martedì 9 ottobre 2012

Noi primati amiamo la musica

Perché amiamo la musica?
La musica accompagna molti di noi per lunghe ore della giornata: la sentiamo la mattina appena svegli, prima e dopo le prime notizie alla radio o alla TV, ci accompagna in auto (o almeno accompagna, a volte purtroppo, i guidatori fermi accanto a noi al semaforo, ci segue discreta quando ci aggiriamo con i nostri carrelli fra gli scaffali del supermercato, ci martella con jingle appiccicosi durante la pausa pubblicitaria alla TV, scaturisce all'improvviso quando accediamo a un sito web. 
Di solito la sentiamo distrattamente, spesso non la scegliamo e in molte occasioni vorremmo spegnerla, o smorzarla, o cambiare disco. La maggior parte di noi si limita ad ascoltarla, un certo numero la esegue, qualcuno la compone.  Musica e ritmo affondano le radici nel nostro lontano passato, e paiono già legati ad ominidi che ci hanno preceduto.  Eppure la musica non è indispensabile alla nostra vita. Perché, allora, continuiamo a produrla da decine di migliaia di anni? Perché, da bravi primati, noi la amiamo. Non tutti la stessa, non sempre la stessa. Ma la amiamo.
Ma quali aree cerebrali ci permettono di gustarla? Attraverso quali meccanismi? Come può una certa  musica  ossessionarci per giorni, rimanendo nel nostro cervello più a lungo di altre? Perché qualcuno di noi adora Bach e altri l'heavy metal, o magari entrambi i generi, come me? Perché le varie civiltà hanno elaborato forme di musica e strumenti differenti? 
A tutte queste domande e alle risposte ad alcune di esse è dedicato questo post.

DOVE?

Prima di tutto un po' di neuroanatomia: dov'è il «luogo cerebrale» nel quale ascoltiamo la musica? Questa informazione è nota da una decina di anni, quando un gruppo di ricercatori americani ha portato a termine la mappatura delle aree del cervello che hanno a che fare con la musica, scoprendo che si tratta di regioni coinvolte anche nel ragionamento e nel recupero dei ricordi. La conoscenza delle relazioni armoniche della musica sarebbe mantenuta nella corteccia prefrontale rostromediale, localizzata centralmente, proprio dietro la fronte, che, a sua volta, è connessa al lobo temporale, che è coinvolto nella più semplice elaborazione dei suoni. Figura cervello musicale Secondo gli studiosi il fatto che le aree rostromediali siano coinvolte sia nel pensiero razionale sia nell'abilità di ricordare spiegherebbe «molti collegamenti fra la musica, le emozioni e il cervello».
La corteccia prefrontale e il lobo temporale 
I ricercatori hanno scoperto anche che in uno stesso ascoltatore l'attività in quelle aree varia di volta in volta: se l'ascolto si ripete un certo numero di volte, il medesimo circuito neuronale segue la melodia in modi differenti. Questo potrebbe essere collegato con il fatto che una medesima melodia può suscitare in noi una volta il desiderio impellente di ballare e un'altra un semplice sorriso.

COME?

A differenza del «dove», il «come» è una questione davvero grossa. Non possediamo ancora una risposta semplice a questa domandona, ma negli ultimi anni abbiamo accumulato osservazioni e indizi.
Prima, però ripassiamo alcune definizioni che di sicuro conosciamo tutti:
Un suono è costituito dalle onde prodotte da qualcosa che vibra; le onde sonore si espandono in ogni direzione. Ogni suono possiede 4 caratteristiche fondamentali:
  • L'altezza determinata dalla sua frequenza, cioè dal numero di vibrazioni al secondo: più le vibrazioni sono frequenti, più il suono è acuto.
  • La durata cioé quanto tempo dura un suono, rispetto a un'unità di misura.
  • L'intensità riguarda la potenza, cioè il «volume» di un suono. Quindi un suono può essere forte o debole.
  • Il timbro indica invece la qualità tipica di un suono ed è determinato dal tipo di materiale o dallo strumento che lo produce o dalle caratteristiche diverse delle voci umane
Il ritmo è un susseguirsi ordinato di suoni ripetuti nel tempo.
La melodia è una successione di suoni che salgono e scendono nella scala musicale, creando una frase musicale.

Adesso siamo equipaggiati per discutere di musica. Quindi: come deve essere una musica per piacerci? Alcuni studi hanno preso in considerazioni 558 composizioni musicali, correlandone la «piacevolezza» con le variazioni sia nell'altezza dei suoni sia nel ritmo. Le conclusioni sono state che la musica risulta piacevole quando ha una struttura frattale che permette di realizzare un equilibrio dinamico fra prevedibilità e sorpresa.
Coraggio, diciamolo: «Ma va? Non troppo ripetitiva e non troppo imprevedibile? Ce lo potevamo immaginare anche da soli!»
Mica tanto. Qui non si tratta di chiacchiere a braccio, i ricercatori hanno rappresentato sia la variazione d'altezza dei suoni (in un lavoro precedente) sia il ritmo in termini matematici, scoprendo di aver ottenuto delle curve frattali.
Acc! Adesso ci toccherà ripassare i frattali? 
il broccolo frattale ripete la propria struttura a vari livelli 
No, non se ne parla proprio, diciamo soltanto che i frattali sono strutture dotate di una certa geometria; se ne prendiamo una piccola porzione e la ingrandiamo ritroviamo la medesima geometria; i frattali hanno proprietà di autosomiglianza e autoaffinità; queste caratteristiche, che si riscontrano anche in natura (nei broccoli, tanto per dire), possono essere rappresentate graficamente e anche come successione di suoni. Da un punto di vista matematico – e semplificando tanto rozzamente da suscitare in Mandelbrot & soci il desiderio di linciarmi potremmo affermare che queste geometrie vendono tradotte in una legge di potenza 1/f (f è la frequenza temporale degli eventi).
Per farla breve, i pezzi musicali considerati piacevoli, soprattutto in Occidente, sono molto regolari e prevedibili, e seguono sia nella fluttuazione dell'altezza del suono, sia nel ritmo la legge 1/f o sue varianti. Questo andamento frattale è  presente nelle composizioni scritte durante quattro secoli; ciò significa che non è dovuto né all'esecuzione né alla  percezione umana, ma è intrinseco alla composizione scritta, e precede l'esecuzione strumentale. È possibile che i compositori «sappiano» in modo più o meno consapevole che nelle composizioni esiste una regolarità e che la rispettino  o la «spezzino» per rendere le loro creazioni artistiche  uniche. Le composizioni di Beethoven e di Mozart, ad esempio, hanno andamenti frattali simili per quanto riguarda l'altezza dei suoni, ma dal punto di vista del ritmo si collocano su versanti opposti: Beethoven sul versante di una maggiore prevedibilità e Mozart dal lato opposto del continuum, verso una maggiore imprevedibilità.

MA CHE COSA SENTIAMO ASCOLTANDO LA MUSICA?

Come fa la musica a suscitare in noi tante emozioni? A commuoverci, pacificarci, renderci euforici e, qualche volta,  ad annoiarci a morte? Ognuno di noi potrebbe fare un sacco di esempi tirando in ballo le proprie passioni e idiosincrasie: odio verso il jazz, intolleranza al reggae, dedizione esclusiva al melodramma, profondo fastidio verso la musica dodecafonica. Sull'effetto «motorio» che ha su di me la musica Yiddish vi ha intrattenuto il mio consorte di recente… Io posso aggiungere che spesso studio o scrivo relazioni scolastiche, o anche post come questi,  ascoltando roba come i Korn o i Sistem of a down a tutto volume. (Non ditemi che si vede, potrei offendermi!). Anche la mia gatta, buonanima, ronfava rilassatissima mentre le casse sparavano fragorosi pezzi dei Metallica o – la gatta precedente – Man-Erg dei Van der Graaf Generator.

Ma perché? Già, altra bella domanda. A quanto pare uno studioso australiano (e il suo team) è riuscito a rispondere. Almeno in teoria. Si tratta del dott. Emery Schubert (nomen, omen) e il suo è il primo studio  che quantifichi matematicamente l'effetto della musica sulle emozioni.

Il volume, il tempo e la tonalità, fra le altre cose hanno un impatto misurabile sulla risposta emotiva delle persone alla musica.

afferma Schubert, che fatto ascoltare a numerosi volontari quattro brani di musica classica – le Danze Slave op. 46 di Dvorak, il Concerto de Aranjuez di Rodrigo, la Pizzicato Polka di Strauss  e il Mattino di Grieg – davanti a un PC. Ai sogggetti veniva richiesto di indicare progressivamente sullo schermo l'emozione secondo loro espressa dal brano. Le possibilità di scelta erano: allegria, tristezza, eccitazione o noia. 
Il PC ha monitorato, istante per istante, le loro scelte e dai risultati è emerso che l'eccitazione è associata con il volume e, in misura minore, con il tempo, ed è stata confermata la relazione, già nota, fra tonalità in maggiore e allegria e fra tonalità in minore e tristezza. La felicità, secondo lo studio di Schubert, sarebbe associata anche con il numero di strumenti.
Perchè non provate anche voi ad ascoltare i brani che ho linkato e a monitorare sullo schermo le vostre emozioni? 



ANCORA EMOZIONI

A questo punto della mia indagine sono entrata nel vivo delle relazioni tra struttura musicale e emozioni, un po' più vicina a comprendere il vero Perché. Per approfondire ho dovuto riprendere concetti che ricordavo vagamente di aver sfiorato negli anni ormai molto lontani in cui il mio compagno suonava jazz e io ero una giovane ex suonatrice di pianoforte con impostazione classica e già allora piuttosto arrugginita. Io conoscevo le scale e il solfeggio e ciò che suonavo (scelto per lo più dalla mia insegnante di piano) era musica «classica» tonale. Lui, invece, improvvisava al sax utilizzando altre scale e «modi» che io non avevo mai sentito nominare. Proverò a scrivere due parole in merito perché, a quanto pare, le emozioni hanno a che fare non solo con ritmi, altezza dei suoni e numero di strumenti ma proprio con la tonalità.
Come sicuramente saprete, una scala diatonica è una scala musicale formata da sette delle dodici note che compongono la scala cromatica, cioè una scala formata da note naturali e alterate separate da semitoni. In pratica do, do#, re , re#, mi, fa ecc., come vedete nella figura. 
Le scale diatoniche sono, invece, scale in cui 7 note si susseguono secondo una precisa successione di sette intervalli, cinque toni e due semitoni (alternati in maniera che i due semitoni inquadrino tre toni, oppure tre toni). Questa successione non è univoca, ma può essere specificata in sette diverse combinazioni (modi) che vengono costruite le une dalle altre, usando come prima nota (chiamata Tonica) una delle note intermedie delle altre (per intenderci: scala di Do, scala di Re ecc.)
La tonalità è maggiore se gli intervalli si susseguono così:

T - T - S - T - T - T - S         con T= Tono e S = Semitono
È invece minore se gli intervalli sono:

T - S - T - T - S - T - T

Le due scale, maggiore (o Ionica) e minore (o Eolia) sono tipiche della musica occidentale.
Detto questo, è musica tonale quella che si organizza attorno a alla tonica, cioè la prima nota della scala verso la quale gravitano tutti gli altri suoni. La Tonica ha quindi una importanza maggiore degli altri gradi ed è anche il grado sul quale riposa un brano. Essa fu composta in Occidente tra l'inizio del XVII secolo e la fine del XIX ed entrò in crisi . All'inizio del XX secolo, quando a livello colto venne in parte rimpiazzata dalla musica modale, basata su modi (ossia successioni) differenti. A livello di musica di consumo, o popolare, però ha continuato a essere utilizzata, conoscendo nuovo successo con la fine delle avanguardie musicali. Un'intera corrente del jazz, caratterizzato da improvvisazioni basate sull'uso di scale differenti, viene definito appunto «jazz modale».

Ecco. Un po' astruso, ma interessante. Infatti diverse ricerche scientifiche hanno evidenziato una relazione tra scale musicali, tonalità o modalità e percezione emotiva del brano musicale.
Prima di tutto uno studio condotto dal team del prof Dale Purves ha dimostrato che le scale musicali più usate nel corso dei secoli (ovvero quelle tonali) sono quelle che meglio ricalcano la fisica della voce umana e approssimandone le armoniche.

C'è una forte base biologica nell'estetica del suono. Gli esseri umani preferiscono combinazioni di note che sono simili a quelle che si ritrovano nel parlato. I dati indicano che la principale ragione per cui si apprezza la musica è perché mima il parlato, che è stato un elemento critico del nostro successo evolutivo.

Confrontando poi le note che distinguono le melodie in maggiore e in minore con le note del parlato che esprime differenti stati emotivi, gli studiosi hanno scoperto che gli spettri sonori di quelle melodie collimano con quelli del parlato caratteristiche di differenti stati emotivi.
Va notato, poi, che la maggior parte dei rapporti di frequenze della scala musicale cromatica può infatti essere ritrovata in un'ampia varietà di lingue, incluso il cinese mandarino. In conclusione, ha affermato Purves: 


Il nostro apprezzamento della musica è un fortunato sottoprodotto del vantaggio biologico offerto dal linguaggio e dalla nostra necessità di comprenderne il contenuto emozionale.

(L'argomento è approfondito anche nell'articolo
Emozioni in musica pubblicato su Mente & Cervello n° 60, dicembre 2009. 

Altre prove dell'influenza della tonalità musicale su noi umani giunge da un altra ricerca dall'approccio molto differente, pubblicata on line nel 2009 e condotta dal team di Thomas Fritz del Max Planck Institut. 
persone di Etnia Mafa
Il gruppo di ricercatori si era proposto di dimostrare al di là di ogni dubbio le  ipotesi in questo senso già emerse in studi precedenti condotti con soggetti scarsamente abituati alla musica tonale occidentale perché appartenenti a culture musicali differenti, come quella indiana. Tuttavia, nel corso della loro vita, questi soggetti già avuto contatti con la musica tonale; per fugare ogni dubbio Fritz e collaboratori hanno viaggiato fino ai monti del Camerun settentrionale, dove vivono in completo isolamento i circa 250 gruppi etnici della popolazione Mafa. Nonostante non avessero mai ascoltato musica occidentale, i soggetti hanno riconosciuto senza esitazioni la felicità, la paura e la tristezza espresse dai brani, dimostrando che l'espressione musicale di queste tre fondamentali emozioni è riconosciuta universalmente.

Questi risultati spiegano perché la musica occidentale si sia dimostrata così di successo in tutto il mondo, anche presso culture che non hanno mai enfatizzato il ruolo di espressione delle emozioni nella loro musica. L'espressione delle emozioni è una delle caratteristiche salienti della musica occidentale, e la capacità di veicolarle è visto in Occidente come una sorta di prerequisito perché essa possa essere apprezzata.

Hanno commentato i ricercatori, sottolineando come in altre culture la musica venga spesso apprezzata per la sua capacità di coordinare i gruppi nel corso di rituali. 

MUSICA BESTIALE


Ma che musica piace ai nostri parenti?
Cominciamo dai nostri cugini primati. Fino a pochi anni fa era opinione degli studiosi che fossero quasi insensibili alla musica. Con una bella dimostrazione di pensiero divergente un gruppo di ricercatori guidati da Charles Snowdon ha condotto uno studio basato sulla risposta a una domanda che gli studiosi precedenti non si erano proprio posti: che musica potrebbe piacere alle scimmie? Una musica da scimmie.
A differenza dei ricercatori che li hanno preceduti, Snowdon &Co non hanno utilizzato brani musicali umani ma musiche ispirata ai suoni che una certa specie di primati emette per esprimere due tipi differenti di emozioni: sfida/paura e affiliazione (cioè senso di tranquillità, sicurezza e contentezza).
Tamarini a chioma di cotone
I tamarini a chioma di cotone «interrogati» nel corso dello studio hanno infatti reagito in modo differente ai due tipi di brani: cinque minuti dopo aver ascoltato la musica ispirata ai suoni di timore, con chiari segni di ansia, e con movimenti ridotti e più pacati e più gusto nel cibarsi e nel bere dopo la musica di affiliazione. Non si tratta di articolati pareri da critici musicali, ma sicuramente di chiare valutazioni di addetti ai lavori! Il commento di Snowdon è illuminante:

Noi usiamo il legato per calmare i bambini. Usiamo invece lo staccato per ordinare uno stop. L'approvazione ha un tono in salita e la consolazione è discendente. Noi aggiungiamo caratteristiche musicali al parlato in modo da influenzare lo stato affettivo del piccolo. Se abbaiassimo «GIOCA CON QUESTO», un bambino si gelerebbe. La voce, la struttura dell'intonazione, la musicalità contano più delle parole.

Come sa chiunque abbia mai parlato a un bambino non di madrelingua italiana e perfino al proprio cane. Mirra, per esempio riconosce, credo l'espressione «buon cane Mirra» che io uso per lodarla, ma mi ha guardato con molta inquietudine quando gliel'ho gridato in tono malevolo (l'ho fatto soltanto in questa occasione: quasi nessuna Mirra è stata maltrattata per condurre il mio piccolo esperimento).

Finora si è guardato alla comunicazione umana in termini di informazione trasmessa: «Ho fame», «Sono impaurito». Ma è molto più di questo… [Cercando di calmare un bambino piccolo] io non comunico solamente come mi sento. Uso questo modo di comunicare per indurre nel bimbo uno stato analogo.

E ancora:

Le componenti emozionali della musica e dei richiami animali possono essere molto simili e da una prospettiva evolutiva abbiamo scoperto che la struttura delle note, la dissonanza e il ritmo sono importanti per la comunicazione degli stati affettivi sia nell'animale che nell'uomo.

In ogni caso, Snowdon e compagni hanno il fondato sospetto i nostri cugini interpretino i nostri toni in salita e in discesa in maniera differente da noi, perché l'unica risposta a diversi brani di musica umana presentati da Snowdon ai suoi tamarini è stata la reazione di affiliazione suscitata dall'hard rock dei Metallica.
Be', veramente anch'io vengo molto pacificata dai Metallica, da Enter sandman, per esempio. Che sia un tamarino? 
Comunque non tutte le creature (me compresa) hanno reazioni così bizzarre di fronte alla musica: le mucche, le piante e la Treves amano Mozart 


I veri fan di una band o di un solista di solito si abbandonano ad affermazioni azzardate sul tipo di «questa musica mi fa venire i brividi». I più scettici tra voi non sorrideranno più con indulgenza dopo aver letto i risultati di un'indagine scientifica pubblicati qualche mese fa da Daniel Blumstein, (dip. ecologia e biologia evoluzionistica Università della California) e dal compositore Peter Kaye, a seguito di una precedente scoperta di Blumstein e cioè che le colonne sonore di film di genere (avventura, drammatico, horror e guerra) hanno caratteristiche specifiche volte a suscitare emozioni connesse al genere. Ad esempio i film drammatici presentano bruschi cambiamenti di frequenza, gli horror suoni distorti.
Questa volta i ricercatori hanno utilizzato i sintetizzatori per comporre brani nuovi compatibili con le indicazioni della ricerca precedente e li hanno presentati a dei volontari in differenti condizioni di ascolto, per verificare se il contesto potesse aumentare o diminuire l'effetto complessivo.
Alcuni ascoltatori, quindi, hanno ascoltato brani neutri e generici, altri brani che iniziavano tranquillamente per poi scatenarsi come la chitarra di Hendrix a Woodstock.
Dovendo valutare la musica sia per quanto riguardava la capacità di coinvolgerli, sia per il sentimento evocato (positivo come la felicità; negativo come tristezza e paura), i volontari hanno risposto rivelando come la musica distorta fosse più emozionante, ma anche più «negativa». L'azione di altri segnali contrastanti con la musica (ad esempio la visione di video poco suggestivi su gente che cammina o si beve un caffè smorzava l'eccitazione, rendendo più intenso l'aspetto negativo.
Sulla base dei loro dati, i ricercatori ritengono che ascoltare musica distorta sia simile ad ascoltare le grida di animali in difficoltà, una condizione che ne distorce le voci forzando l’emissione rapida di una grande quantità di aria. In parole povere la musica rock fa emergere la nostra animalità. Che il rock sia davvero la musica della Bestia?
A proposito di 666. Per divagare un po' potreste rileggervi il testo della meritatamente famosa Stairway to Heaven dei Led Zeppelin, accusato di essere (se letto al contrario) un'invocazione a Satana. A parte che non sono proprio riuscita a trovare, leggendolo al contrario, la frase incriminata, stando alla traduzione si tratterebbe della più balorda invocazione a Satana che io riesca a immaginare.  La gente è strana…


SE DARWIN SI OCCUPA DI MUSICA

Infine una curiosa, ma significativa, applicazione della teoria darwiniana alla musica, scelta come rappresentate esemplare del milieu culturale di una società. Partendo dall'ipotesi che produzioni espressive umane quali la lingua, la musica e le varie arti si evolvano seguendo un processo simile alla selezione (qui non naturale, ma semmai culturale) un gruppo di ricercatori dell'Imperial College di Londra ha simulato il possibile percorso evolutivo seguito da un insieme di rumori casuali.
Per studiare questa «evoluzione» i ricercatori hanno progettato un algoritmo chiamato DarwinTunes, che agiva su una popolazione virtuale di 100 cicli di musica per otto secondi, il ruolo della selezione naturale è stato affidato a un pubblico di 7000 utenti del web che, accedendo a gruppi di 20 pezzi alla volta, davano loro un punteggio graduato in 5 livelli, da «non lo sopporto» a «mi piace» In seguito DarwinTunes mescolava a caso gli elementi musicali dei primi 10 brani abbinandoli due a due creando così una ventina di pezzi che formavano la seconda generazione musicale sostituendo quelli della generazione precedente. Dopo 2513 generazioni i pezzi evoluti e «sopravvissuti» sono stati presentati ad altri volontari mescolati a brani delle generazioni precedenti (per garantire la variabilità «genetica» della popolazione). Dalle scelte dei nuovi ascoltatori è risultato che i pezzi preferiti erano quelli delle generazioni più evolute, ormai ricchi di accordi sofisticati e di ritmi pop.

Tutti sappiamo che la musica è fatta da tradizioni create da geni musicali. Bach ha consegnato la torcia a Beethoven che l’ha passata a Brahms. Lennon e McCartney l’hanno data a Gallagher che l’ha consegnata a Chris Martin... ma è davvero questo che anima l'evoluzione musicale? Ci siamo chiesti se la scelta dei consumatori sia la vera forza dietro l’inarrestabile marcia del pop. Ogni volta che qualcuno scarica un pezzo piuttosto che un altro fa una scelta, e un milione di scelte è un milione di atti creativi. Dopo tutto, è così che la selezione naturale ha plasmato tutte le forme di vita sulla Terra: se la variazione cieca e la selezione possono fare tutto questo allora dovrebbero essere in grado anche di comporre una canzone pop.

Non mancate di ascoltare – all'indirizzo che vi ho indicato – i pezzi delle prime mille generazioni. L'evoluzione è innegabile, anche se siamo ancora molto lontani sia da Bach sia dai Cold Play. E se non vi piacciono non state a lambiccarvi il cervello, in fondo si tratta di un giocone da evoluzionisti un po' fanatici. 
L'esperimento, volto a dimostrare che possa esistere un buon prodotto artistico che non sia frutto di un atto creativo consapevole, è tuttora in atto. 
Per essere anche voi Selezionatori Naturali cliccate QUI 

Infine, potreste spulciare gli assaggi musicali molto vari offerti, insieme a una bella molte di informazioni,  nel blog


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