mercoledì 22 luglio 2009

Iperreality

Qualche giorno fa Max Citi ha postato un intervento intitolato “Qualcosa da masticare”. Una riflessione/recensione multipla, dedicata in parte a un libro di Massimo Fini: Il dio Thoth. Anni fa quel tipo di romanzo sarebbe stato definito “narrativa di speculazione”, o anche “fantascienza sociologica”. Ho lasciato un breve commento ma il futuro (assai poco futuribile, anzi fin troppo prossimo a noi) rappresentato nel libro, e soprattutto le ragioni del fallimento narrativo del medesimo, hanno continuato a girarmi in testa.

Poi, nella pausa pranzo, sfogliando Repubblica di domenica 19/7 mi sono chiarita le idee.

(Due giorni di ritardo nel leggere un quotidiano? Be', sì, spesso metto da parte articoli che sul momento non riesco a leggere; portarmi avanti con i “lavori” durante lo spuntino mi dà l’impressione di rubare una manciata di minuti, di fregare l’orologio). L’articolo in questione è La morale e la politica pop, di Ilvo Diamanti.

Per l’esito narrativo del romanzo e i commenti di Max Citi e Davide Mana vi rimando al blog di Max.

A incuriosirmi, al di là delle evidenti pecche strutturali era la sensazione di insufficienza, di coraggio nel rappresentare il mondo dietro l’angolo, retto da una “totalchia” dell’informazione, una struttura dove apparentemente tutta la realtà è “dentro” il sistema di informazione e nulla può sfuggire: “la notizia è il fatto e il fatto è la notizia” è il motto di Teleworld.

La prima sensazione è che il libro non funzioni perché costruito a tesi: “so già dove voglio portarti, lettore, che cosa mostrarti. Del resto lo sai già anche tu: è il nostro mondo di tutti i giorni. E colgo l’occasione di saldare qualche conto e togliermi qualche sasso dalle scarpe”. Conclusione: nessuno scopre nulla. Meglio un saggio puntuale.

Invece no. Non è così. Il problema del racconto nonè il quasi totale appiattimento su una realtà fin troppo nota. È invece la sua rappresentazione semplicemente teorica. Non un quadro di Hopper, ma una fotocopia sbiadita.

Cito Ilvo Diamanti:

La realtà sociale, inoltre, è spesso trasfigurata dall’iperrealtà […] Un ritratto quasi fotografico. Che si concentra su alcuni particolari. Li dilata oppure li riproduce in modo ossessivo […] Riflette una prospettiva unilaterale – e per questo falsa – della realtà. […] ogni raffigurazione unilaterale e caricata è irreale quanto iperreale. È la pop-art della democrazia-pop
.

Ecco. Noi non siamo nel mondo del Grande Fratello (quello di Orwell, non quello di Alessia Marcuzzi) ma in quello inquietante, dai colori accesi e dalle forme troppo nitide della pop-art. E in questo mondo, in questo “specchio unico” tanto pervasivo che costituisce una realtà – fasulla – in sé, nella quale noi scivoliamo tutti i giorni, che cosa potrà mai fare il povero Thoth che crede ancora in un mondo evocato, creato dalle parole (e non dal loro consumo ecolalico?

Il romanzo di Fini non è troppo mimetico, ma troppo poco.

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