domenica 14 febbraio 2010

Anche il dado Liebig ha fatto la storia

Sono in arretrato con un sacco di cose. Una breve mail della mia amica Francesca mi ha aperto gli occhi sul fatto che così non si fa. Non si usa il blog come bacheca occasionale, non si sparisce per mesi, non si rimandano all'infinito le occasioni di post che ci parevano promettenti.
Quindi cerco di portarmi in pari con le cose in sospeso. Questa è la prima e risale a tempi che qualunque blogger decente considera preistorici: ottobre scorso, figurarsi. Ma da qualche parte devo pur cominciare. Questo post era già bello pronto in bozze e fortunatamente l'argomento, proprio come i dadi da brodo, ha un periodo di scadenza molto lungo.
A ottobre, dunque, in un sabato mattina miracolosamente libero da impegni, ho partecipato a una delle iniziative organizzate da Libri e Culture, un'associazione culturale nata per volontà di librai indipendenti, editori, bibliotecari e altri «lavoratori del libro» della Circoscrizione Otto di Torino.
Si trattava di una tavola rotonda dedicata a "Cibo, ieri oggi e domani", con la partecipazione degli storici medievisti Paolo Denicolai e Ugo Gherner, di Bruno Broveri ed Eric Vassallo di Slow food Piemonte e Valle d'Aosta, del medico nutrizionista Bianca Bianchini e del giornalista di Repubblica Luca Iaccarino in veste di moderatore. Luogo dell'incontro la Sala baronale del Borgo Medievale torinese, uno spazio accogliente e suggestivo (piacevolmente fasullo cme tutto il Borgo ma impeccabilmente verosimile), illuminato di taglio da un bel sole autunnale e doverosamente freddo come di sicuro erano i saloni medievali.
Poiché mi sono divertita a sentire parlare del cibo – presenza costante della nostra esistenza, usato, abusato e spesso iniquamente distribuito – in maniera non banale, cercherò di condividere con chi mi legge gli spunti più interessanti, rammaricandomi che il pubblico fosse interessato ma ahimé troppo scarso.
Riassumo di seguito i temi toccati - senza pretese di esaustività e con la modesta competenza di una semplice curiosa che ha letto qualche altro saggio – fidando che i relatori, se mai mi leggeranno mi scuseranno per aver citato le loro parole in modo approssimativo (ma spero non distorto).
Contributo di UGO GHERNER
Date salienti della storia dell'alimentazione umana
1) Paleolitico ---> la scoperta del fuoco
2) Mesolitico ---> la scoperta delle prime tecniche di conservazione del cibo
3) Neolitico ---> lo sviluppo dell'agricoltura e della domesticazione degli animali
4) XIV sec. ---> disponibilità su larga scala di risorse naturali e di animali da carne (con il calo demografico dovuto alle grandi epidemie di peste in Europa tornano disponibili vaste aree di incolto e pascolo prima destinate alla produzione cerealicola)
5) XVIII sec.---> rivoluzione industriale (e quindi anche nuove tecnologie di produzione e conservazione)
6) XIX sec. ---> scoperta delle tecniche della refrigerazione.
7) ultima parte XX sec. ---> globalizzazione alimentare (mia aggiunta)
A tutto ciò si aggiunge - a partire dal XVII sec. - l'imposizione (nei paesi non mediterranei, soprattutto) delle colture del mais e della patata da parte del potere politico e dei latifondisti L'esaltazione del consumo di mais porterà alla pellagra, la monocoltura di uno o di poche varietà di patata causerà, ad esempio in Irlanda, le carestie dovute alla diffusione della peronospora e l'immigrazione irlandesi negli Stati Uniti.
Contributo di PAOLO DENICOLAI
Il confronto tra la cucina del passato e quella del presente evidenzia come l'alimentazione sia influenzata in maniera complessa da un gran numero di elementi: gusto, condizioni politiche ed economiche, cultura, credenze sanitarie, grandi differenze a livello locale, capacità imprenditoriali dei produttori ecc.).
Qualche esempio:
- nell'Inghilterra dei secoli passati si consumava molto zucchero importato dalle colonie;
- nell'Andalusia sottomessa dai Mori si diffuse l'abitudine di consumare riso e melanzane; nella vicina Catalogna (rimasta in mano ai cristiani) questi cibi, aborriti in quanto appartenenti ai nemici, si diffusero soltanto dopo la cacciata dei Mori.
- Nel basso Medioevo italiano, le classi abbienti erano affascinate dai cibi esotici che, a causa della rarità e del prezzo molto alto, erano considerati come un marchio di status e un segno di distinzione rispetto alle classi povere. Oggi, invece, sono soprattutto le classi più abbienti e più colte a mostrare apprezzamento per i prodotti «poveri» e locali. Allora come oggi, infine, si era molto interessati alla presentazione dei piatti e alla contaminazione dei sapori.
Contributo di ERIC VASSALLO
Nel secolo XX vi è stato un rapporto significativo tra i Regimi e l'alimentazione.
Autarchicamente i regimi difendono i propri cibi, sono conservatori, ma anche insospettabilmente attenti alle novità: nell'Italia fascista, ad esempio, si diffondono i primi elementi di «cucina veloce», legata in particolare a due marchi: LIEBIG (i dadi per fare il brodo in fretta) e BERTOLINI (lievitazione veloce). In entrambi i casi il target è sempre la donna, la cuoca di ogni giorno. Anche lo scatolame e le conserve industriali sono ben precedenti agli anni Sessanta.
Il regime fascista, inoltre, fa molto per accreditare il riso come prodotto italiano.
Per quanto riguarda il passato europeo, invece, non bisogna dimenticare i cambiamenti apportati alle abitudini alimentari dalla presenza araba e dai prodotti dell'agricoltura precolombiana.
Contributo di BRUNO BOVERI
Nel dibattito globalizzazione-localismo, si è inserito da alcuni anni il tema dei «prodotti a chilometri zero».
Non si tratta soltanto di favorire il prodotto locale o di scegliere la qualità (verdure e ortaggi di stagione maturati in maniera naturale e non raccolti ancora verdi ecc.) Il vero problema è il costo: 1) ambientale di un consumo che prevede il trasporto di alimenti attraverso mezzo mondo; 2) economico sostenuto dalla collettività per rimediare ai danni ambientali; 3) economico rappresentato dal sostegno statale ai contadini che non riescono più a vendere i loro prodotti sul mercato locale.

Bianca Bianchini ha concluso sottolineando l'importanza di un'alimentazione variata e attenta alle nuove proposte fornite dal confronto di culture ed etnie.
Argomenti degni di riflessione, come dicevo, ma che hanno scatenato le mie manie classificatorie da insegnante di scienze. Vediamo.
Considerando che sono caffè-dipendente, che in cucina che faccio un uso moderato di spezie esotiche, che il mio menù ideale è a base di pesce, riso, pomodori, melanzane (anche in un unico piatto, tipo una bella paella o un contaminatissimo nasi goreng), pane, vino (pochissimo) e derivati del latte (yogurt, formaggi freschi), che quando mangio da sola non disdegno la cucina veloce e che amo sconsideratamente le mele, come mi devo considerare? Filoaraba e snob-medievale? colonialista ma autarchica? tradizionalista ma amante delle contaminazioni? E soprattutto sarò a chilometri zero o ecodispendiosa? Mah.
Forse dovrei mettere maggior attenzione nel fare la spesa. Ma così, stufi fin da ora di aspettarmi mentre io vago tra gli scaffali, marito e figlia mi sperderanno definitivamente al supermercato e correranno a casa a cucinarsi un bel pranzetto per due.

1 commento:

Fran ha detto...

Sono proprio contenta di leggerti di nuovo, Silvia, e soprattuttto con una tematica così vicina al mio cuore come il cibo.
C'è un blog che di tutte queste problematiche parla spesso, proprio dal punto di vista scientifico: quello di Dario Bressanini.
http://bressanini-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/

A presto!

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