martedì 3 ottobre 2023

LEGGERE INSIEME

Ieri sera, 2 ottobre 2023, è iniziata la seconda stagione del club di lettura di Solarpunk Italia, dedicata alla New Wave. 

Sul link al fondo del post  potrete trovare informazioni dettagliate in proposito.

È anche la mia seconda stagione e continua a essere un'esperienza nuova; io sono una lettrice solitaria, abituata a ritmi tutti miei, a passare molto spesso da un testo all'altro e a posare romanzi e racconti con i quali non entro in sintonia, in attesa di tempi migliori. Recensisco ciò che leggo con i miei tempi e ho sulla scrivania pile di libri che aspettano pazienti un mio riscontro. 

 



In un  gruppo di lettura si respira tutt'altra aria, ci si "scopre"  in pubblico durante l'incontro e non dopo, e io ho partecipato alla stagione precedente con un po' di trepidazione. 

È stata, e continua a essere, un'esperienza ricca di stimoli e di opinioni diverse, nella quale non posso essere io a guidare, a scegliere. 

Ma soprattutto è stato un esercizio di ascolto.  Un'attività collettiva nella quale esprimere il mio parere è solo una parte, non la più importante, del lavoro, e che alla fine dà la soddisfazione di conoscere meglio non soltanto il racconto e chi lo ha scritto, ma anche i miei compagni di lettura. 

A pensarci bene, è un'esperienza molto solarpunk.

Occorre provare per comprendere fino in fondo.

 

https://solarpunk.it/ritorna-il-club-di-lettura-di-fantascienza-di-solarpunk-italia/2023/

 

 


mercoledì 13 settembre 2023

Niède Guidon, archeologa rivoluzionaria e attivista sociale e ambientale


L’archeologa brasiliana Niède Guidon, nata nel 1933, ha da pochi mesi compiuto novant’anni; ha trascorso la maggior parte della vita non lontano da São Raimundo Nonato, nello stato del Piauí, situato nella parte nordorientale del Brasile. La zona è ricca di almeno 800 siti archeologici riguardanti le civiltà amerinde preistoriche, proprio l’argomento di sessant’anni di studio di Guidon.

Per difendere questa preziosa area archeologica e naturale, il governo brasiliano creò, nel 1979, il Parco nazionale Serra da Capivara, dichiarato poi Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco (1991).

 

Niède Guidon ritratta da Andre Pessoa <2>


 

Designata all’epoca coordinatrice del Parco, presto Guidon si rese conto dello stato di abbandono delle piccole case che avrebbero dovuto occupare i guardiaparco e chiese conto della trascuratezza. Scoprì così che, secondo gli incaricati, era colpa delle donne: toccava a loro pulire.

Guidon, che alla ricerca scientifica ha sempre unito un forte attivismo sociale e ambientale, si rese subito conto che occorreva intervenire, e non solo per proteggere l’area. Bisognava combattere l’isolamento della popolazione, la povertà e la mancanza di lavoro femminile. La sua soluzione fu offrire il ruolo di guardiaparco alle donne, incaricandole di segnalare episodi di bracconaggio, accogliere turisti e studiosi e controllare i confini del Parco. Inoltre, per aumentare le loro possibilità di avere un lavoro dignitoso e non dipendere soltanto dai mariti, assunse le donne come guide e contribuì a creare per loro posti in aziende manifatturiere e di apicoltura. 

Attualmente, il Parco archeologico, sopravvissuto alla lunga dittatura militare della Quinta Repubblica (1964-1985) e al governo avverso di Jair Bolsonaro, è amministrato dall'Istituto Chico Mendes per la Conservazione della Biodiversità. Dal punto di vista naturalistico è un ambiente unico, abitato da un gran numero di vertebrati di ogni classe.

Il Parco, però, è anche la testimonianza a cielo aperto del lavoro archeologico di Guidon, che propose una teoria rivoluzionaria sull’arrivo dei Sapiens nelle Americhe.

La spiegazione classica di questo arrivo propone che gruppi di Sapiens siano giunti nel Nord America passando attraverso la Beringia, un ponte di prateria innevata che, intorno a 15.000 anni fa, collegava l’Asia e l’Alaska, e che, dopo la fine del periodo glaciale, fu sommerso divenendo lo Stretto di Bering.

Ma, se i Sapiens entrarono nel Nuovo Mondo da nord, perché i siti archeologici di Homo più antichi si trovano in Sud America?

Già in un articolo su Nature (1986), Niède Guidon propose un cambio di prospettiva rivoluzionario, retrodatando di 20.000 anni l’arrivo degli umani nelle Americhe. I dati successivi, confortati dal lavoro di altri studiosi di fama internazionale, sono anche più interessanti:

i ritrovamenti di Piedra Museo (Santa Cruz, Argentina) risalgono a 13.000 fa, quelli di Monte Verde (Cile) a 33.000 anni fa e, soprattutto, quelli di Pedra Furada (Piauí, Brasile) riguardano focolari utilizzati già 60.000 anni fa e pitture rupestri.

In conclusione, spiega Guidon, la teoria della Beringia deve essere almeno completata da altre ipotesi, che considerino l’arrivo nelle Americhe direttamente dall’Africa e dalla Melanesia, tenendo conto che al culmine della lunghissima glaciazione di Wisconsin-Wurm (110.000 - 11.500 anni fa) il livello dei mari era molto più basso di quello del xx secolo, consentendo ai Sapiens arcaici di spostarsi più facilmente su terre ora sommerse, ma che allora affioravano sulla superficie marina, sospinti anche dai venti alisei.

Dopo aver diretto la Fondazione del Museu do Homem Americano (Fumdham) a San Raimundo Nonato, non lontano dal suo Parco, nel 2018 Niède Guidon ha fondato, nella medesima area un altro Museo, dedicato alla Natura, e ha annunciato che a breve sarebbe andata in pensione. E l'ha fatto, nel 2020.

Ma l’impressione che dà questa persona fantastica è che non smetterà mai di “lavorare”: pensare alla sua terra, alle donne e ai giovani che oggi hanno prospettive di lavoro migliori, e a sperare che altri umani, entusiasti e pieni di energia come lei, continuino il suo lavoro.

Ciò che la studiosa lascia alla sua gente, ma anche a tutti coloro che credono nella possibilità di avere un futuro migliore e più equo, è un'eredità politica, che va oltre il suo entusiasmante lavoro archeologico.

Fonti

1. Wired Non Scaldiamoci, diario ambientalista sul cambiamento climatico newsletter 25/08/2023

2. https://news.mongabay.com/2023/08/niede-guidons-50-year-fight-to-protect-serra-da-capivara-the-americas-largest-prehistoric-site/


 

lunedì 3 luglio 2023

Un mestiere davvero pericoloso? L’attivista ambientale

 


Questo post è dedicato a Pedro Pinto e agli attivisti che in Honduras e in tutto il mondo rischiano (e spesso perdono) la vita per difendere l’ambiente1.


L’ong Global witness2 riporta nel suo sito nome e cognome degli ambientalisti uccisi tra il 2012 e il 2021; i dati sicuramente peccano per difetto.

I nomi, provenienti da tutto il mondo, sono 1733; tra loro 730 sono stati uccisi in America Latina. La pagina, di notevole impatto, mostra grafici a dispersione: in cui una miriade di puntini che rappresentano gli attivisti uccisi si riaggregano per anno, per aree geografiche, per il tipo di attività che stavano tentando di fermare: estrattivismo, agribusiness, taglio e trasporto del legno, energia idroelettrica, bracconaggio…

Negli ultimi due anni e mezzo, chissà quanti altri nomi si saranno aggiunti.


Se restringiamo il campo per concentrarci sull’Honduras (117 persone uccise tra il 2012 e il 2021), scopriremo nomi come quello di Blanca Jeannette Kawas Fernandez, che in molte immagini sembraa una maestrina e che – essendo stata uccisa nel 1995, non è ricordata da un puntino ma da un Parco Nazionale che porta il suo nome.

 

Fonte Wikipedia

 

Scorcio del Parco Nazionale Jeannette Kavas

O quello di Berta Cáceres, fondatrice del Consiglio dei popoli indigeni dell’Honduras,  uccisa nel 2016.

 

Berta Cáceres

 

Berta e Juan Carlos Cerros Escalante, un altro degli ambientalisti uccisi, appartenevano al popolo indigeno Lenca. Juan lottava per la difesa dell'acqua e per i diritti della sua gente. È stato ucciso nel 2021,  a 41 anni, davanti a suo figlio.

«Condanniamo l’uccisione di un altro compagno e attivista. Non è concepibile, non è giusto che criminalizzino le persone, perseguitino le persone e poi le uccidano per difendere la terra. Consideriamo questo un assassinio politico».

Così ha dichiarato Betty Vásquez, coordinatrice del movimento ambientalista Santa Barbara3 .

L’ultima vittima in ordine di tempo è Oscar Oquelí Domínguez, ucciso il 16 giugno 2023. 

Cinque mesi prima era stato assassinato il suo fratello minore Aly Domínguez4.

 

Pedro Pinto, detto don Pedro, ricorda di aver partecipato a molti seminari tenuti da Berta Cáceres. Ha trascorso metà della vita a difendere l’acqua, le foreste e la montagna della riserva naturale del Güisayote, istituita nel 1987. Il paese ai piedi del monte si chiama La Labor (dipartimento di Ocotepeque).  Minacciato molte volte per il suo attivismo, soprattutto da quando è divenuto, alcuni anni fa, funzionario statale dell’Istituto nazionale di tutela forestale, don Pedro è stimato e apprezzato da molte persone, anche dal sindaco di La Labor (eletto per il Partito nazionale, di destra) che lo definisce «una persona nobile che difende le risorse naturali».

Nel 2004 Pedro Pinto organizzò i residenti dell’area contro la Maverick, un’azienda estrattivista canadese che aveva ottenuto in concessione mille ettari della riserva del Güisayote (all’epoca, un giornalista che sosteneva le ragioni dei residenti fu ucciso).

Le lotte ambientaliste sono continuate per numerosi motivi: 

- un deputato tentò di far declassificare il Güisayote da riserva integrale (dove non sono ammesse attività antropiche) a parco nazionale (che ammette la possibilità di svilupparvi attività commerciali).

- tra il 2019 e il 2020 duecentomila ettari della riserva sono stati oggetto di disboscamento e deforestazione. Quando le minacce contro don Pedro si sono intensificate, allargandosi dai suoi campi (dove coltiva mais, fagioli, caffé e banane) alla sua famiglia, finalmente gli è stata assegnata – nel febbraio 2023, a 67 anni – una scorta minima, formata da un solo poliziotto. 

 

Don Pedro Pinto Fonte

Nell’area della riserva (che comprende 14081 ettari) ci sono quaranta ruscelli che confluiscono in nove fiumi, di cui cinque sfociano nell’Atlantico e quattro nel Pacifico. L’Istituto nazionale di tutela forestale protegge, nell’intero Honduras, 91 aree tra parchi nazionali, rifugi per la fauna selvatica e riserve integrali. Purtroppo molte cotinuano a essere violate.

Per proteggerle, gli ambientalisti di La Labor (compreso il sindaco) hanno acquistato più di mille ettari del Güisayote. All’acquisto hanno partecipato anche gli enti per la salvaguardia dell’acqua, cooperative, e perfino attività commerciali come hotel e ristoranti, gestite probabilmente da persone abbastanza illuminate da capire che difendere la biodiversità e la natura è meglio che dipendere da aziende straniere disposte al più bieco sfruttamento del suolo.

Il terreno è stato acquistato a nome di tutti, quindi nessuno può prendere l’iniziativa di vendere tratti di foresta. Uno dei problemi del luogo, infatti, è la pratica dell’agricoltura itinerante: tratti di bosco vengono incendiati per sgombrarli e per renderli rapidamente fertili; vengono coltivati per un certo periodo, poi, quando la fertilità declina, i coltivatori si spostano altrove indendiando altre parti di foresta. Prima che la natura si riprenda ci vuole molto tempo. Pratiche simili, vengono attuate su grande scala in Amazzonia, per sgombrare la foresta e coltivarvi soia di bassa qualità utilizzata per nutrire gli animali degli allevamenti intensivi.

La riserva, comunque, corre anche altri pericoli, come l’iniziativa di un giudice che, abusando della propria autorità, ha concesso lo sfruttamento dell’acqua a un’azienda, usurpando il potere decisionale dei singoli comuni.

Il sistema dell’acquisto comune di terreni per difendere la foresta e l’acqua è stato adottato anche da altre municipalità del dipartimento di Ocotepeque.

 

fonte Wikipedia, modificata. In rosso il dipartimento di Ocotepeque

 


 

1. Molte informazioni provengono da

Allan Bu, Pedro Pinto, Il mio monte in «Contracorriente», tradotto per Internazionale 1517, 23 giugno 2023

2. https://www.globalwitness.org/en/campaigns/environmental-activists/numbers-lethal-attacks-against-defenders-2012/


3. https://www.rinnovabili.it/ambiente/acqua/attivisti-ambientali-strage-honduras/

4. https://www.ohga.it/lhonduras-e-la-strage-degli-ecologisti-assassinato-lambientalista-oscar-lottava-per-lacqua/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

giovedì 5 gennaio 2023

Occorre tassare i super ricchi per salvare il nostro pianeta

 

Quando apro un nuovo numero di «Internazionale», di solito mi limito a leggere gli articoli che catturano la mia attenzione, poi metto la rivista in scaffale per ulteriori consultazioni. Alcune settimane fa, però,  ho letto con grande attenzione il n. 1486 (1) e sono riuscita a unire alcuni articoli in una proficua (e inquietante) relazione che mi ha indotta a documentarmi ulteriormente.

Il punto di partenza è stato un articolo a firma Thomas Piketty (2) che ho riassunto di seguito, con l'aiuto di una tabella; il quadro che ne emerge dovrebbe farci riflettere.

“Diciamolo subito: è impossibile lottare seriamente contro la crisi climatica senza una profonda ridistribu-zione delle ricchezze, sia all'interno dei paesi sia a livello internazionale. Chi sostiene il contrario mente. E anche chi sostiene che la ridistribuzione è impossibile tecnicamente o politicamente”. (2)

 

I miliardari del mondo hanno molto aumentato la loro ricchezza dopo la crisi del 2008, come risulta dal Rapporto sulle Disuglianze globali del 2022. (3) (4)

Non ho intenzione di rivelare i nomi dei ricconi facendo loro pubblicità. In rete, comunque, troverete elenchi dettagliati; consiglio «Forbes», che ogni anno si dilunga sulla questione.

Vale la pena, invece, riflettere su un'altra dichiarazione di Piketty:

“Ma serve, soprattutto, che una parte delle entrate dei più ricchi sia versata ai paesi più poveri. Il sud del pianeta non può più stare fermo ad aspettare che il nord mantenga i suoi impegni. È il momento di pensare al mondo che verrà, o quello attuale si trasformerà in un incubo”. (2)

In un altro articolo del settimanale (1), la giornalista Audrey Garric fa altre osservazioni interessanti (5):

“L'argomento delle perdite e dei danni (loss and damage) è divenuto una specie di "linea rossa" per molti paesi in via di sviluppo che chiedono un sostegno economico, obbligando gli stati ricchi a far evolvere i loro discorsi”.

 

 “I danni causati dal riscaldamento globale colpiscono tutto il pianeta, ma gli effetti sono più disastrosi nei paesi in via di sviluppo, che non hanno i mezzi per affrontarli e limitarli”.

E che, come sappiamo, sono molto meno responsabili dei paesi ricchi della castrofe climatica. 

I paesi industrializzati, invece, si sono arricchiti proprio con le energie fossili che hanno provocato il riscaldamento globale. Il riscaldamento avrà effetti globali, non soltanto sui paesi in via di sviluppo: la siccità indiana del 2022 ha provocato una minore produzione di grano e que-sta carenza andrà a sommarsi ai problemi alimentari provocati dalla guerra in Ucraina. 

In conclusione, da parte dei paesi ricchi, il pagamento non è un atto di solidarietà o una dimostrazione di bontà d'animo, è un dovere, proprio come saldare un debito.

 

Perdite e danni 

 

fonte: green Me (6)

Alcuni scienziati hanno quantificato perdite e danni subiti dalle economie dei paesi in via di sviluppo in cifre che vanno da 290 a 580 miiardi di $ da qui al 2030, e fino a 1700 miliardi annui entro il 2050.

Sempre a proposito di loss and damage, com'è andata la COP27? Poteva andare peggio, ma sarebbe dovuto andare meglio. Per i dettagli consultare (7) (8)

 

fonte «Eco dalle città» (8)

 Mentre proseguono, con molte incertezze, le trattative sulle perdite e i danni, faremmo bene a chiederci chi guadagna a dismisura  sull'uso delle energie fossili.

 

I paesi ricchi: due volte più furbi o tre volte più …

Thomas Hummel (9) ha fornito una risposta che ho verificato anche in altre fonti.

“Nel secondo trimestre del 2022, le sei principali aziende petrolifere hanno registrato 57,2 miliardi di euro di profitti. In tre mesi! Certo, questo denaro muove l'economia, ma per quanto riguarda i bilanci degli stati il calcolo si è già rovesciato”. (9)

 

Today Meteo 18 /07/2021 (10)


“Dopo l'inondazione della valle dell'Ahr, nel 2021, la Germania ha dovuto spendere 30 miliardi di euro […] L'occidente deve chiedersi quanto vuole essere stupido. I profitti a breve termine sono ancora la priorità? La Germania vuole finanziare l'estrazione di gas in Senegal, poi acquistare quel gas a caro prezzo, e dopo qualche anno pagare i danni di una terribile siccità in quello stesso paese?” (9)

Già. Quanto vogliamo essere stupidi, o comunque assecondare coloro che si comportano come tali?

Nel caso foste scettici, potete verificare altre fonti: (11) e (12).

 

 

(1) «Internazionale» 1486, 11 novembre 2022

(2) Articolo originariamente uscito su «Le Monde»: https://www.lemonde.fr/blog/piketty/2022/11/08/redistribuer-les-richesses-pour-sauver-la-planete/

(3) https://wir2022-wid-world.translate.goog/?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc

(4) https://www.credit-suisse.com/about-us-news/it/articles/media-releases/global-wealth-report-2022---record-wealth-growth-in-2021-tapered-202209.html

(5) Audrey Garric, È il momento di risarcire il sud del mondo in Internazionale 1486, 11 novembre 2022. Articolo originariamente uscito su «Le Monde»

(6) immagine – pubblicata non a scuopo di lucro – https://www.greenme.it/ambiente/clima/cop27-cosa-prevede-laccordo-proposto-a-sorpresa-dalleuropa-per-istituire-un-fondo-a-copertura-dei-danni-dei-disastri-climatici/

(7) https://esgnews.it/cop-27/cop27-come-si-e-conclusa-e-con-quali-risultati/#Il_fondo_Loss_and_Damage

(8)  immagine pubblicata non a scopo di lucro. Articolo di Bruno Casula, https://www.ecodallecitta.it/cop27-alla-stretta-finale-per-greenpeace-la-bozza-di-accordo-apre-la-strada-all-inferno-climatico/

(9) Thomas Hummel, I soldi cambiano il clima, «Internazionale» 1486, 11 novembre 2022. L’articolo è originariamente apparso su «Süddeutsche Zeitung». 

(10) https://www.today.it/meteo/alluvione-germania.html

(11) Angelo Mastrandrea I paperoni degli extraprofitti sul petrolio e sul gas

https://ilmanifesto.it/i-paperoni-degli-extraprofitti-sul-petrolio

(12) Edoardo Prallini, L'Onu contro le compagnie petrolifere: "Profitti immorali, vanno tassati"

https://forbes.it/2022/08/05/compagnie-petrolifere-ricavi-record-crisi-energetica/



 







martedì 15 marzo 2022

Quanto manca al collasso della foresta pluviale amazzonica?

Questo post si basa su tre articoli

Il primo2 è pubblicato su the conversation  https://theconversation.com 

una fonte indipendente di notizie, analisi e opinioni di esperti, scritte da accademici e ricercatori e distribuite direttamente al pubblico a titolo gratuito. Sono profondamente in debito con questa fonte che, negli ultimi anni, mi ha fornito un gran numero di spunti di riflessione.

Il secondo3 compare su «The Guardian».

Ulteriori dati sono riportati in un recentissimo articolo di Wired.it4


In questi giorni siamo tutti comprensibilmente concentrati sulla tragedia umana (oltre che politica) che si consuma in Ucraina e, ovviamente, sulla nostra poco avveduta dipendenza da due combustibili fossili (petrolio e gas costituiscono il 70% dei nostri consumi e sono quasi tutti importati)1

Tale dipendenza e il conseguente aumento del costo dell’energia (costo che, in definitiva, finanzia la macchina bellica russa) hanno fatto scivolare sullo sfondo i piani europei per la transizione ecologica, che nel nostro Paese già procedeva molto a rilento. In Italia sono state tirate in ballo ulteriori trivellazioni, un ritorno al nucleare e persino l’uso del carbone.

Ma questi passi indietro il pianeta e la vita che Terra ospita non se li possono permettere. Ed eccomi qua a ricordare che la foresta amazzonica non è soltanto un gran mucchio di alberi.



Lo stato delle cose in Amazzonia2

 

https://www.scienzaverde.it/cronaca-ambientale-blog/importanza-della-foresta-amazzonica/


Con i suoi 5,5 milioni di kmq (il 20% degli originari 6,7 milioni è già stato distrutto), la foresta pluviale amazzonica è la più grande del suo genere e ospita un
decimo di tutte le specie viventi conosciute. Molte altre, probabilmente, non faremo in tempo a conoscerle e classificarle.

L'Amazzonia esiste così com’è da almeno 55 milioni di anni, ma il processo di disboscamento procede a gran velocità: nel corso del 2020 il Brasile ha perso quasi 38 kmq di vegetazione al giorno, equivalenti a ventiquattro alberi ogni secondo3.

Diversi gruppi di scienziati e ambientalisti affermano che, a causa del cambiamento climatico, oltre il 75% dell'ecosistema ha perso resilienza dall'inizio degli anni Duemila. Il processo è più evidente nelle aree più vicine all'attività umana e in quelle dove le precipitazioni sono più scarse.


La RESILIENZA di un ecosistema – vale a dire la sua capacità di mantenere processi abituali come la ricrescita della vegetazione dopo la siccità – è difficile da quantificare. Willcock e collaboratori2 hanno esaminato le immagini satellitari di aree remote della foresta amazzonica negli anni fra il 1991 e il 2016 e misurato la profondità ottica della vegetazione [cioè quanto un mezzo, in questo caso lo spessore della vegetazione, sia opaco alla luce]. Ne hanno concluso che la biomassa forestale recupera più lentamente mentre lo stress ambientale aumenta.


Secondo lo studio, periodi secchi più duraturi e condizioni generali più secche provocate dai cambiamenti climatici minano la capacità della foresta pluviale di riprendersi dalle successive siccità. Le specie arboree sensibili alla siccità vengono sostituite da altre più resistenti, ma a un ritmo molto più lento rispetto ai rapidi cambiamenti del clima regionale.

 

Rallentamento critico2


L’Amazzonia, cioè, si sta avvicinando a un punto critico che, se superato, porterebbe al rapido trasformarsi della foresta pluviale in una prateria secca o in savana.

Il rallentamento critico è un processo durante il quale più un ecosistema diminuisce la propria resilienza e meno è in grado di risollevarsi.

Se lo stress persiste, diventa più probabile che l'ecosistema raggiunga un punto in cui scivola bruscamente in un nuovo stato.

In altre parole, il rallentamento critico è l'avvertimento precoce di un imminente collasso.

Altre ricerche sugli appezzamenti di foresta pluviale supportano l'affermazione dello studio di Wilcock e collaboratori: la biomassa nella foresta pluviale sta impiegando più tempo per riprendersi dallo stress. Gli alberi muoiono più spesso e ricrescono più lentamente, contribuendo a una riduzione complessiva della biomassa amazzonica totale.


Il destino dell'Amazzonia4

 
I dati di questa ricerca non svelano quando potrebbe verificarsi una transizione critica o se essa sia già in corso. Ma, oltre al cambiamento climatico di per sé, altre gravi fonti di stress, stanno agendo contemporaneamente: la costruzione di strade, l'espansione dei terreni agricoli Ma, soprattutto, il disboscamento dovuto agli allevatori e agli agricoltori che non solo disboscano ma bruciano i detriti per far posto a coltivazioni e bestiame. I fuochi possono poi incendiare la torba, materia organica concentrata nel suolo, che rilascia ingenti quantità di carbonio nell'atmosfera. Da enorme bacino in grado di catturare la CO2 l'Amazzonia si sta trasformando in una fonte di gas serra.

Il fenomeno è complesso: l'Amazzonia agisce come una sensibilissima macchina idrologica: gli alberi assorbono la pioggia e rilasciano vapore acqueo con la fotosintesi,

Come spiega Luciana Vanni Gatti, (Istituto nazionale di ricerca spaziale del Brasile)


l'evapotraspirazione è fondamentale per produrre precipitazioni. l’Amazzonia può immetterne nell'aria una quantità paragonabile a quella che il Rio delle Amazzoni scarica nell'oceano. Si tratta di una quantità enorme di vapore acqueo nell'atmosfera4.


https://it.ovalengineering.com/rainforests-water-pump-455002


Una delle fonti di stress più pericolosa è, attualmente, la politica del governo brasiliano3.


Il collasso della foresta pluviale amazzonica è inevitabile se Jair Bolsonaro rimane presidente del Brasile.

 

 Un tipo pericoloso3

 

https://greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/greenpeace-con-bolsonaro-la-deforestazione-dellamazzonia-e-aumentata-del-75/

 

Questo hanno dichiarato accademici e attivisti ambientali, sostenendo che il leader di estrema destra è più interessato a placare la potente lobby dell'agrobusiness e a sfruttare i mercati globali che premiano i comportamenti distruttivi che a salvare la foresta. Infatti:


Lo scorso anno il Congresso ha smorzato gli standard per le valutazioni di impatto ambientale e una commissione ha approvato un disegno di legge che, secondo Greenpeace Brazil, rende irrealizzabili le demarcazioni, consente l’annullamento delle Terras Indígenas aprendole a imprese predatorie come le miniere, a strade e a grandi centrali idroelettriche. 

 

 

https://mirim-org.translate.goog/pt-br/terras-indigenas?_x_tr_sl=pt&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc


Nel luglio 2021 la camera bassa avrebbe dovuto esprimersi sulla legalizzazione delle proprietà invase illegalmente e sgomberate prima del 2014. Ma nello stesso periodo il governo ha trasferito la responsabilità del monitoraggio satellitare degli incendi boschivi dall'Istituto nazionale per la ricerca spaziale (presso cui lavora Luciana Vanni Gatti), organizzazione scientificamente solida che ha svolto il suo compito per decenni, all’Istituto nazionale di meteorologia, controllato dal ministero dell'agricoltura e dal settore agricolo.

Da quando Bolsonaro ha preso il potere nel 2019, la deforestazione e gli incendi in Amazzonia hanno raggiunto i livelli più alti in oltre un decennio, perché, nei periodi secchi, l’erba è facile esca per il fuoco.


              https://www.open.online/2020/05/09/gennaio-spariti-1200-km-foresta-amazzonica-bolsonaro-taglia-fondi-forestali/

Gli scienziati sospettano che la foresta pluviale stia scivolando in una serie di circoli viziosi. A livello locale, il disboscamento e gli incendi hanno portato a siccità prolungate e temperature più elevate, che a loro volta indeboliscono la resilienza dell'ecosistema e provocano atri incendi.
A livello globale lo sgombero del suolo sta trasformando la regione amazzonica da amica del clima a sua nemica. Uno studio pubblicato su Nature rivela che la combustione delle foreste ora produce circa tre volte più CO2 di quella che la vegetazione rimanente è in grado di assorbire. Questo accelera il riscaldamento globale e la crisi si avvita sempre più.


Il governo può fare la differenza3


Le forze del mercato globale sono in parte responsabili di questo circolo vizioso: la deforestazione tende ad aumentare quando i prezzi di soia, carne bovina e oro sono alti. Nessun governo, di qualsiasi orientamento, è riuscito a fermare completamente il disboscamento negli ultimi quattro decenni. Ma le politiche governative fanno la differenza.
Tra il 2004 e il 2012, la deforestazione amazzonica è diminuita dell'80% sotto l'amministrazione del Partito dei Lavoratori di Luiz Inácio Lula da Silva.

Bolsonaro, invece, ha costantemente smantellato o screditato i meccanismi che l'hanno permesso: monitoraggio satellitare, personale sul campo e legislazione per punire i trasgressori e delimitare la terra indigena e le aree di conservazione.

La cosa principale che questo governo [di Bolsonaro] ha fatto è minare la capacità dello stato di contrastare la deforestazione illegale.

 

http://www.iea.usp.br/midiateca/foto/eventos-2011/o-codigo-florestal-brasileiro-entre-a-producao-e-a-conservacao-ambiental/marcio-astrini-2/image_view_fullscreen


ha affermato Marcio Astrini, segretario esecutivo dell'Osservatorio brasiliano sul clima, una rete di 50 organizzazioni della società civile.


I mercati e l’opinione dei consumatori contano, ovviamente, e diverse catene di supermercati (Iceland, Waitrose, Tesco, Lidl, Sainsbury's) hanno firmato una lettera aperta avvertendo che ulteriori erosioni della legislazione ambientale e dei diritti delle popolazioni indigene le spingerebbero a riconsiderare l'utilizzo di prodotti agricoli brasiliani. 

Ma conta anche il fatto che sul mercato globale i prezzi delle materie prime rimangono alti: la domanda è forte soprattutto in Cina, dove il governo pone l'approvvigionamento di risorse al di sopra dell'etica ambientale e la pressione dei media è limitata da una severa censura. La Cina è, con ampio margine, il mercato più grande del Brasile.

Tanto per dare qualche numero:

Il valore commerciale dell'interscambio Brasile-Cina vale 87.7 miliardi di dollari sulle esportazioni brasiliane in Cina e  47.6 miliardi sulle importazioni di prodotti cinesi in Brasile. Pechino è il primo partner in entrambe le direzioni fonte5


In conclusione


A. Se la soglia critica verso il collasso amazzonico non è stata ancora superata, gli effetti combinati di tutti questi elementi potrebbero farla giungere prima di quanto si è supposto finora. Una volta iniziata la transizione verso uno stato ambientale differente, potrebbero bastare pochi decenni per completarla.


B. Se non invertiremo le emissioni globali di gas serra, non ridurremo la pressione locale sulla foresta pluviale e non conserveremo gli habitat per contrastare gli effetti di un clima più secco, forse saremo le ultime generazioni a condividere un pianeta con questi ecosistemi.


C. Come ha riassunto Astrini:


Ora è chiaro che una soluzione per l'Amazzonia può essere possibile solo se cambiamo governo. Non c'è speranza se Bolsonaro sarà rieletto presidente. O l'Amazzonia o Bolsonaro. Non c'è spazio per entrambi.


foto Alessio Spinaci https://www.dinamopress.it/news/linea-domani-la-crisi-climatica-le-minacce-difensori-dellambiente/

D. Amazzonia non significa soltanto ecosistemi, ma anche popolazioni native che intendono difendere i loro diritti (la regione è abitata da circa 350 popolazioni indigene). Nel 2020 in America Latina sono stati uccisi 170 attivisti. Quasi il 70% di loro conduceva battaglie contro la deforestazione6.

 

E. Le elezioni per la presidenza brasiliana si terranno nell’ottobre 2022.


1 Gianluca Ruggieri e Mauro Motta, I treni persi delll'indipendenza energetica italiana in https://altreconomia.it/i-treni-persi-dellindipendenza-energetica-italiana/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=23NANS

2 Simon Willcock, Gregory Cooper, John Dearing, Is the Amazon rainforest on the verge of collapse? [La foresta amazzonica è sull'orlo del collasso?], The Conversation, 7 marzo 2022

3 Jonathan Watts Amazon rainforest ‘will collapse if Bolsonaro remains president[La foresta amazzonica collasserà se Bolsonaro resterà presidente], in «The Guardian», 14 luglio 2021

4  Matt Simon, La foresta amazzonica potrebbe essere vicina a un punto di non ritorno in wired.it

5 Emiliano Guanella, In Brasile, la Cina guarda all'anno elettorale, in ISPI 07/02/2022 https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/brasile-la-cina-guarda-allanno-elettorale-33112 

6 Strage di attivisti ambientali, il 2020 l’anno peggiore di sempre https://www.rinnovabili.it/ambiente/politiche-ambientali/attivisti-ambientali-strage-2020/


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Ieri sera, 2 ottobre 2023, è iniziata la seconda stagione del club di lettura di Solarpunk Italia, dedicata alla New Wave.  Sul link al fond...