martedì 1 gennaio 2013

Oddio, vorrei essere pre-morta!

Particolare da un dipinto di J. Bosch
Si chiamano «esperienze pre- morte» (Near Death Experience, NDE) quelle descritte da persone che – a causa di malattie terminali o di eventi traumatici – sono sopravvissute a condizioni estreme (coma, arresto cardiocircolatorio, elettroencefalogramma piatto ecc.) I loro racconti (provenienti a volte da personaggi molto illustri, come ad esempio Platone, Garl Gustav Jung, Thomas De Quincey, Ernest Hemingway, Lev Tolstoj, Victor Hugo…) si trovano nella maggior parte delle culture, avvalorando l'impressione che si tratti di esperienze oggettive, spiegabili soltanto come un contatto precoce con l'Aldilà della nostra «anima», intesa come entità spirituale in grado di sopravvivere alla fine del corpo, un'entità autonoma e immateriale che, tuttavia, il medico statunitense Duncan MacDougall pretese di aver pesato ottenendo il valore di 21 grammi. [1]
Secondo un sondaggio Gallup, il 3% degli statunitensi sostiene di aver vissuto una NDE.

Considerando le testimonianze, le NDE possono essere suddivise in due gruppi:
- ultraterrene quando il soggetto narra di aver avuto visioni di parenti o amici defunti o di strane entità, e di aver «attraversato» tunnel di luce o grandi spazi aperti (che i fedeli di varie religioni ritengono essere il Paradiso, l'Aldilà ecc. )
- extracorporee quando il soggetto racconta di aver fluttuato fuori del proprio corpo, assistendo dall'esterno a ciò che gli stava accadendo (per esempio ha «visto» i medici che tentavano di salvarlo ecc.).
Per gli adepti di religioni organizzate e/o di dottrine che ammettano l'esistenza di un'Anima spirituale, le NDE sono non solo ammissibili ma quasi inevitabili e vanno spiegate con teorie che potremmo definire parapsicologiche o soprannaturali. Per tutti gli altri – gli indifferenti 0 coloro che (come me) si considerano agnostici o atei – spiegare le NDE, pur non essendo né urgente né fondamentale per vivere la quotidianità, resta un problema aperto; riuscirci in maniera razionale – oltre che soddisfare una curiosità – contribuisce a mantenere ordine nella nostra visione del mondo. 
Anzi, per chi cerca spiegazioni razionali, la peculiare somiglianza di tutte queste testimonianze può essere considerata 

come un'ulteriore conferma all'esistenza di meccanismi precisi che si innescano in quel delicato connubio di mente e materia che è il nostro cervello quando è sottoposto allo stress intenso della percezione dell'imminenza della morte. [2]
 
Quasi inevitabilmente, quindi, molti studiosi si sono cimentati con le NDE, cercando di trovare spiegazioni fisiologiche e neurochimiche più o meno generali o specifiche per le peculiari esperienze percettive, la sensazione di pace e/o di euforia che pervade i soggetti e il forte impatto emotivo che queste esperienze rivestono.

Dal nostro inviato nell'Aldilà
Ultimamente, le NDE sono state riportate sotto i riflettori dal neurochirurgo Eben Alexander che, finito in coma per una settimana a seguito di una meningite batterica, ne è uscito attraverso una potente NDE che ha in seguito raccontato nel suo saggio Proof of Heaven (La prova del Paradiso). Alexander racconta di essere stato accompagnato da una bionda con gli occhi azzurri

… in un mondo di nuvole bianche e rosa stagliate contro un cielo blu scuro come la notte […] stormi di esseri luminosi che lasciavano dietro di sé una scia altrettanto lucente.

La donna lo rassicura di essere«amato e accudito» e la sua voce gli giunge nella mente come un vento interiore. Il contatto con una sfera luminosa gli dà la sensazione di

… nascere in un mondo più grande e come se l'universo stesso fosse un gigantesco utero cosmico. La sfera mi guidava attraverso questo spazio sterminato…

Fino ad allora cristiano molto tiepido, come tantissima altra gente, Alexander si è in un certo senso convertito e si dichiara convinto che l'Oltre che ha «visitato»

Non era di fantasia. E ha profondamente inciso sulla mia attività professionale e sfera spirituale. [3]

Inutile dire che testimonianze così suggestive e consolatorie possono essere scambiate per «dimostrazioni» inopinabili dell'esistenza sia di un'Anima svincolata dalla matrice biologica (Cervello) sia di un'Aldilà che ci attende dopo quella semplice tappa che pare essere la morte. Infatti le NDE hanno sollevato il vivo interesse di una parte dei teologi, ma anche  un invito alla cautela da parte di altri e della stampa religiosa, ad esempio Greg Stier, guest columnist del «Christian Post», ha scritto che, pur credendo fermamente all'esistenza del paradiso, non dovremmo considerare i racconti di NDE come quello di Alexander una prova della sua esistenza.

Sul versante opposto, quello dei pensatori razionali e dei neurobiologi, il tentativo di spiegare le NDE si è ramificato in varie direzioni, a cominciare dalla diretta demolizione della testimonianza di Alexander.

Il neurologo Steve Novella mette in dubbio le basi stesse della testimonianza del neurochirurgo, e sottolinea che la sua corteccia cerebrale nel momento della NDE non fosse affatto «disattivata»:

Alexander afferma che non esistono spiegazioni scientifiche per le sue esperienze, ma eccone una: [esse] si sono verificate mentre le sue funzioni cerebrali erano in calo o in ripresa, o in entrambi i momenti, e non quando vi era poca o nessuna attività cerebrale.

Sam Harris, altro neuroscienziato, è invece dell'opinione  che le prove della propria inattivazione cerebrale portate da Alexander non siano accettabili:

TAC ed esami neurologici non possono stabilire l'inattività neuronale, né nella corteccia né in qualsiasi altro luogo. E Alexander non fa alcun riferimento a dati funzionali che potrebbero essere stati acquisiti con fMRI, PET o EEG, né sembra rendersi conto che solo quel tipo di prova potrebbe sostenere la sua tesi.


Come posizionare gli elettrodi per EEG
Altri studiosi, invece, ritengono che non sia necessario essere in extremis per vivere una NDE: uno studio – pubblicato nel 1990 su Lancet – che ha riguardato 58 pazienti ha messo in luce che 30 di loro non erano affatto in punto di morte, anche se lo avevano pensato. Esaminando poi in dettaglio le sensazioni vissute durante la NDE ci si può rendere conto che ognuno dei«sintomi» è scientificamente spiegabile e correlabile con particolari alterazioni dell'attività cerebrale dovute o alle gravi condizioni dell'organismo o alla somministrazioni di particolari farmaci.
Vediamoli:

Sono morta!
Non solo coloro che tornano dall'Aldilà hanno creduto di essere morti ma coscienti: anche i pazienti affetti dalla sindrome di Cotard sono convinti di essere deceduti perché quella è apparentemente l'unica spiegazione razionale alla mancanza di emozioni e sensazioni che caratterizza il disturbo. Sintomi simili si verificano anche in seguito a traumi, tifo e sclerosi multipla e sono probabilmente collegati alle aree della corteccia parietale e prefrontale, rispettivamente coinvolte nei processi legati all’attenzione e alle allucinazioni tipiche della schizofrenia. 

Sono fuori!
Probabilmente tutti noi, talvolta abbiamo sperimentato la sensazione di essere fuori dal nostro corpo, disincarnati, durante i momenti che precedono il sonno o il risveglio. Il 40% delle persone intervistate riferisce di aver vissuto l'oggettiva paralisi che coglie i muscoli volontari mentre scivoliamo nel sonno come la sensazione di fluttuare sopra il proprio corpo, legata a intense allucinazioni oniriche.
Tanto per dire: uno dei sogni più vividi che ho sperimentato in vita mia risale all'infanzia e lo ricordo ancora (razionalmente, perché era così intenso e bizzarro da indurmi riflessioni e domande): la sensazione provata di galleggiare a un paio di metri da terra, sopra il mio corpo (che non vedevo ma sapevo esserci) sdraiato in un piccolo prato, mentre altra gente in basso piangeva e bisbigliava. Se la morte è così non fa troppa paura, pensavo. Ogni tanto rivisto il ricordo, come risorsa antistress.
NDE? Ma figuriamoci, semplice paralisi da sonno + allucinazione onirica.
Uno studio del 2005 ha evidenziato che queste «esperienze» possono essere indotte artificialmente stimolando la giunzione temporo-parietale destra del cervello. 

Ho rivisto tutta la mia vita in un attimo! 
Le spiegazioni circa la visione di cari defunti e la sensazione di rivivere in un attimo tutta la propria vita – due delle tipiche esperienze citate nelle testimonianze di pre-morte – sono ancora vaghe.
Per cominciare potremmo ricordare che i parkinsoniani «vedono» talvolta fantasmi e mostri. La spiegazione attualmente più accreditata  e che ha soppiantato quella più nota di una inadeguata produzione del neurotrasmettitore dopamina, considera fondamentali due differenti deficit: quello attentivo e quello visuo-percettivo. Se presenti contemporaneamente, i due deficit darebbero luogo ad allucinazioni visive. Questi dati suggeriscono che non sia necessario essere in punto di morte per «vedere i defunti».

Per quanto riguarda, invece, la sensazione di rivivere i momenti importanti della propria vita, la responsabilità potrebbe essere del locus ceruleus, una regione del cervello che produce noradrenalina, un ormone dello stress prodotto in grande quantità durante i traumi e strettamente connesso alle aree cerebrali (amigdala e ipotalamo) che regolano le emozioni e la memoria. In poche parole una condizione organica estrema induce di per sé l'organismo a produrre neurotrasmettitori che attivano la memoria, ed è quindi inutile tirare in ballo spiegazioni mistiche o sovrannaturali. 
Mi sento euforica! 
Le ricerche hanno anche dimostrato che alcuni medicinali e droghe ricreative possono causare condizioni simili all’euforia che si prova nelle esperienze pre-morte: è il caso dell’anestetico chetamina, che può provocare anche allucinazioni e la sensazione di abbandonare il proprio corpo. La chetamina agisce sul sistema dei recettori oppioidi del cervello, che possono attivarsi anche in assenza di farmaci quando si è sotto attacco, suggerendo che i traumi scatenino questo aspetto delle esperienze pre-morte. 

Sono tutta illuminata!
simulazione di campo visivo in stato di ebbrezza
E arriviamo alla grande luce: la sensazione di procedere in una grande oscurità al termine della quale esiste un luce intensissima.
Cominciamo dal tunnel: quando il cervello riceve un insufficiente apporto di ossigeno, l'attività neuronale cala, fino alla completa perdita di coscienza. A livello della corteccia visiva, il calo produce un caratteristico restringimento del campo visivo, tipico ad esempio dell'ubriachezza (quest'alterazione della vista è uno dei tanti rischi dovuti alla guida in stato di ebbrezza).  
Sì, ma la luminosità? 
La spiegazione possibile della famosa «luce» è un fenomeno che tutti noi sperimentiamo nel buio o con gli occhi serrati, in condizioni normali, senza quasi più farci caso:

uno scintillio diffuso dovuto ai fosfeni, cioè delle immagini spurie prodotte dalla scarica casuale e spontanea dei neuroni della corteccia visiva e dai fotorecettori della retina [4]. 

Volete vedere i fosfeni? Sfregatevi le palpebre provocando un aumento di pressione sui bulbi oculari che stimolerà meccanicamente i fotorecettori. Vedrete la «luce» pur restando comodamente nell'Aldiqua.
In conclusione: deficit di ossigeno + fosfeni = «tunnel verso la luce».
Questa fredda razionalità non porta nessuno in paradiso, ma chi ha detto che la scienza debba essere consolatoria? E poi, sia detto con il massimo rispetto, credere nel Paradiso è un atto di fede; «credere» a una verità dimostrata è ancora fede? 

E quindi? 
Nel loro complesso, le ricerche suggeriscono che le NDE siano correlate a due differenti tipi di esperienze:
a. disturbi della coscienza definiti «depersonalizzazioni»  che consistono in una condizione di distacco dalla propria realtà, ossia nella percezione dell'estraneità
  • alle proprie azioni (depersonalizzazione autopsichica)
  • al proprio corpo  (depersonalizzazione somatopsichica)
  • al proprio ambiente (depersonalizzazione allopsichica)
Simili alterazioni percettive esprimono esattamente l'esperienza raccontata da chi ha vissuto una NDE: fluttuazione lontano dal proprio corpo, visione di un ambiente estraneo ecc. In letteratura clinica tali disturbi sono frequenti in stati di affaticamento emotivo, oppure nelle alterazioni organiche dovute a lesioni del lobo temporale, nei prodromi dell'epilessia, nelle intossicazioni da LSD o mescalina, (oltre che nelle psicosi schizofreniche o depressive e nelle nevrosi isteriche). Inutile ricordare quanto possa essere emotivamente defatigante un'esperienza estrema come un forte trauma o l'entrata e l'uscita dal coma.

b. alterazioni neurobiochimiche transitorie provocate dai farmaci somministrati.

Un contributo importante alla comprensione di questi fenomeni è stato fornito qualche tempo fa da uno studio condotto da ricercatori sloveni [5] su 52 pazienti colpiti da attacco cardiaco, Dal loro lavoro emerge che i soggetti con elevato contenuto di anidride carbonica nel sangue hanno vissuto esperienze molto simili alle NDE: la sensazione di muoversi verso una luce molto brillante, e di provare emozioni quali pace e gioia. 
Questo genere di dati, in realtà non è del tutto nuovo, segnala la ricercatrice inglese Susan Blackmore, nel saggio Dying to Live: Near Death Experiences: gli attacchi cardiaci si verificano quando il cuore non riceve un sufficiente apporto di sangue (e quindi di ossigeno); di conseguenza il cuore non funziona più in maniera ottimale come pompa; l'ossigeno giunge al cervello con  fatica e l'anidride carbonica si accumula nel sangue, superando concentrazioni di 10.000 ppm (parti per milione), oltre le quali l'anidride carbonica diventa tossica. Come risposta allo stress da attacco cardiaco vengono rilasciate delle endorfine (mediatori nervosi che inibiscono il dolore); esse abbattono il dolore e possono causare euforia o allucinazioni.

Uan presa di posizione di carattere più generale è quella di Caroline Watt, Senior Lecturer in Psicologia all’Università di Edimburgo e socia fondatrice della Koestler Parapsychology Unit,coautrice, insieme a Dean Mobbs di un recente articolo sulle esperienze di NDE. In un'interessante intervista – dopo aver ricordato che le NDE vengono riferite da chi le ha vissute dopo aver ripreso conoscenza, e come tali sono soggette ad abbellimenti, riduzioni, deformazioni – Watt dichiara: 

Sono propensa a vedere la NDE come un tentativo del cervello di dare un senso agli input sensoriali interrotti durante un trauma.

e conclude

noi sosteniamo che, poiché delle esperienze che sembrano rassomigliare molto da vicino ad aspetti centrali delle NDE possono verificarsi in circostanze diverse, è più conveniente pensare che alla base delle NDE  vi siano fattori psicologici e fisiologici normali, piuttosto che pensare che rappresentino letteralmente un viaggio verso una sorta di regno non-fisico. 

Infine Kyle Hill, in un articolo apparso in forma integrale  qui e in forma ridotta su «Le Scienze on line» (08/12/12) critica alla base come antiscientifico il modo di procedere di Alexander e dei suoi accoliti: 

Le stesse sensazioni possono prodursi anche quando in realtà non si sta morendo? Se è così, bussare alla porte del paradiso è un'illusione, anche se il paradiso esiste davvero: San Pietro è sicuramente in grado di capire la differenza tra una persona che sta morendo e una che ha le allucinazioni. L'esperienza di pre-morte come prefigurazione del Paradiso è, forse, una bella teoria, ma è sbagliata.

Resta la grande domanda: perché il cervello di chi ha vissuto esperienze estreme sente il bisogno di dare proprio quella forma, quella di una presa di contatto precoce con un rasserenante  l'Aldilà alle alterazioni neurochimiche che ha vissuto? A titolo puramente personale e senza ovviamente poter addurre prove scientifiche a questa mia riflessione, ho trovato particolarmente interessante un articolo di «Scienze on line» datato 4 ottobre 2008 e intitolato significativamente La mancanza di controllo altera la percezione.
Adam Galinsky Jennifer Whitson, autori di uno studio pubblicato a suo tempo su Science, hanno osservato che quanto più le persone vivono la sensazione di non avere il controllo di ciò che stanno vivendo, tanto più cercano di riconquistarlo a qualunque costo imbastendo, se occorre,  complesse spiegazioni, anche un tantino paranoiche. Secondo Galinsky

La sensazione del controllo è così importante che la sua perdita viene vissuta come una profonda sfida. Questi errori percettivi, che possono essere negativi e condurre fuori strada, sono peraltro molto comuni e rispondono a un bisogno psicologico profondo e persistente.

Whitson ha dichiarato in proposito: 

Le persone vedono falsi schemi in tutti i tipi di dati, immaginando tendenze di mercato, aspre critiche sul volto di chi è di fronte, cospirazioni fra persone del tutto tranquille. Ciò suggerisce che la perdita del controllo porti a rispondere a un bisogno viscerale di ordine, sia pure di un ordine immaginario.

Mi chiedo se esista una perdita di controllo maggiore di quella vissuta da coloro che, una volta usciti dal coma o dai gravissimi traumi di solito associati alle esperienze di pre-morte, racconteranno come NDE. Tenendo conto di questo studio,  del fatto che praticanti o meno, credenti o indifferenti – la maggior parte degli occidentali (e non solo) hanno sentito parlare di un qualche tipo di Aldilà, spesso presentato come un luogo di luce e serenità, premio finale a una vita onesta e che, secondo molte religioni, a questo Oltre si acceda dopo un faticoso cammino (talvolta non solo metaforico), fancamente non mi stupisce che le testimoniaze   relative alle esperienze pre-morte siano tutte così simili. Fermo restando che ritengo umanissimo sperare in un Oltre che ci permetta di continuare in qualche modo a esistere come individui, mi chiedo se invece di cercare «prove» dell'esistenza di un Aldilà –  non dovremmo limitarci a cercare la ragione per cui noi umani tendiamo a raffigurarcelo così.  

Dopo aver dato tanto spazio alle ragioni razionali mi sento in dovere di farvi ascoltare direttamente la voce di chi crede fermamente nella propria esperienza NDE 
Qui  per ascoltare una testimonianza in diretta


Qui per vedere un docu-film in 11 parti sull'argomento. 

 

Qui finisce il mio percorso di ricerca sulle NDE, un argomento al quale mi sono accostata con curiosità scientifica e con punto di vista, devo ammetterlo, assolutamente scettico. Nulla di quanto ho trovato mi ha fatto cambiare idea, ma questa gran mole di dati, testimonianze, obiezioni, studi mi ha convinto, se mai ce ne fosse stato ancora bisogno che:
a) la nostra mente è straordinariamente complessa e sfaccettata;

b) le nostre convinzioni a priori hanno un grande potere di orientamento non solo – com'è ovvio – del nostro pensiero razionale,  ma anche di quella parte del nostro «sé», profonda e peculiarmente umana,  che sente il bisogno incoercibile di porre ordine nella nostra percezione del mondo.

Concludendo, almeno per il momento, gli unici esseri di luce che mi sento di evocare per voi sono questi, poco carismatici ma deliziosi:



Note:


1. Indipendentemente dai dati ottenuti da MacDougal, (assolutamente inattendibili, secondo la comunità scientifica e in contrasto con le convinzioni religiose che considerano l'anima immateriale e quindi a peso 0, l), il peso dell'Anima e 21 grammi sono ormai un riferimento popolare al concetto di vita e della sua perdita. In rete sono ampiamente citati sia il film diretto da Alejandro Gonzáles Iñárritu (2003), sia  brani musicali, sia «composizioni» personali come questa  21 grammi.


2. Mario Campli,  Esperienze di pre-morte in «Scienza  e Paranormale» rivista di indagine critica sul paranormale;  organo ufficiale del CICAP    1999 n° 27 Settembre-ottobre


3. qui 

4. Armando De Vincentiis, psicologo e psicoterapeuta del Cicap,  citato qui  e qui

5: Klemenc-Ketis Z et al. The effect of carbon dioxide on near-death experiences in out-of-hospital cardiac arrest survivors: a prospective observational study. in «Critical Care» 2010, 14 : R56.

5 commenti:

Romina Tamerici ha detto...

I tuoi post sono sempre molto articolati e interessanti. Non avevo mai riflettuto sul tema delle esperienze pre-morte. Non lucidamente come hai fatto tu, almeno!

S_3ves ha detto...

Ciao Romina! A dire la verità non ci avevo pensato nemmeno io. Solo quando mi sono imbattuta casualmente in un articolo su Alexander ho cominciato a cercare altre informazioni. In rete si trovano un sacco di materiali ma spesso sono ripetitivi, "ispirati" quasi alla lettera da pochi pezzi originali, così mi sono divertita a cercare le vere fonti.

Anonimo ha detto...

Al fine di apportare un contributo scientifico al tema suggerisco di leggere per intero (possibilmente la versione in lingua originale) della ricerca del dott. Pim van Lommel. Un team costruito specificamente ha esaminato oltre 340 casi, ponendo estrema attenzione ai tracciati elettroencefalici e alle condizioni di morte presunta e non. Il risultato è stato pubblicato si "The Lancet". Sorprendente....

Anonimo ha detto...

Al fine di apportare un contributo scientifico al tema suggerisco di leggere per intero (possibilmente la versione in lingua originale) della ricerca del dott. Pim van Lommel. Un team costruito specificamente ha esaminato oltre 340 casi, ponendo estrema attenzione ai tracciati elettroencefalici e alle condizioni di morte presunta e non. Il risultato è stato pubblicato si "The Lancet". Sorprendente....

S_3ves ha detto...

grazie per la segnalazione, sono davvero curiosa di leggere i risultati dello studio. Grazie!

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