Un tempo la specie umana chiamava «Madre» la terra da cui traeva nutrimento, intendendo quella parte del pianeta che la scienza ora chiama suolo e che viene studiata con una certa noia dagli alunni della scuola media, molto più interessati alle piante a agli animali che campano grazie al «modesto» terreno. Si tratta di uno strato sottile rispetto alle dimensioni totali della crosta (a sua volta esigua rispetto al mantello e al nucleo terrestri), che richiede lungo tempo per svilupparsi e che – se non viene rispettato e protetto – può scomparire in pochi anni a causa dell'erosione. Per formare uno strato spesso pochi centimetri di terra fertile sono necessari secoli mentre bastano pochi anni di sfruttamento intensivo per rendere il suolo del tutto sterile.
Sotto
il selciato la spiaggia, affermavano
gli anarco-situazionisti. È una frase che mi è sempre piaciuta per
il suo significato letterale: sotto l'asfalto delle nostre strade
esiste ancora il terreno di un tempo; probabilmente in me sonnecchia
un umano più antico, bramoso di scavare la crosta e mettere a nudo
le membra della Grande Dea. Fatto sta che il suolo è davvero fonte
di vita per tutti noi viventi delle terre emerse, diamogli
quindi un'occhiata da vicino.
Ricetta per un buon terreno
Immaginate
di fare quello che un geologo chiamerebbe un «carotagggio» cioè
di conficcare un tubo di diametro..... nel terreno fino a giungere
alla roccia madre, cioè alla superficie petrosa su cui i vari strati
di terreno poggiano. Arrivati in laboratorio potete estrarre cautamente la carota dal tubo e osservare i vari strati, che gli studiosi chiamano
orizzonti, disposti più o meno come nella figura a fianco.
Orizzonte A: In
cima a tutto, spesso di trova una lettiera, costituita da foglie
morte e resti di organismi. lo strato sottostante è l'orizzonte
organico, ricco di humus, di batteri e piccoli organismi animali
che nutrendosi dei resti della lettiera li sminuzzano, permettono
all'aria di entrare e li concimano con i succhi del loro apparato
digerente.
Orizzonte B Lo strato successivo contiene particelle minerali di varei
dimensioni: quelle di diametro superiore ai 2 mm (ciottoli,
pietrisco ecc.) formano lo scheletro del terreno; il resto viene
detto «terra fine» ed è fatto di particelle via via più piccole,
rispettivamente sabbia, limo e argilla. La
sabbia è
attraversata
dall'acqua,
l'argilla è molto
più fine, la assorbe ed eventualmente può cederla alle radici
delle piante. Se però l'argilla è troppo abbondante, rende il
terreno troppo compatto e impermeabile all'acqua e all'aria.
Orizzonte C è costituito da uno strato di roccia disgregata e dalla roccia madre.
Un
buon terreno agricolo dovrebbe contenere circa il 60% di sabbia, il 15% di
limo, il 10% di argilla, il 10% di humus e il 5% di calcare
(carbonato di calcio)
Nascita
di un buon terreno
Questo
è un altro argomento che mi appassiona e, dato che il post è mio,
ne tratterò a mio modo e con contenuta soddisfazione.
Il suolo (lo avrete già capito)
deriva dall'alterazione della roccia
madre a opera di agenti chimici, fisici e biologici (cioè compiuti
dagli organismi)… Ecco l'inizio di un articolo
serio. Questo però non lo è, così vi racconterò una storia.
Dunque,
questa storia comincia nel XIV secolo, nella valle minore di montagna dove sorge Bagnolo Piemonte e dove io, da circa venticinque anni, passo una parte dell'estate. Intorno al 1330, su questi monti – per accordo fra la popolazione bagnolese e il conte Malingri, feudatario della zona – si stabilirono dei cavapietre. La richiesta di quelle che ancora oggi prendono il nome di «Pietre di Luserna» aumentò nel secolo successivo, con il trasferimento della capitale del Ducato di Savoia da Chambery a Torino. Da allora generazioni e generazioni di valligiani scavarono la
montagna per trarne löse, pietre pregiate che ancora oggi – nelle tante imprese di lavorazione sorte
lungo le strade che scendono in pianura – vengono trasformate in lastre usate per coprire i tetti, muri e muretti, o per costruire barbecue e caminetti. O anche scolpite, per produrre statue kitch fino al genio.
La mia preferita è questa a fianco, un enorme grifone del peso di alcuni quintali che mi affretto a salutare ogni volta che guido verso Montoso. Lui, il grifone, c'è sempre… o si tratta di un modello estremamente richiesto e non manca mai in assortimento, è una prova d'artista troppo impegnativa e nessuno ha mai osato portarsela via. Queste e molte altre interessanti notizie in merito potrete trovare in questo blog, che ho scoperto di recente.
La mia preferita è questa a fianco, un enorme grifone del peso di alcuni quintali che mi affretto a salutare ogni volta che guido verso Montoso. Lui, il grifone, c'è sempre… o si tratta di un modello estremamente richiesto e non manca mai in assortimento, è una prova d'artista troppo impegnativa e nessuno ha mai osato portarsela via. Queste e molte altre interessanti notizie in merito potrete trovare in questo blog, che ho scoperto di recente.
Le cave, dicevamo.
Be', per tagliare come dio comanda i pietroni, i cavatori (oggi quasi
tutti membri della nuova comunità cinese di Bagnolo) producono da
secoli enormi quantità di scorie, spesso delle dimensioni di un
grande masso sbilenco, che hanno letteralmente dato forma alla valle:
fatte scivolare anno dopo anno lungo le pendici della montagna, nel
punto dove in un certo momento viene scavato, sono state lentamente
colonizzate da batteri, microorganismi vegetali, muschi e licheni e
poi da comunità vegetali e animali sempre più sofisticate.
La
storia delle cave (e quindi della comunità di Bagnolo e delle sue
frazioni) è scritta sui fianchi di questi monti. In questi massi in
bilico. Accanto o immediatamente sotto le cave ormai totalmente
sfruttate, la vegetazione arbustiva dei rododendri e degli ontani,
dei rovi e delle piante di lampone e mirtillo ha ricoperto le scorie
e prospera ondulata come un manto verde, o è già stata già
soppiantata da faggi e betulle o, poco più in alto, da larici e
abeti rossi.
E in questi boschi vivono mammiferi come volpi, scoiattoli e tassi, che quasi mai io
riesco a scorgere ma che non sfuggono all'olfatto della mia
cagnolina, uccelli come ghiandaie, cince, ballerine e rari rapaci e ancora
lucertole, vipere, orbettini e bisce, e rospi e rane che si sistemano
temporaneamente nelle pozze lasciate dalla neve al disgelo. E tacerò
degli invertebrati, perché tutti noi sappiamo bene che soltanto per gli
insetti dovremmo fare migliaia di nomi. A volte mi chiedo se il vero
impegno dei cavatori non sia cavare il materiale per lose,
muretti e sculture seriali ma piuttosto quello di allearsi al tempo geologico per
dare forma alle valli.
fianco della montagna scavato da poco |
si insediano i licheni |
Se trattato con il
dovuto rispetto, il suolo del pianeta può sostenere la nostra
agricoltura, l'allevamento, le abitazioni e le attività umane.
Una vera fortuna, perché nei prossimi 30 anni la produzione alimentare mondiale dovrà
crescere di oltre il 75% per stare al passo con la crescita della
popolazione. Purtroppo, a quanto pare, di
rispetto, buon senso e lungimiranza la nostra specie ne mostra
davvero poco.
Prendiamo in considerazione questi dati: l'umanità coltiva complessivamente circa 5,2 miliardi di ettari in tutte le terre emrse, una bella cifra, vero? Purtroppo, secondo l'UNEP (1),
il 69% di questi ettari è già degradato o soggetto alla desertificazione; ad esempio in Africa, il
73% delle terre coltivate è deteriorato; nel Nord America questa
percentuale giunge al 74%. Per farla breve, la desertificazione minaccia al momento il 25% delle nostre terre. Forse questi numeri non sono facili da visualizzare… mettiamola così: secondo la FAO,
negli ultimi 50 anni un'area vasta quanto Cina e India
messe insieme (1,2 miliardi di ettari per la maggior
parte situati in regioni aride o semiaride dei paesi in via di
sviluppo) mostra una degradazione da moderata a estrema. Poiché in queste zone allevamento
e coltivazione diventeranno meno produttivi, sono a rischio anche le
esistenze di più di un miliardo di persone in oltre 100 nazioni.
Servono altri dati per allarmarvi? Ecco qua:
in Africa, il 66% di tutti i terreni è arido o semi arido;
in Nord America, è arido o semi arido il 34% dei terreni: l'Ufficio per la Gestione dei Terreni Usa considera a rischio il 40% del territorio continentale degli Usa; In Texas il 40% dei terreni da pascolo è già troppo arido per essere utilizzato.
La zona del Nord Africa che i Romani consideravano il «granaio dell'impero» all'epoca ospitava 600 città; oggi è un deserto.
Servono altri dati per allarmarvi? Ecco qua:
in Africa, il 66% di tutti i terreni è arido o semi arido;
in Nord America, è arido o semi arido il 34% dei terreni: l'Ufficio per la Gestione dei Terreni Usa considera a rischio il 40% del territorio continentale degli Usa; In Texas il 40% dei terreni da pascolo è già troppo arido per essere utilizzato.
La zona del Nord Africa che i Romani consideravano il «granaio dell'impero» all'epoca ospitava 600 città; oggi è un deserto.
Molti di noi cominciano a preoccuparsi soltanto quando i dati vengono tradotti in denaro sonante… diamo loro qualcosa a cui pensare: UNEP ha calcolato che il costo della desertificazione mondiale vale ogni anno 42
miliardi di $ Usa. Su questo totale l'Africa perde circa
9 miliardi di dollari all'anno, l'Asia 21, il Nord America 5,
l'Australia ed il Sud America 3 ciascuna e l'Europa 1.
Chiariamo subito una questione: con desertificazione non si intende una costante avanzata dei
deserti (che è invece definita desertizzazione) ma, – secondo la Convenzione ONU – un processo di
«degrado dei terreni coltivabili in aree aride, semi-aride e
asciutte sub-umide, in conseguenza di numerosi fattori, comprese
variazioni climatiche e attività umane». Quindi non occorre che le aree a rischio siano accanto ai deserti (1), i terreni degradati possono distare centinaia di chilometri dal
deserto più vicino, ed essere perfino fortemente irrigate, ma
possono espandersi, unendosi le une alle altre e creando condizioni
ambientali simili a quelle desertiche. Qui il suolo perde progressivamente le
sue proprietà chimico-fisiche fino a non riuscire più a
sostenere l’insediamento di comunità animali e vegetali,
l’equilibrio stesso dell’ecosistema.
Ma sarà colpa del clima, no?
Eh no, non solo: i fattori antropici, insomma le attività umane contano, eccome.
L'idea che
la desertificazione sia provocata principalmente dalla siccità è un luogo comune, salva
le coscienze (fenomeno naturale… ineluttabile, non ci possiamo far
niente, continuiamo così!) ma è quantomeno semplicistica. Spesso le
cause principali sono le attività umane, particolarmente l’errata (o colpevole) gestione del terreno – come l’impiego di
sistemi di coltivazione non adeguati alle condizioni climatiche e
alle caratteristiche del suolo – lo sfruttamento eccessivo delle
risorse idriche, la deforestazione, la presenza di allevamenti
intensivi. Infatti:
Prossimamente: Desertificazione Made in Italy
Eh no, non solo: i fattori antropici, insomma le attività umane contano, eccome.
Cause
della desertificazione
da «Il fatto alimentare.it» |
*
Le coltivazioni intensive esauriscono il suolo privandolo delle
sostanze minerali e degli organinismi decompositori che lo
riequilibrano.
*
L'allevamento del bestiame elimina la vegetazione che – grazie alla
rete di radici – trattiene il terreno, difendendo il suolo dai
fenomeni erosivi dovuti al vento e all'acqua. Negli allevamenti
intensivi, quando il bestiame
supera il livello di tollerabilità del terreno, il suolo comincia a
degradare: ben presto alle specie vegetali perenni presenti
si sostituiscono piante annuali e
arbusti, sostituite a loro volta da specie erbacee. Infine,
impoverito di vegetazione e continuamente calpestato dalle mandrie e
dalle greggi, il terreno viene eroso da acqua e vento.
*
La deforestazione elimina gli alberi che trattengono il terreno
tagliandoli per utilizzarli come combustibile o come materiale da
costruzione.
*
L'irrigazione, se effettuata con canali e tubazioni scadenti, rende
salmastre le terre coltivate, desertificando 500.000 ettari all'anno,
più o meno la stessa estensione di terreno che viene irrigata ex
novo ogni anno.
*
L'abbandono delle terre, specialmente in zone calde, porta ad
erosione e desertificazione.
Noi
siamo abituati a considerare le cause separatamente (usando un punto
di vista riduzionista), ma dovremmo ricordare che gli effetti sono
sinergici e che il loro risultato non è una semplice somma: ogni
concausa potenzia le altre accelerando e moltiplicando gli effetti
(visione olistica). Questo lo sanno anche i verdi nostrani e dal
loro sito
cito le prossime righe:
l'agricoltura
contribuisce direttamente al riscaldamento globale attraverso
l’emissione dei principali gas serra. L’agricoltura industriale
moderna contribuisce a modificare il clima con pratiche quali il
drenaggio delle zone umide, l’aratura profonda che espone il
terreno agli agenti atmosferici, l’utilizzo di macchinari pesanti
che compattano il terreno e la prassi di coltivare monocolture su
larga scala.
Mettiamola
così: se allevo ruminanti, devo mettere in conto che il metano
dovuto alla fermentazione intestinale dei vegetali che mangiano
aumenterà l'effetto serra e quindi la temperatura globale del
pianeta;
Gli
abusi di fertilizzanti e pesticidi connaturati all'agricoltura
intensiva provocheranno forte inquinamento del terreno;
D'altra
parte le industrie chimiche, per produrre e trasportare concimi e
diserbanti utilizzano combustibili fossili che inquinano l'atmosfera
e aumentano l'effetto serra.
Altro
che catastrofi naturali!
Però
sbagliare è umano! O
no?
Inquinamento provocato da un'industria chimica |
Siamo
solo umani e sicuramente pasticcioni, ma la desertificazione, come
ogni altro «male» provocato dalla nostra specie, non vive di soli
errori.
Nei
paesi in via di sviluppo o con sviluppo estremamente recente e
accelerato – come una buona parte di quelli interessati dalla
desertificazione e dal degrado – dietro questi processi stanno
cause più ampie e strutturali dell'incuria o degli errori di
gestione: vi sono fattori economici e sociali quali la povertà e i
tassi di crescita troppo alti delle popolazioni; vi è l'abbandono
delle tradizionali tecniche di coltivazione in nome di una
modernizzazione agricola che non tiene conto delle specificità del
territorio – vi sono governi che spingono i contadini a
intraprendere monocolture commerciali per abbattere il debito con
l'estero; vi sono la distribuzione iniqua delle proprietà terriere e
l'afflusso di rifugiati.
E
c'è di peggio
La
desertificazione – oltre a creare effetti negativi globali come la
diminuzione della biodiversità – ha effetti devastanti sulla
qualità della vita di intere popolazioni; di può provocare la
migrazione di intere popolazioni. L'indigenza e la povertà le
spingono a spremere la poca terra che hanno all'inverosimile,
ricorrendo alle coltivazioni intensive, alla deforestazione, alle
monocolture fino al degrado del suolo. La povertà le rende vittime
degli agenti atmosferici, pochi anni di siccità li espongono alla
fame e alle carestie, troppa pioggia provoca sì un'abbondante
produzione agricola ma anche una veloce caduta dei prezzi. E
indovinate a chi toccano le terre peggiori e più esposte?
L'Africa
è il continente con la
popolazione più «mobile» del mondo:
L'Unccd
(Convenzione Onu per la lotta alla desertificazione), lancia un
allarme: 135 milioni di persone rischiano di diventare profughi per
l'inaridimento dei loro territori.
[…]
Oltre
il 35% della superficie del Continente si trova in aree esposte a
rischi ambientali significativi.
Questo
dramma umanitario ha evidenziato di fatto la mancanza di qualsiasi
riconoscimento per la nuova categoria dei «rifugiati ambientali».
Anche
un gran numero di messicani immigrano negli Stati Uniti ogni anno a
causa del grave degrado delle loro terre.
Per
concludere, la desertificazione ha giocato un ruolo nei conflitti
armati verificatisi nelle terre aride, contribuendo all'instabilità
politica, alla fame e alla divisione sociale, come ha dimostrato il
«caso» Somalia.
Desertificazioni
storiche
Vivere
nella Dust
Bowl
Dust Bowl |
Negli
anni Trenta, poco dopo la tempesta finanziaria del 1929, gli abitanti
delle Grandi Pianure americane dell’Ovest furono travolti da una
vera e propria catastrofe ambientale, l'acme giunse il 14 aprile
1935, «la domenica nera» dell'Oklaoma, quando si verificò la
peggiore tempesta di polvere che avesse mai colpito quell'area, che
da allora fu definita Dust Bowl (catino di polvere).
la
Regione delle Grandi Pianure, che potete trovare sulla carta è una
piana immensa, che si estende il latitudine per 4000 km, dal nord del
Canada fino al Nuovo Messico e al Texas, e in longitudine per 640 km
dalle montagne rocciose alle frontiere occidentali del Sud Dakota,
del Nebraska, del Kansas e dell'Oklaoma. Quando vi giunsero i primi
coloni europei, era completamente coperta d'erba. È un'area
semi-arida, battuta dal vento e colpita da frequenti siccità che
toccano un picco ogni ventina d'anni. alla siccità, tanto da farle
meritare, nel XIX secolo il nome di Grande deserto americano.
Nonostante
il nome malaugurante, i coloni accorsero in massa, soprattutto nella
zona più meridionale, per conquistare il loro (vasto) pezzo di
terra, sognando una nuova vita. E per un po', all'inizio del
Novecento, la fortuna fu dalla loro parte, complici le piogge
abbondanti e il costo elevato dei cereali durante la Grande Guerra.
Abituati al clima piovoso dell'Est, i coloni riconvertirono milioni
di ettari di prateria a grano o cominciarono ad allevare bestiame;
negli anni Venti i trattori innalzarono il numero di ettari
lavorabili giornalmente, la produzione di grano crebbe, facendo
scendere i prezzi. Per mantenere alti i guadagni i contadini
sfruttarono maggiormente la loro terra; terminati i terreni molto
fertili passarono a quelli che rendevano meno, aumentando l'erosione
dei suoli.
La regione delle Grandi Pianure e, a lcentro, la Dust Bowl |
Nel
1931, appena dopo che un'eccezionale raccolto aveva provocato il
crollo del prezzo del grano, iniziò un periodo, durato dieci anni,
di grave siccità e i nodi vennero al pettine. Appena il grano
cominciò a seccare, lo strato un tempo ricco di humus – ora privo
di copertura vegetale e della rete di radici capace di trattenere il
suolo – venne spazzato via dai venti; formando gigantesche nubi che
oscuravano il sole per chilometri e chilometri. a metà degli anni
Trenta la devastazione aveva colpito oltre 40 milioni di ettari di
Oklaoma, Texas, Kansas occidentale, Colorado orientale e Nuovo
Messico.
La
catastrofe ecologica provocò disastri economici che si sommarono
alla grande crisi del Ventinove provocando una delle più ingenti
migrazioni della storia americana degli Stati Uniti: i contadini,
rovinati, persero la terra, furono spogliati dalle banche alle quali
avevano chiesto prestiti e, in una nazione con un tasso di
disoccupazione del 20% non riuscirono a trovare altro lavoro, così
emigrarono verso gli stati vicini. Nel 1940 due milioni e mezzo di
persone se n'erano andate (circa il 40% della popolazione);
duecentomila disperati avevano raggiunto la California, tra loro la
famiglia Joad, protagonista di Furore di John Steinbeck. Vi
trovarono salari bassissimi, diffidenza e povertà, dovettero vivere
ai bordi delle strade, in zone che somigliavano molto agli attuali
campi profughi, e accontentarsi di lavoretti a giornata, spesso
pagati con un po' di vitto.
Il
disastro, dovuto a una gestione insensata dei terreni e a gravissimi
errori agronomici, venne infine arginato da Franklin Delano Roosvelt,
grazie alle riforme del New Deal e a una serie di misure
radicali (ancora oggi in vigore) per prevenire l’erosione e ridurre
la vulnerabilità dei suoli delle grandi pianure alla siccità
prolungata.
Altre
notizie qui
Il
Grande Piano Agricolo
Un
altro esempio di disastro cercato fu la «campagna delle terre
vergini», uno dei tanti piani agricoli sovietici, iniziato questa
volta da Kruscev nel
1954. Il piano, molto ambizioso, si prefiggeva lo sfruttamento delle
steppe del Kazakistan settentrionale e della catena montuosa
dell’Altai. Nei primi due anni vennero arati 330.000 km² e più di
3.000.000 di coloni – soprattutto ucraini e russi – si
trasferirono, più o meno volontariamente per andarli a coltivare.
Erano ben attrezzati, provvisti di mietitrebbie e potevano contare
sull'appoggio di studenti e soldati come lavoratori stagionali
al tempo del raccolto. Coltivarono grano, praticamente in regime di
monocoltura, perché l'URSS intendeva raggiungere l'autosufficienza.
Il
progetto, tra l'altro, ebbe come risultato il cambiamento delle
popolazioni delle terre vergini, dove la componente originale kazaka
venne in molte zone superata da quella slava. I milioni di russi e
ucraini immigrati si fermarono in Kazakistan. con la dissoluzione
dell'URSS, però, in parte tornarono ai paesi d'origine.
Il
primo (1956) raccolto di grano (la cui coltivazione fu praticamente
una monocoltura) fu un enorme successo, tanto da raddoppiarne la
produzione in URSS rispetto all'occidente. Purtroppo, nel giro di
pochi anni il terreno, impoverito di nutrienti, dovette essere
trattato con quantità crescenti di fertilizzanti. L'errata
pianificazione impedì che – nonostante l'aumento della loro
produzione – i fertilizzanti necessari arrivassero a destinazione.
Altri problemi non risolti furono la costruzione di un numero di
silos sufficienti a stivare i raccolti (che in parte dovettero essere
eliminati) e la carenza di infrastrutture adeguate a far giungere il
grano alle città.
Infine,
il piano agricolo non tenne conto della situazione dei terreni che,
nel tempo, andarono incontro all'erosione e all'esposizione ai venti;
in pochi anni ritornarono steppa.
(1) Programma per l'Ambiente delle Nazioni Unite.
(2) Queste sono le cinque principali aree desertiche mondiali e
insieme rappresentano il 7% delle terre emerse totali: il deserto di Sonora nel Messico nord-occidentale e la
sua continuazione nella parte sud-occidentale degli Stati Uniti; il
deserto di Atacama, cioè la sottile striscia costiera
Sud Americana tra le Ande e l'Oceano Pacifico; l'ampia area desertica che va dall'Oceano Atlantico verso la
Cina (deserto del Sahara - deserto Arabico, - deserti
dell'Iran e dell'ex-Unione Sovietica, Gran Deserto Indiano (Thar)
nel Rajasthan - deserto del Takla-makan in Cina e deserto del Gobi
in Mongolia; il deserto del Kalahari in Sud Africa e gran
parte dell'Australia.
4 commenti:
Complimenti per il post! Come sempre molto chiaro ed esaustivo. Argomento molto interessante e attuale.
@Romina: Grazie. Scusami se rispondo in ritardo. Hai ragione, il tema è attuale, anche se in questi giorni in Italia siamo immersi in un altro genere di desertificazione, politica e urgente, che ci ha colti tutti quanti di sorpresa.
Cercando una spiegazione dei diversi orizzonti di un terreno ho trovato questo tuo post...mi è stato utile! Pensa che sorpresa:-) grazie mille!!
Morgana
Grande (e bella) sorpresa anche per me! Contentissima di esserti stata utile. Potevo farlo in maniera più diretta, forse, ma così è stato molto più divertente!
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