"Nonostante tutte le belle parole, e i buoni propositi, l’esercito americano continua a dimostrarsi un’arma troppo potente e massiccia per essere usata con la necessaria precisione”.
Questa è una delle conclusioni a cui giunge William Langewiesche, corrispondente di Atlantic Monthly e autore di illuminanti reportage da mezzo mondo, in un breve e fulminante saggio pubblicato da Adelphi in Biblioteca Minima: “Regole di ingaggio”, dedicato alla strage di ventiquattro iracheni inermi, tra cui vecchi, bambini, donne, ad Al-Haditha, Iraq, a fine 2005. Lascio alla lettura diretta la lucida e non di parte ricostruzione di Langewiesche dell’imboscata (nella quale un marine perse la vita e uno fu gravemente ferito), della ritorsione e del successivo insabbiamento da parte delle alte sfere.
Se ne scrivo qui è (oltre che per l’ovvia ragione che il testo mi ha dato molto su cui riflettere), perché la realtà, come quel laboratorio del possibile che è la letteratura - nel quale, per fortuna, gli esperimenti si realizzano in vitro, senza perdite umane - procede a imbuto: le scelte iniziali hanno ampi gradi di libertà, poi, percorse le prime diramazioni principali, i gradi si riducono sempre più e alla fine tutti, dai protagonisti ai personaggi di contorno che non hanno voce in capitolo (qui le venticinque vittime e tutti i feriti dei quali non conosceremo il futuro), non possono che compiere (o subire) quei gesti, vivere quel destino, avere quella sorte.
“Il destino è quel che è...”, diceva doc. Frankenstein junior. Qui, però, non è all’opera il fato, ma una logica circolare e perversa, che ha radici dirette nella sanguinosa presa di Falluja da parte dei marines ma è la conseguenza di una serie di errori di valutazione dettati dall’ignoranza, della cattiva informazione e di mosse obbligate da parte di tutti i soggetti coinvolti a cominciare dall’amministrazione Bush per finire all’ultimo guerrigliero fanatico iraqeno.
Una dimostrazione in più che in politica (ma non solo) il concetto di “rischio” e il calcolo delle possibili conseguenze sono ancora largamente sottovalutati: non si può ricorrere a soluzioni - intelligenti o meno - che fatalmente diventeranno incontrollabili.
E ficchiamoci in testa che la convinzione di Laplace di poter calcolare il futuro a partire dalla conoscenza delle condizioni iniziali era (non solo a livello astronomico ma anche sulla nostra più modesta scala umana) una semplice boutade.
Scritto con l’accompagnamento di Aphex Twin: I care because you do
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1 commento:
Ci ho pensato con ritardo, commento con ritardo. A dimostrazione che quanto dici è tutto vero, si può portare - volendo fara parlare i grandi - Poincarè e il problema dei tre corpi, col quale di fatto dimostrò davvero che la boutade di Laplace era veramente una boutade.
La cosa più triste, temo, è che molti "tifosi della scienza" (intendo persone che la amano, anche se magari senza essere addetti ai lavori) hanno di essi ancora una visione essenzialmente deterministica, e non sono disposti ad accettare gli sconvolgimenti che in essa ha portato il Novecento.
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