governo brasiliano3.


Il collasso della foresta pluviale amazzonica è inevitabile se Jair Bolsonaro rimane presidente del Brasile.

 

 Un tipo pericoloso3

 

https://greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/greenpeace-con-bolsonaro-la-deforestazione-dellamazzonia-e-aumentata-del-75/

 

Questo hanno dichiarato accademici e attivisti ambientali, sostenendo che il leader di estrema destra è più interessato a placare la potente lobby dell'agrobusiness e a sfruttare i mercati globali che premiano i comportamenti distruttivi che a salvare la foresta. Infatti:


Lo scorso anno il Congresso ha smorzato gli standard per le valutazioni di impatto ambientale e una commissione ha approvato un disegno di legge che, secondo Greenpeace Brazil, rende irrealizzabili le demarcazioni, consente l’annullamento delle Terras Indígenas aprendole a imprese predatorie come le miniere, a strade e a grandi centrali idroelettriche. 

 

 

https://mirim-org.translate.goog/pt-br/terras-indigenas?_x_tr_sl=pt&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc


Nel luglio 2021 la camera bassa avrebbe dovuto esprimersi sulla legalizzazione delle proprietà invase illegalmente e sgomberate prima del 2014. Ma nello stesso periodo il governo ha trasferito la responsabilità del monitoraggio satellitare degli incendi boschivi dall'Istituto nazionale per la ricerca spaziale (presso cui lavora Luciana Vanni Gatti), organizzazione scientificamente solida che ha svolto il suo compito per decenni, all’Istituto nazionale di meteorologia, controllato dal ministero dell'agricoltura e dal settore agricolo.

Da quando Bolsonaro ha preso il potere nel 2019, la deforestazione e gli incendi in Amazzonia hanno raggiunto i livelli più alti in oltre un decennio, perché, nei periodi secchi, l’erba è facile esca per il fuoco.


              https://www.open.online/2020/05/09/gennaio-spariti-1200-km-foresta-amazzonica-bolsonaro-taglia-fondi-forestali/

Gli scienziati sospettano che la foresta pluviale stia scivolando in una serie di circoli viziosi. A livello locale, il disboscamento e gli incendi hanno portato a siccità prolungate e temperature più elevate, che a loro volta indeboliscono la resilienza dell'ecosistema e provocano atri incendi.
A livello globale lo sgombero del suolo sta trasformando la regione amazzonica da amica del clima a sua nemica. Uno studio pubblicato su Nature rivela che la combustione delle foreste ora produce circa tre volte più CO2 di quella che la vegetazione rimanente è in grado di assorbire. Questo accelera il riscaldamento globale e la crisi si avvita sempre più.


Il governo può fare la differenza3


Le forze del mercato globale sono in parte responsabili di questo circolo vizioso: la deforestazione tende ad aumentare quando i prezzi di soia, carne bovina e oro sono alti. Nessun governo, di qualsiasi orientamento, è riuscito a fermare completamente il disboscamento negli ultimi quattro decenni. Ma le politiche governative fanno la differenza.
Tra il 2004 e il 2012, la deforestazione amazzonica è diminuita dell'80% sotto l'amministrazione del Partito dei Lavoratori di Luiz Inácio Lula da Silva.

Bolsonaro, invece, ha costantemente smantellato o screditato i meccanismi che l'hanno permesso: monitoraggio satellitare, personale sul campo e legislazione per punire i trasgressori e delimitare la terra indigena e le aree di conservazione.

La cosa principale che questo governo [di Bolsonaro] ha fatto è minare la capacità dello stato di contrastare la deforestazione illegale.

 

http://www.iea.usp.br/midiateca/foto/eventos-2011/o-codigo-florestal-brasileiro-entre-a-producao-e-a-conservacao-ambiental/marcio-astrini-2/image_view_fullscreen


ha affermato Marcio Astrini, segretario esecutivo dell'Osservatorio brasiliano sul clima, una rete di 50 organizzazioni della società civile.


I mercati e l’opinione dei consumatori contano, ovviamente, e diverse catene di supermercati (Iceland, Waitrose, Tesco, Lidl, Sainsbury's) hanno firmato una lettera aperta avvertendo che ulteriori erosioni della legislazione ambientale e dei diritti delle popolazioni indigene le spingerebbero a riconsiderare l'utilizzo di prodotti agricoli brasiliani. 

Ma conta anche il fatto che sul mercato globale i prezzi delle materie prime rimangono alti: la domanda è forte soprattutto in Cina, dove il governo pone l'approvvigionamento di risorse al di sopra dell'etica ambientale e la pressione dei media è limitata da una severa censura. La Cina è, con ampio margine, il mercato più grande del Brasile.

Tanto per dare qualche numero:

Il valore commerciale dell'interscambio Brasile-Cina vale 87.7 miliardi di dollari sulle esportazioni brasiliane in Cina e  47.6 miliardi sulle importazioni di prodotti cinesi in Brasile. Pechino è il primo partner in entrambe le direzioni fonte5


In conclusione


A. Se la soglia critica verso il collasso amazzonico non è stata ancora superata, gli effetti combinati di tutti questi elementi potrebbero farla giungere prima di quanto si è supposto finora. Una volta iniziata la transizione verso uno stato ambientale differente, potrebbero bastare pochi decenni per completarla.


B. Se non invertiremo le emissioni globali di gas serra, non ridurremo la pressione locale sulla foresta pluviale e non conserveremo gli habitat per contrastare gli effetti di un clima più secco, forse saremo le ultime generazioni a condividere un pianeta con questi ecosistemi.


C. Come ha riassunto Astrini:


Ora è chiaro che una soluzione per l'Amazzonia può essere possibile solo se cambiamo governo. Non c'è speranza se Bolsonaro sarà rieletto presidente. O l'Amazzonia o Bolsonaro. Non c'è spazio per entrambi.


foto Alessio Spinaci https://www.dinamopress.it/news/linea-domani-la-crisi-climatica-le-minacce-difensori-dellambiente/

D. Amazzonia non significa soltanto ecosistemi, ma anche popolazioni native che intendono difendere i loro diritti (la regione è abitata da circa 350 popolazioni indigene). Nel 2020 in America Latina sono stati uccisi 170 attivisti. Quasi il 70% di loro conduceva battaglie contro la deforestazione6.

 

E. Le elezioni per la presidenza brasiliana si terranno nell’ottobre 2022.


1 Gianluca Ruggieri e Mauro Motta, I treni persi delll'indipendenza energetica italiana in https://altreconomia.it/i-treni-persi-dellindipendenza-energetica-italiana/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=23NANS

2 Simon Willcock, Gregory Cooper, John Dearing, Is the Amazon rainforest on the verge of collapse? [La foresta amazzonica è sull'orlo del collasso?], The Conversation, 7 marzo 2022

3 Jonathan Watts Amazon rainforest ‘will collapse if Bolsonaro remains president[La foresta amazzonica collasserà se Bolsonaro resterà presidente], in «The Guardian», 14 luglio 2021

4  Matt Simon, La foresta amazzonica potrebbe essere vicina a un punto di non ritorno in wired.it

5 Emiliano Guanella, In Brasile, la Cina guarda all'anno elettorale, in ISPI 07/02/2022 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/brasile-la-cina-guarda-allanno-elettorale-33112 

6 Strage di attivisti ambientali, il 2020 l’anno peggiore di sempre https://www.rinnovabili.it/ambiente/politiche-ambientali/attivisti-ambientali-strage-2020/


lunedì 13 dicembre 2021

Ma come ti è saltato in mente?

 

La fine dell’anno si avvicina, le giornate quasi impercettibilmente si accorciano, fino a giungere al solstizio d’inverno. 

 


Poi, una manciata di secondi al giorno, torneranno ad allungarsi… 

E noi, assorbiti (o incastrati…) dalle festività, forse non ce ne accorgeremo.

 


 

Ma lasciamoci un po' di tempo prima di chiudere con il 2021, tiriamo le somme. Ho fatto una piccola lista di cose su cui voglio soffermarmi. Ne scriverò sul mio blog, per non invadere lo spazio comune. 

 

N.1  

Margine di incertezza, 5° volume della collana di romanzi brevi Atlantis.

Sarebbe buona regola per un autore non parlare troppo di ciò che scrive, e io intendo attenermi ma… “Perché hai scelto questo titolo?”, mi ha chiesto qualcuno. E questo sì, lo posso dire.

Il titolo è nato dalla storia bizzarra di H, ingegnere informatico molto fortunato, riportata da «Internazionale» a novembre dello scorso anno. 

Senza nuotare nell’oro, H aveva un ottimo lavoro di suo gradimento a poca distanza da casa e abitudini soddisfacenti da tutti i punti di vista. Era così contento da ripetere, settimana dopo settimana, la propria vita senza variazioni. Probabilmente avrebbe continuato a farlo anche vent’anni dopo. 

Una vita trascorsa quasi in automatico… Una prospettiva che, improvvisamente, l'ha spaventato.  Alla fine ha mollato tutto e, per un paio di anni, ha scelto che cosa fare giorno per giorno in maniera randomica. 

Poi è tornato ed è diventato artista.

L'articolo di «Internazionale» era intitolato Il bello dell’incertezza e, letto in piena pandemia a fine 2020, sembrava una presa in giro.  

Dopo aver mandato il fortunato H a quel paese, però, ho continuato a rimuginarci: “Ma ci può essere davvero qualcosa di buono nell'incertezza?”

E così ho cercato una risposta. O meglio, l’ho fatta cercare al protagonista del mio romanzo breve, Ignas-T-Merlano. T sta per “talentoso”: Ignas è un doppio empatico.

Consulente che aiuta persone insoddisfatte nella scelta di un lavoro, Ignas, quando non coltiva la propria relazione sentimentale con Angela e Luciano, condivide una tranquilla solitudine con TRex, attempata IA creata per tenere compagnia ai piccoli umani.

È un bel tipetto, TRex, alto come un bambino e fornito di un gran vocione. Ma sotto le sembianze da piccolo tirannosauro amichevole, nasconde molte risorse.

Mandato in missione su Fortunata – piccolo mondo del basso Adriatico,  comunitario e pieno di colore – Merlano andrà incontro a molte sorprese, piuttosto diverse da quelle cercate dall'ingegnere informatico H.

 

https://www.green.it/citta-galleggiante-polinesia/

La frase in esergo al racconto è di Fabrice Olivier Dubosc e ribadisce che la realtà nasce momento per momento dalla molteplicità del possibile:

 

… la struttura profonda della realtà non è qualcosa di dato ma un processo generativo di possibilità emergenti.

 

 E qui mi fermo. Se volete saperne di più leggete Margine di incertezza.


 




lunedì 15 novembre 2021

Nuove proposte sul diritto all'autodeterminazione

 

Consiglio vivamente la lettura di un racconto che, con un'utile (e divertente) provocazione,  spinge il concetto di autodeterminazione oltre l'uso comune riferito a popoli, persone singole, altre specie. E gli oggetti? 

 

Sephira Riva

Addendum alla proposta di legge sul diritto all'autodeterminazione degli oggetti


 

In un laboratorio scientifico situato nelle isole Svalbard, un luogo ormai funestato dalla crisi ambientale, dove l’unica caratteristica “artica” è ormai il buio invernale, un variegato gruppo di ricerca trascorre lavorando il periodo natalizio.

Il laboratorio è un microcosmo esposto a livello locale ai medesimi problemi che si stanno verificando nel resto del mondo: emergenze climatiche crescenti – paradossalmente anche interne all’edificio per il malfunzionamento di un macchinario – carenza cronica di fondi per la ricerca, scarse garanzie lavorative per i giovani. 

Tre personaggə, Ena, Nadia, e Ahmed, che è “qualcosa come il capo di Ena e Nadia”, effettuano analisi di materiali e trascorrono il tempo a rimaneggiare vecchi dati e ad aspettare che altri gruppi di ricerca chiedano il loro aiuto.

Ma le cose stanno per cambiare: sono in arrivo dei clienti. Anzi, client*, perché per gli umani è molto difficile anche soltanto contarl* e stabilire la loro forma. 

Client* vogliono commissionare una vera ricerca, ovviamente molto particolare, e sono disposti a pagare bene…

Riuscendo nel piccolo miracolo di mescolare rigorose procedure scientifiche, temi filosofici, relazioni sociali e umanissime emozioni, Sephira Riva conduce in porto un bel racconto che oscilla tra dimensioni galattiche e il nostro periferico pianeta.

Il linguaggio inclusivo è uno dei pregi del racconto.

Si parlerà del racconto e di linguaggio inclusivo durante il reviewparty annunciato nella locandina.

 #reviewparty #fantaschwa #addendum

 

Occorre tassare i super ricchi per salvare il nostro pianeta

  Quando apro un nuovo numero di «Internazionale», di solito mi limito a leggere gli articoli che catturano la mia attenzione, poi metto la ...