lunedì 31 ottobre 2016

Siamo alla fine dell'inverno?

Kaamos: la lunga notte artica secondo i finlandesi
Le emissioni umane di gas serra stanno trascinando la Terra verso il caldo. E l'Artico è la regione che si scalda più rapidamente. 
Secondo la Nasa, quello del 2016 è stato il gennaio più caldo di tutti i 136 anni documentati riguardo al  clima globale del pianeta. Non solo la sua temperatura media è oltre un grado sopra la linea basale del 20° secolo ma, a causa di un El Nino fuori misura, la zona che più ha risentito di questo aumento è stata proprio l'Artico. Ed è lì, sulla Siberia, sul Canada Settentrionale, sul nord della Groenlandia e in tutta l'area dell'Oceano Artico situata oltre il 70° parallelo Nord che le temperature sono state in media fra i 4 e i 13 °C al di sopra della norma, per tutto il mese. Mano a mano che si va a Nord le notizie peggiorano: oltre l'80° parallello nord, le medie delle temperature dell'intera regione hanno raggiunto i 7,4°C oltre la norma; questa, in un anno normale sarebbe  la medesima escursione termica riscontrabile tra gennaio e aprile
In sostanza gennaio ha mantenuto una temperatura media da primavera artica.
Primavera artica

Ma dove sta il problema?

Il calore porta alla fusione più rapida dei ghiacciai e all'aumento del livello del mare di vari centimetri. Ma il guaio non si ferma lì: man mano che il ghiaccio – di color bianco e riflettente la luce – si ritira, scopre superficie di colore blu sull'oceano  e verde-marrone sulla terraferma che riflettono molto meno e assorbono calore. Il termine scientifico che indica il valore della frazione di luce riflessa da una qualunque superficie è albedo:  essa è massima (= 1) quando tutta la luce viene riflessa, minima (= 0) quando la luce viene tutta assorbita.L'albedo del ghiaccio è molto alta,  (circa 0,9) quella della terra o della roccia è molto bassa (< 0,1), quella dell'acqua anche di più (= 0,07) perché gran parte dell'energia luminosa viene assorbita. 

Permafrost

Il calore assorbito a causa della bassa albedo porta all'ulteriore scongelamento delle zone circostanti, nonché alla fusione del permafrost, il terreno congelato dell'estremo Nord, dove il suolo è perennemente ghiacciato (anche se in certe aree lo strato più superficiale si scioglie in parte d'estate e si ricongela d'inverno). Lo spessore dello strato di permafrost varia da zona a zona e può raggiungere, in Siberia, anche 1,5 km, mentre in Alaska e in Canada è di varie centinaia di metri. Al di sotto del permafrost, che funge da strato impermeabile, possono trovarsi vasti giacimenti di metano che verrebbero liberati nell'atmosfera se il permafrost si sciogliesse
Il metano è un gas serra.
E questo si chiama circolo vizioso. 

Tra le prime vittime dello scioglimento dei ghiacci e del permafrost ci sono i Sami, che vivono in una vasta area tra Russia e Scandinavia; Sono 100.000 in tuttomeno di un milione se uniti alle altre etnie indigene dell'Artico – su una popolazione globale di 13 milioni. Il popolo Sami vive soprattutto di pastorizia: le renne pascolano su un'area enormemente vasta e i cambiamenti climatici cambiano velocemente i loro territori. 


"La neve arriva dopo, gli inverni sono più miti, la primavera arriva prima. Aumentano le piogge e diminuiscono le nevicate. La tundra si restringe […] Se l'autunno è troppo umido e poi le temperature crollano improvvisamente, si forma uno strato di ghiaccio sotto la neve che impedisce alle renne di raggiugere i licheni con cui nutrirsi. La neve secca va bene, quella umida può essere un disastro" (1)
dichiarazione di Bruce Forbes, ecologo 
Università della Lapponia di Rovaniemi (Finlandia)  

Avendo ormai la maggior parte dei mesi del 2016 alle spalle possiamo constatare che tutti i mesi, da gennaio a giugno sono stati rispettivamente i più caldi mai registrati, come segnalato dal Goddard Institute for Space Studies (GISS) della  NASA. Siamo 1,3 °C oltre la temperatura rilevata a fine Ottocento, con picchi molto al disopra di questa media in varie parti del mondo. La calotta ghiacciata del Mar Glaciale Artico ha fatto registrare record di minore estensione in tutta la prima parte dell'anno e, in media nella stagione calda la calotta è 40% meno estesa rispetto alle misurazioni datate fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Novanta.


Il GISS sta inviando ricercatori a monitorare i cambiamenti da vicino: il progetto Operation IceBridge, ad esempio, misurerà le pozze d'acqua  causate dalla fusione del ghiaccio sulla calotta artica. Come abbiamo visto, la superficie più scura delle pozze, avendo un'albedo molto bassa, contribuisce ad accelerare la fusione della calotta.

Un’altra campagna promossa dai ricercatori della Nasa chiamata Arctic-Boreal Vulnerability Experiment studierà come foreste, permafrost e altri ecosistemi stiano rispondendo all’aumento delle temperature nell’Artico.




 1. Le ultime sentinelle dell'Artico, di Jacopo Pasotti  in Inchieste di Repubblica.
 

Per approfondire:






Per saperne di più sul popolo SAMI vi rimando al mio post Vita da Sami
e a L'ultimo lappone, romanzo di Olivier Truc, che ho recensito su LN-Librinuovi.net  

 





martedì 18 ottobre 2016

Il futuro dei nostri guai

Prima di tutto voglio pagare un debito: questa serie di post è stata ispirata da un ottimo libro di divulgazione scientifica: Il libro dell'acqua, di Alok Jha. All'inizio pensavo di cavarmela con una recensione complessiva ma i dati forniti nei primi capitoli sono talmente inquietanti da spingermi a documentarmi ulteriormente e a informarvi delle mie ricerche. 


Ovviamente sul singolo aspetto – aumento della temperatura media superficiale dei mari, acidificazione delle acque, scioglimento dei ghiacci polari ecc. – in rete e in letteratura si trovano tantissimi interventi, ma Jha ha il grande merito di giustapporli e condensarli chiaramente in poche decine di pagine. E la lettura preoccupa. 

Ero quindi risoluta a raccontare le conseguenze dei guai precedenti su attività umane come la pesca, quando casualmente mi è caduto l'occhio su un paio di dichiarazioni sul riscaldamento globale di un esperto qualificato: Mr Trump. Sì, proprio lui, Il Donald, l'uomo che non si lascia mai scappare un'occasione per  fare dichiarazioni imbarazzanti. 
Non ho saputo  resistere alla possibilità di dargli torto, ma  la mia coscienza ecologica si sente malissimo, perché adesso so.

L'innalzamento dei mari
Se ne parla tanto, tutti abbiamo letto o sentito le fosche previsioni, persino il Donald, che in un tweet del 2012 ne aveva dato la colpa ai cinesi: 

“Il concetto di riscaldamento globale è stato creato da e per i cinesi, allo scopo di rendere la produzione degli Stati Uniti non competitiva” 

Il  2 Gennaio 2014 comunque fornì una spiegazione alternativa del fenomeno: 

Insomma, perché preoccuparci? Il riscaldamento globale è una costosa palla: il pianeta  si sta raffreddando e tra poco i ricercatori che la sostengono saranno congelati come i bastoncini di pesce. 
Se però voi, come me, vi ostinate a non prendere sul serio queste perle di saggezza sarete probabilmente disposti a  riflettere sui dati che seguono.

Negli ultimi cento anni, il tasso d'innalzamento del livello degli oceani è stato il più veloce dei 27 secoli precedenti. Lo evidenziano due diversi studi pubblicati su PNAS, Proceedings of the National Academy of Sciences, e riassunti sul sito Le scienze.it  in un articolo del 26 febbraio 2016.
Il primo studio, frutto di una collaborazione internazionale, presenta una ricostruzione delle variazioni del livello globale dei mari negli ultimi 3000 anni. Nell'era preindustriale il livello globale oscillava di + 8 cm circa, con un calo sensibile tra i secoli XI e XV, a causa di una diminuzione della temperatura media globale di 0,2 °C. Nel corso del XX secolo, invece, l'innalzamento è stato più rapido che nei precedenti 27 secoli, con una variazione di + 14 cm; simulazioni attendibili indicano che senza l'effetto serra antropico la variazione di livello dei mari sarebbe stata compresa tra – 3 cm e +7 cm.

Il secondo studio combina per la prima volta simulazioni al computer e registrazioni storiche per dedurre una relazione statistica tra aumento della temperatura e incremento del livello dei mari, ottenendo così una stima molto affidabile delle conseguenze del riscaldamento climatico.
I possibili scenari ottenuti, codificati anche nel quinto rapporto dell'IPCC delle Nazioni Unite (di cui abbiamo già parlato nei post precedenti), corrispondono a diverse proiezioni dell'incremento della temperatura media globale tra il 2081 e il 2100 rispetto alla media delle temperature globali tra il 1986 e il 2005
 


Scenari possibili

Incremento medio di T°

Intervallo di innalzamento dei mari nel 2100

1° scenario

+ 1 °C

28 cm – 56 cm.

2° scenario

+ 1,8 °C

37 cm – 77 cm

3° scenario

+ 3,7 °C

57 cm – 131 cm

Previsioni V rapporto IPCC


52 cm – 98 cm

Previsioni IPCC

in caso di drastica riduzione di emissioni di gas serra dovute ad  attività umane


28 cm – 61 cm


 
Secondo l'ANSA  i dati sarebbero confermati anche dall'analisi di campioni di ghiaccio prelevati in Antartide.
Insomma, le cose si mettono proprio male.



In un articolo del 27 agosto  2015 l'ANSA riporta dati satellitari ottenuti dai ricercatori Nasa sul possibile innalzamento dei mari. Il direttore della Divisione di Scienze Naturali della Nasa ha ricordato che sono a richio le case di 150 milioni di abitanti delle aree costiere basse, a non più di un metro sopra il livello del mare; si tratta soprattutto di aree asiatiche:  Paesi poveri come il Bangladesh, ma anche città moderne come Tokyo e Singapore, che potrebbero essere interamente sommerse. Anche la Florida è a rischio: le strade di Miami sono già periodicamente allagate per le alte maree.

Surfisti lungo le strade allagate della Florida, vicino a Tampa, 2 settembre 2016 (fonte: Corriere della Sera)


Qui per avere un'idea dell'entità del  guaio italiano. I dati si riferiscono al 2100. 
 
Negli ultimi 10 anni, stando ai satelliti della Nasa, l'Antartide ha perso in media 118 miliardi di tonnellate di ghiaccio all'anno; la calotta della Groenlandia ne ha persi addirittura 303 miliardi di tonnellate. 


 

domenica 18 settembre 2016

Un guaio rapidissimo

Terza puntata
Nella lunga storia del pianeta Terra il clima è cambiato molte volte e questi cambiamenti hanno influenzato la circolazione termoialina che, ad esempio, circa 12 milioni di anni fa – nel corso dell'ultima grande glaciazione – ha funzionato a forza ridotta e forse si è completamente bloccata.

Prima ancora,  55 milioni di anni fa, il percorso del "nastro trasportatore" si invertì addirittura e la corrente calda superficiale scorreva da nord a sud. Questo cambiamento apportò acqua più calda nelle profondità degli oceani, favorendo un ulteriore incremento termico. Secondo gli oceanografi, una delle cause scatenanti fu un aumento della temperatura delle  acque marine superficiali; in quel periodo, infatti, si verificò un cosiddetto massimo termico e la temperatura media degli oceani salì di circa 7,5° C rispetto alla media odierna. 

Picco termico  55 milioni di anni fa (oceano artico)
L'intero processo avrebbe potuto svolgersi così:
aumento dell'evaporazione nelle zone tropicali ---->  aumento della formazione di nuvole ----> spostamento delle nuvole verso i poli ----> precipitazioni sugli oceani ----> diminuzione della salinità polare ----> ridotto sprofondamento di acque dense ai poli.

Voilà: nastro trasportatore bloccato.

N.B. Secondo gli studiosi, questo sconvolgimento si verificò  nel giro di pochi millenni, poi la nuova situazione  durò a lungo, almeno 100.000 anni. 

E veniamo ai tempi nostri: negli ultimi 150 anni la specie umana sta immettendo quantità enormi di gas serra nell'atmosfera, aumentando in maniera rapidissima la temperatura delle acque superficiali. 150 anni non sono niente a confronto del tempo profondo della geologia, ma bastano, forse, a combinare un bel, velocissimo disastro. Cambiando radicalmente l'idrosfera del pianeta.
Per comprendere l'entità del  "nostro" guaio occorre tenere a mente che la vita sul pianeta è sempre riuscita a ritrovare un equilibrio, anche in condizioni difficili come quelle delle estinzioni di massa, che furono anche momenti altamente significativi per l'esplosione di nuove forme di vita. 
La più grave estinzione di massa della storia di Terra fu l'estinzione P-Tr, che avvenne circa 250 milioni di anni fa e segnò il limite tra il periodo Permiano e il Triassico. 

Dinogorgon, rettile-mammifero del Permiano (260- 240 milioni di anni fa)


Allora oltre il 90% delle specie marine e il 70% dei vertebrati terrestri scomparvero, cambiando la direzione dell'evoluzione della vita. Andò perduta un'enorme parte della biodiversità ma in soli 10 milioni di anni Terra raggiunse, grazie alla comparsa di nuove specie, valori di biodiversità comparabili con quelli precedenti. Inutile dire che questa notizia, ottima  dal punto di vista biologico, sarebbe stata una magrissima consolazione per tutte le specie scomparse. Facciamoci quindi una domanda: su quale fronte si sarebbe trovata la specie umana, con tutte le necessità indotte dalla propria sofisticata civiltà tecnologica, fra i sopravvissuti o fra i cari estinti? 
Ecco, questo è il vero guaio.
A proposito: quale fu la maggior causa scatenante dell'estinzione P-Tr?   
Le ricerche più recenti indicano numerose concause: riscaldamento globale, piogge acide, acidificazione e anossia degli oceani. Potrebbe essersi anche fortemente indebolita la circolazione termoialina. Vi ricorda qualcosa?

Tenete a mente la questione dell'acidificazione. Ne riparleremo la prossima volta. 

lunedì 12 settembre 2016

Gli oceani? Non stanno niente bene!


Possiamo dividere le acque degli oceani e dei mari in due livelli: quello superficiale (fino a 400 m di profondità), che comprende circa il 10% delle acque, e quello profondo, che comprende il restante 90%. È la gravità a provocarne la stratificazione, facendo sprofondare le acque più dense e salire quelle meno dense; la differenza di densità è dovuta alla temperatura e alla salinità. Le zone di maggiore sprofondamento sono quelle dell'Atlantico settentrionale (qui la Corrente del Golfo si raffredda e scende negli abissi oceanici) e le zone attorno all'Antartide, dove le acque superficiali gelano e quelle dense, fredde e salate, scendono in profondità.
In pratica, il pianeta è interessato da un continuo movimento di acque detto circolazione termoialina (il termine deriva dal greco: calore + sale), che lo percorre per intero trasportando, proprio come un nastro trasportatore planetario, sostanze nutritizie, anidride carbonica, energia. Le acque si muovono molto lentamente, più o meno a 1 cm/sec: una molecola d'acqua impiega circa mille anni per compiere un giro completo. 

Acque fredde, ad alta salinità -----    Acque calde e poco salate ----

Il rimescolamento dei due strati d'acqua è fondamentale perché le molecole organiche e i sali minerali tendono a precipitare dall'alto fino al piano abissale e le acque superficiali così perdono le sostanze in grado di sostenere la catena alimentare.
Purtroppo, il nostro "nastro trasportatore" rischia di guastarsi.

Secondo il quinto rapporto dell'IPCC (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico), questi sono i cambiamenti avvenuti dalla Rivoluzione Industriale a oggi:


A: I mari hanno assorbito il 93% di tutta l'energia prodotta dall'effetto serra legato all'uso dei combustibili fossili nell'ultimo secolo e il 30% dell'anidride carbonica di origine antropica.


https://saidisale.com/2015/11/29/allarme-gas-serra-che-futuro-ce-per-i-nostri-figli/



B: La temperatura superficiale delle acque è in aumento fin dall'inizio del XX secolo:



Oceano Indiano Oceano Atlantico Oceano Pacifico
aumento della temperatura superficiale fino a 700 m. di profondità
+ 0,65°C

+ 0,41°C

+ 0,31°C


Conseguenze dell'aumento della temperatura superficiale: 

1.
maggio 2016: ondata di  violente tempeste tropicali in Bangladesh
  
tropici
poli
tempeste tropicali più violente e con maggior potere distruttivo vicino alle coste densamente abitate 
QUINDI:
aumento tasso di scioglimento dei ghiacci
maggiori precipitazioni


QUINDI:
abbassamento salinità QUINDI:
strato stabile superficiale di acqua + calda e – salata, povera di nutrimento rispetto allo strato di acqua + fredda e + salata sottostante
QUINDI:
mancato rimescolamento dei due strati



2.
inquinamento industriale
dilavamento dei terreni agricoli
aumento temperatura delle acque
eccesso di fertilizzanti e sostanze nutrienti in fiumi e mari QUINDI:
aumento abnorme di fitoplancton e alghe
QUINDI:
maggior assorbimento di anidride carbonica
maggior consumo di ossigeno discolto
stratificazione e mancato rimescolamento
delle acque
Effetto 
POSITIVO
MA:

QUINDI:
Scarso ossigeno disponibile nello strato più superficiale per grandi pesci e mammiferi acquatici.


Invasione di alghe nel mare Adriatico presso Cervia
 
Secondo il rapporto dell'IPCC   per tornare alle condizioni di 150 anni fa ci vorranno secoli, forse millenni.

Qui per saperne di più sulla circolazione oceanica profonda 

mercoledì 7 settembre 2016

Due grandi avventure per confermare dati allarmanti

La prima avventura

Nel 1870 due naturalisti britannici, William Benjamin Carpenter e Charles Wyville Thomson proposero di effettuare uan spedizione per mappare in maniera sistematica mari e oceani terrestri. Chiesero e ottennero finanziamenti alla Royal Society e al governo inglese e li ottennero, perché proprio in quegli anni le prime aziende di telecomunicazioni progettavano di collegare via telegrafo Europa e Stati Uniti. Per farlo dovevano stendere dei cavi lunghissimi e quindi conoscere in maniera dettagliata i fondali marini. 
I nostri due eroi ottennero 200.000 sterline con le quali riadattarono a nave laboratorio una ex corvetta della Royal Navy, la Challenger, lunga 68 metri, che partì da Porthsmouth nel dicembre 1872 con a bordo 200 uomini di equipaggio e 6 scienziati. Al ritorno, nel 1876, la Challenger aveva mappato 130.000 km di oceani, passando per le Americhe, il Sudafrica, l'Australia, il Giappone, l'Antartide  e varie isole di Atlantico e Pacifico. 

il viaggio della Challenger

La nave trasportò a casa migliaia di casse, vasi grandi e piccoli, fiale e scatole metalliche contenenti campioni sotto alcool e sotto sale; per classificarli tutti occorsero  20 anni di lavoro e vennero individuate  5000 nuove specie abissali. 
Il vero tesoro portato dalla Challenger furono, però, i dati riguardanti la temperatura e le proprietà chimiche e fisiche  di migliaia e migliaia di prelievi di acqua effettuati a varie profondità

Il record delle misurazioni venne fissato a -8 km, fra Guam e Palau, nel Pacifico sud-occidentale; in quella zona si trova la maggior profondità marina mai registrata, nella zona sud della Fossa delle Marianne: -11 km; il punto è chiamato abisso Challenger

I dati ottenuti da quella gloriosa spedizione hanno stabilito le basi dell'oceanografia e sono ancora oggi rilevanti per lo studio del clima e degli oceani. 

I membri della spedizione

La seconda avventura

135 anni dopo, nel  XXI secolo,  due oceanografi – Dean Roemmich dello Scripps Oceanography Institute in California e John Gould del National Oceanography Centre di Southampton – hanno deciso di ripercorrere il tragitto della Challenger compiendo le medesime misurazioni di allora negli stessi punti e profondità (circa 300) ma con gli strumenti più moderni oggi disponibili. 
Invece di navigare sui mari gli oceanografi hanno navigato nella Rete, utilizzando i dati raccolti dai 3000 galleggianti robotici di Argo, la rete internazionale di osservazione degli oceani varata nel 2000.

profilatore autonomo in emersione

Ogni robot è fornito di sensori per la misurazione di temperatura salinità, direzione e forza del vento e delle correnti. Le sonde robotiche possono immergersi fino a 2 km di profondità registrando in maniera continua le proprietà fisiche delle acque, poi riemergono periodicamente e inviano i dati a Giasone, un satellite dedicato. Roemmich e Gould, esaminando le rilevazioni di Argo hanno ripercorso virtualmente la rotta della Challenger confrontando i dati ottenuti con quelli di allora. 
Della rete Argo fa parte anche Argo-Italy la componente italiana, che studia in paticolare le acque del Mediterraneo.
 
Aliante sottomarino in grado di trasmettere dati alla superficie

Il confronto fra i dati del lavoro pionieristico della Challenger e quelli dello studio di Roemmich e Gould costituisce una delle basi del quinto rapporto del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC- Intergovernmental Panel on Climate Change), dedicato agli effetti climatici dei gas serra atmosferici, un'opera vastissima alla quale hanno lavorato per anni migliaia di ricercatori esaminando la letteratura scientifica e spaziando dalla Fisica atmosferica all'Ecologia marina.
Il prossimo post sarà dedicato al rapporto dell'IPCC. 

martedì 6 settembre 2016

Meglio bene che meglio

Devo questo titolo a una frase del mio consorte, pronunciata durante una chiacchierata a tre con un amico comune. Lui, l'amico, mi prendeva bonariamente in giro perché questo mio blog era inchiodato su un lungo intervento sulle felci datato qualcosa come un anno e mezzo fa.

Io – Sì, è vero. Ma un post di divulgazione scientifica mi succhia un sacco di tempo. Prendo spunto da piccole cose: una passeggiata nel bosco, l'osservazione di una tela di ragno, oppure da letture varie: romanzi, racconti... e poi cerco la documentazione, immagini, video, è una faccenda lunga.


Amico – Perché sei una perfezionista, cerchi di scrivere dei trattati…

Io – Ma in queste cose occorre essere precisi, documentati…

Consorte – Quando il meglio è nemico del bene!

Appunto.

Mi sarebbe molto piaciuto dargli torto. Ma alla fine ho dovuto ammetterlo: pretendere di fare troppo è il viatico per non fare più niente. E per non divertirsi più.

Quindi, d'ora in avanti, post brevi e più frequenti.

E quello che seguirà  è il primo.

venerdì 8 maggio 2015

Misteriose felci. Quarta parte

Ma loro come lo fanno?

È venuto il momento di rivelare uno dei segreti della vita privata delle Pteridofite: loro sono “diverse”.
Noi pluricellulari, in stragrande maggioranza, abbiamo almeno una costante nella vita: nasciamo diploidi e diploidi moriamo. Non è molto, indubbiamente, ma il nucleo di ognuna delle nostre cellule somatiche possiede per tutta la nostra vita due set di cromosomi: uno di origine paterna e uno di origine materna. Tutte le nostre cellule TRANNE le cellule riproduttive, i gameti. Quelli sono aploidi, cioè hanno un solo set: un cromosoma 1, un cromosoma 2, un cromosoma 3... ecc. provenienti o dal set materno o dal set paterno, fino al cromosoma 23 (che può essere X o Y e, nei mammiferi, indica il sesso biologico del nascituro). E questo perché la diploidia verrà ripristinata nei fortunati pochi gameti che riusciranno a incontrare un partner dell'altro genere durante la fecondazione. E questa aploidia dei gameti ci salva dal disastro di raddoppiare il numero di cromosomi tipici della specie generazione dopo generazione.
Detto in linguaggio scientifico, dal punto di vista riproduttivo noi siamo diplonti.
Però, nella grande maggioranza dei pluricellulari, i gameti sono cosine discrete, cellule aploidi; certo negli uccelli il gamete femminile è un uovo visibile a occhio nudo, ma pur sempre una sola cellula.
Le Pteridofite (come altre creature molto antiche, tipo i muschi) sono invece aplodiplonti, ovvero presentano un'alternanza di generazioni aploidi e diploidi. Frutto di una sperimentazione separata di Madre Natura, loro fanno le cose in grande.
Le spore sono cellule aploidi che non si uniscono ad altre cellule e che, cadendo sul terreno, possono germinare, dando origine al gametofito che ha una forma a tubercolo o, nelle felci, laminare e viene chiamato protallo. I protalli possono essere solo maschili (e producono gameti maschili), solo femminili (e producono gameti femminili) oppure ermafroditi (allora producono entrambi i tipi di gameti). I gameti maschili sono spesso provvisti di ciglia per muoversi nell'acqua; i gameti femminili, invece, sono contenuti in piccole strutture a forma di fiasco e immobili. I gameti maschili “nuotano” fino ai fiaschetti e si uniscono al gamete femminile, formando un embrione che si nutre a spese del protallo, sviluppando lo sporofito che è diploide, cioè quella che noi consideriamo la pianta vera e propria. Quando lo sporofito giunge a maturazione sulle pagine inferiori delle fronde dello sporofito si formano gli sporangi che, spesso aiutati da agenti esterni (come il vento o magari il tessuto dei vostri abiti o il pelo del vostro cane), cadono al suolo liberando le spore, aploidi. E tutto ricomincia. 


ciclo riproduttivo delle felci

Insomma, mentre voi producete i vostri gameti che, unendosi a quelli di eventuali partner daranno origine a piccolissimi umani, la felce che state guardando produce qualcos'altro (o meglio qualcun altro, che gode di esistenza autonoma, seppur breve) che a sua volta produrrà la felce che vedrete il prossimo anno.
Ma i segreti riproduttivi delle felci non finiscono qui: oltre che alla riproduzione sessuata (gametofito) e asessuata sporofito), le Pteridofite possono ricorrere alla riproduzione agamica (cioè da parti della pianta adulta).
Un esempio di questa loro capacità viene dall'osservazione della Woodwardia radicans studiata presso l'Orto Botanico di Messina, che cura un progetto per la sua moltiplicazione e salvaguardia. La Woodwardia è una felce arborea molto bella, capace di riprodursi anche per via vegetativa grazie a bulbilli che si formano in cima alla foglia e radicano quando toccano il terreno umido. Ho preso in prestito l'immagine qui sotto proprio dal sito dell'Orto Pietro Castelli di Messina.

 
Woodwardia radicans
Ma, come direbbe un mio amico, le felci sono strane, sono pure belle, ma non si mangiano... Vale proprio la pena di dedicar loro tanto spazio? Se siete così pragmatici continuate a leggere...

Tesori della Terra
Le felci arboree del carbonifero ci hanno lasciato un'eredità grandiosa. I combustibili fossili. Come ricorda il biologo evoluzionista Piotr Naskrecki (1), 
… la nostra economia, basata sui combustibili fossili , è alimentata dagli alberi che dominavano le foreste palustri del Carbonifero, precursori di piccole piante che calpestiamo oggi ogni giorno come licopodi ed equiseti, che sono fossili viventi.

carbon fossile con felce

Questo bel pezzo di carbone esibisce una felce fossile, l'ho scelto proprio per ricordarvi che i combustibili fossili derivano dalla trasformazione (carbogenesi) di sostanza organica seppellita in profondità nella crosta terrestre nel corso delle ere geologiche, in forme molecolari via via più stabili e ricche di carbonio. Uno studioso di ecologia direbbe che queste sostanze conservano nei loro legami chimici l'energia solare assorbita dalla biosfera di centinaia di milioni di anni fa grazie alla fotosintesi e, nel caso del petrolio e del gas naturale, fluita lungo catena alimentare da un livello trofico all'altro.

Ma allora le piante sono pezzi di carbonio?
In un certo senso sì. Ma quali lentissimi processi hanno consentito alle Pteridofite e alle prime Gimnosperme di trasformarsi in combustibili?
Be', immaginiamo i vegetali delle antiche foreste mentre piano piano cadono a terra e cominciano ad essere coperti da sedimenti. La pressione su di essi aumenta, il calore – compreso quello prodotto dagli elementi radioattivi della crosta terrestre – pure. Lentamente i batteri anaerobi eliminano da queste sostanze organiche l'ossigeno, l'idrogeno e l'azoto sotto forma di acqua e ammoniaca, aumentando anno dopo anno la concentrazione di carbonio all'interno di questi resti (processo di carbonizzazione), fino alla formazione di quelli che chiamiamo i vari tipi di carboni fossili.


Maggiore il tempo di carbonizzazione, maggiore il contenuto in carbonio dei combustibili che vengono così classificati in base alla sua percentuale: il litantrace, che è il più pregiato, giunge al 93%, sua cugina povera, la torba, raggiunge soltanto il 55%.
I carboni che noi abbiamo imparato a estrarre da secoli sono formati da carbonio, da una certa percentuale di idrogeno, ossigeno, azoto e piccole quantità di argilla, calcite, zolfo e acqua. Lo zolfo, che nella combustione si libera sotto forma di anidride solforosa (?) è responsabile di una bella fetta di inquinamento atmosferico.
Il petrolio, invece, è una miscela di idrocarburi liquidi, e il gas naturale una miscela di idrocarburi gassosi. Entrambi derivano dalla fossilizzazione di resti animali, in genere plancton, in ambiente marino. In senso stretto non hanno relazioni con le nostre pteridofite, ma vale la pena ricordarlo.
A questo punto si potrebbe parlare dell'impatto ambientale e sulla salute umana dei combustibili fossili, ricordare che, soprattutto il petrolio, hanno innescato rivalità, attriti e guerre fra le nazioni della Terra, disquisire sul diritto di tutti i popoli di accedervi equamente e sul loro dovere di non inquinare... Ma anche questa è un'altra storia, che esula dalla modesta portata di questo mio post da neo-appassionata di Pteridofite...
Ma non esula dalla mia convinzione marxista che l'economia fa girare buona parte del mondo e che è meglio conoscerla, almeno un po', per non esserne soltanto vittime. 


Cielo di una città cinese oscurato dai fumi di carbone

Nel sito indicato qui sopra troverete alcuni dati interessanti sull'uso del carbon fossile.

Il mio spazio dedicato alle felci finisce qui. Spero di avervi convinti che sono creature meritevoli di attenzione e di attenzioni. Io mi ci sono affezionata e continuerò ad ammirarle nei boschi. Anzi – cane, gatto, marito e figlia permettendo – ne voglio ospitare una, purché sia in grado di campare bene nel clima caldo e secco del mio terrazzo. 

Potrei cominciare con questa: mi assicurano che resiste bene sia al calcare che alla siccità. 

Polypodium vulgare



(1) Liberamente citato da A. J. Werth e W. A. Shear nel bell'articolo La verità sui fossili viventi, pubblicato in “Le Scienze” n. 560, aprile 2015).

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LEGGERE INSIEME

Ieri sera, 2 ottobre 2023, è iniziata la seconda stagione del club di lettura di Solarpunk Italia, dedicata alla New Wave.  Sul link al fond...