lunedì 1 aprile 2013

Ma quanta acqua c'è in quella lattina?

Quanta acqua può occorrere per metterci in mano una lattina di coca cola? 
33 cl, no? Anzi, meno, perché la lattina deve pur contenere qualcos'altro oltre all'acqua, per esempio la «ricetta della felicità», come declamava uno spot recente.
Sbagliato. Di acqua ne occorre uno sproposito.
Mentre fate il prossimo bagno, date un'occhiata al vostro boiler elettrico (se ancora ne avete uno… ovviamente voi e io sappiamo benissimo che il boiler elettrico consuma un mucchio di energia, nevvero?); visto così, da sotto in su, il boiler sembra una gigantesca lattina, per l'esattezza una lattona da circa 80 litri. Ecco, per farvi un'idea dell'acqua occorrente per la coca moltiplicate la megalattina per 2,5. Per bere la felicità ci vogliono più o meno 200 litri d'acqua
Ma andiamo con ordine. Prima di tutto, lo sapevate che venerdì scorso, 22 marzo, cadeva la Giornata Mondiale dell'Acqua 2013?
Ma certo che lo sapevate. Però, non smettete di leggere: di seguito troverete, oltre ad alcuni dati generali, anche qualche aspetto meno noto del problema ACQUA. 

Su quanta acqua possiamo contare?


Poca, anche se viviamo sul famoso Pianeta Blu. O meglio, di acqua ne abbiamo tantissima, ma non del tipo che ci serve.
Ecco, il nostro pianeta ci offre un piccolo 3% di acqua dolce; la maggior parte di questo scarso tre per cento è bloccata nelle calotte polari o sotterranea, o contenuta nell'atmosfera. Quella facilmente accessibile, allo stato liquido, è appena lo 0,3%. Poca, dunque, e preziosissima, e deve bastare per più di 7 miliardi di persone.
Ma non tutti gli umani sono uguali.  884 milioni di noi sono decisamente meno uguali di voi e di me e non hanno accesso a fonti sicure e pulite. Non basta,  l'acqua esce dai rubinetti  solo per due miliardi di umani (noi siamo in cima alla lista); Il 12% di cui noi facciamo parte raggruppa gli umani più uguali, 840 milioni di incoscienti che riescono, da soli, a sprecare l'85% dello 0,3% 

L'impronta dell'acqua 
Ma in che modo riusciamo a consumare tutta quest'acqua?
Più o meno metà di tutta l’acqua disponibile viene utilizzata come acqua potabile o per coltivare i prodotti alimentari, o per produrre energia e beni di consumo. In Europa, per esempio, quasi metà dell'acqua prelevata viene utilizzata nel settore energetico, per raffreddare gli impianti. Il resto finisce in agricoltura, approvvigionamento idrico pubblico e industria.
Il concetto di impronta idrica è l'evoluzione di quello di acqua virtuale, messo a punto anni fa da Anthony Allan: il volume di acqua consumata per produrre un bene, dall'inizio (ad esempio la coltivazione, oppure l'estrazione ecc.) al prodotto finito. 
Per esempio, dietro il vostro più amato e comodo paio di scarpe (e anche dietro i mocassini marroni che vi ha regalato quell'odiosa di vostra cugina per Natale e che voi non indosserete mai!) sta – anzi stava –  una mucca, «proprietaria» del cuoio utilizzato; l'acqua necessaria a dissetare la mucca e a far crescere il foraggio di cui si è cibata costituisce parte dell'acqua virtuale relativa alle scarpe, come pure l'acqua utilizzata e inquinata per conciare il cuoio e produrre i mocassini. L'acqua virtuale associata alla lattina di coca cola è in gran parte dovuta alla produzione e al raffinamento dello zucchero, oltre 30 grammi, contenuto nella lattina.
Ovviamente il concetto di acqua virtuale è l'ultimo dei nostri pensieri da consumatori «ingenui», perciò il concetto di impronta idrica – applicato a  un individuo, a un'azienda, a una comunità – è particolarmente significativo. Ad esempio, a livello globale l'acqua utilizzata per l'agricoltura è pari al 92% del consumo di acqua dolce, quella per la produzione industriale al 4.4% e quella domestica al 3.6%.  Ma, come per le materie prime, anche per l'acqua gli umani non sono tutti uguali: uno statunitense medio consuma circa circa 7.700 litri/die, un africano medio solo 3.400 litri. Ma di frequente noi abitanti del Primo Mondo importiamo enormi quantità di materie prime e prodotti alimentari dai paesi del Terzo Mondo, pagandoli alle nostre condizioni (ossia non in maniera «equa e solidale») acqua virtuale compresa. Insomma molti paesi lasciano abitualmente l'impronta del loro piedone all'estero, importando beni che richiedano moltissima acqua per essere prodotti. È il caso del Giappone la cui impronta idrica (1150 metri cubi/anno pro capite), sta per il 65% fuori dei confini nazionali. 
Stati Uniti, Giappone, Germania, Cina e Italia  sono i principali paesi importatori di acqua virtuale. Ovviamente sono anche esportatori, quando vendono prodotti all'estero, il bilancio netto è in continuo cambiamento.

E dove sta il problema?
In un intreccio perverso di condizioni: 1) la distribuzione geografica delle riserve d'acqua: molti Paesi esportatori hanno riserve d'acqua limitate e ne utilizzano la gran parte per produrre beni da esportare verso paesi più ricchi di acqua, sottraendoli a una gestione interna a favore dei loro abitanti; 2) lo scarso controllo che i governi dei paesi esportatori esercitano sulla gestione della loro acqua; 3) l'iniqua politica dei prezzi dei Paesi importatori.

Dobbiamo pur mangiare… 
Innegabile. Come tutti gli esseri viventi del pianeta abbiamo un diritto elementare e inalienabile al cibo. Ma nemmeno il cibo è tutto uguale. Se pensate che tutto questo camminare all'indietro, risalendo alla provenienza dei nostri beni faccia venire il mal di testa, be' avete ragione.    Il fatto è che che dobbiamo pur mangiare, bere, avere accesso all'acqua… ma TUTTI. 
Cominciamo con un esperimento.
Andiamo in macelleria a comprare un bel chilogrammo di bistecche (calma, vegetariani e vegani, è solo un esempio). Quanta acqua virtuale si portano dietro 'ste bistecche? Mediamente 15.000 litri, con variazioni dovute al metodo di produzione e all'origine dell'alimentazione bovina (foraggio? farine animali?). Mostruoso eh? Ma pensate a questo: un hamburger di carne da 150 grammi ne «contiene» circa 1.000 litri (senza contare il pane), ma un hamburger di soia solo 160 l. 
E perché?
Perchè mangiando la soia (variamente acconciata) siete al secondo gradino della piramide alimentare, ovvero attingete direttamente dai vegetali (che sono il gradino più basso e  largo), mentre se mangiate il manzo passate al terzo livello, il manzo vi ha spiazzato (anche se in questo particolare caso non gliene viene alcun vantaggio, poveretto). Allungando la catena alimentare consumiamo più acqua, così come maggiore energia. È la legge del decimo [1]. 
grazie a Progetto Auras


No, non ditemelo! So bene che, dal punto di vista gastronomico, tra una vera bistecca e una equivalente di soia c'è una bella (anzi, buona) differenza… ma l'arte del possibile richiede qualche piccolo compromesso; basta considerare gli hamburger di soia non un succedaneo di quelli di carne ma un'altra cosa. 
Per incentivare la vostra virtù ambientalista vi fornisco qualche altro dato: 


da: http://www.ilfattoalimentare.it/impronta-idrica-dei-cibi.html

E posso aggiungere
– un latte macchiato: 200 l di acqua (Oddio! ma per un buon caffè macchiato molti meno, vero?)  
–  un kg di cotone (= un paio di jeans): 11.000 l
–  una pizza margherita:  1.300 l

Vediamo… se vivessi di patate, pomodori, mele, uova e qualche bel bicchiere di birra? Sì, ma una bella pizza, accidenti?
Be' non possiamo salvare il mondo in un giorno. Ma pensiamoci seriamente. Io le bistecche di soia le mangio già (mia figlia sa essere molto convincente!) e non sono affatto male.
Comunque non illudiamoci; le bistecche che finiscono nei nostri piatti non sono il solo (e nemmeno il maggiore dei problemi). Per migliorare la situazione occorrono scelte politiche ed economiche globali, variazioni del modello di sviluppo attuale, ragionamenti lucidi sulla relazione tra  scambi economici e disponibilità idriche nazionali, scelte coraggiose in campo alimentare, buona gestione della distribuzione dell'acqua e lotta agli sprechi. 

Prossime puntate sulla situazione italiana e sull'impronta idrica legata alle scelte energetiche.  

[1] Legge del decimo: a ogni gradino della piramide alimentare si perde il 90% della biomassa. In altre parole, soltanto il 10% della biomassa di un certo gradino della piramide è disponibile per i consumatori del gradino successivo ( il restante 90% serve ai viventi di quel gradino per svolgere le loro funzioni vitali). In pratica, per produrre 1 kg di bovino o suino, occorrono in media di 10 kg di piante. 
  
Ulteriori notizie:

qui un interessante dossier di Focus sull'argomento
qua un test per verificare quanto ne sapete.

Speciale acqua suddiviso per argomenti a cura di Green Cross Italia
Giorgio Nebbia: Il costo in acqua delle merci 
Infine un'immagine che vale mille parole




 









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