sabato 17 agosto 2013

The Horror at Red Hook: la storia della storia


Perché ne parlo proprio qui?
Durante queste settimane di vacanza sono tornata a leggere come piace a me: prendendo in mano un libro a caso e seguendolo pe veder dove mi porta. Sicuramente è capitato anche a voi che i libri che sfogliate  sembrino «parlarsi» fra loro, e uno riecheggi quello precedente… 
Non nei temi, quel genere di somiglianza è responsabilità nostra, perché scegliamo le letture in base al nostro umore. No, piuttosto, parafrasando Ligabue, il libro che leggi «sembra avere capito chi sei» e ti racconta di cose che non sapevi di cercare.  Ovviamente dipende da noi, dalla nostra disponibilità ad ascoltare in particolare certe sfumature, certe frasi… Comunque a me piace credere che loro, le storie, comunichino a un livello più profondo. 
Questo modo di leggere 0 che apparentemente procede a caso – mi fa scegliere testi che altrimenti non sfoglierei, perché la vita è breve e i grandi libri troppi e so già che il tempo non mi basterà. Ma la «vacanza» è appunto un'assenza, e ogni tanto anche il mio senso critico da lettore disciplinato ha il buon gusto di andarsene in ferie.
Risultato: ingoio pagine bizzarre che mi spingono a cercare ulteriori cenni e spiegazioni in rete. Io mi diverto così…
edizione portoghese (da iTunes)
Tra le voci dell'estate 2013 ho ascoltato quella di Lovecraft, un autore di cui in gioventù ho letto un sacco di cose, e altre ne ho scoperte chiacchierando con compagni di lettura. Insomma, mi sembrava di averne già avuto abbastanza. Ma – complice una piccola iniziativa editoriale e un bancarella di libri usati e davvero vecchi – ho ripescato due testi: L'orrore a Red Hook e Le montagne della follia. Alle Montagne dedicherò un post più avanti, gemellandole temerariamente con un romanzo di Tracy Chevalier. La storia di Red Hook, invece, l'ho recensita (incurioista dal suo taglio xenofobo)  su LibriNuovi on line e, caso mai foste interessati a proseguire la lettura del post vi suggerisco di dare prima un'occhiata alla recensione.  
Per esprimere un parere informato e non troppo ovvio, ho comunque girato un po' in Rete, raccogliendo un certo numero di informazioni che ho pensato di condividere senza appesantire eccessivamente la recensione.

Che razza di idea!
Considerato non troppo buona nemmeno dall'autore, che la definì piuttosto lunga e verbosa, il racconto è frutto, in un certo senso, di un progetto, che Lovecraft rivelò a uno degli autori suoi abituali corrispondenti, uno dei membri più stretti del cosiddetto «circolo Lovecraft» [1], Clark Ashton Smith:

Ho usato e userò ancora L'idea che il magico nero esista in segreto oggi, o che infernali antichi riti ancora esistano nell'oscurità. Quando leggerai la mia nuova storia "The Horror at Red Hook", vedrai che uso ho fatto dell'idea in connessione con le bande di giovani fannulloni & i branchi di stranieri dall'aspetto sgradevole che si possono vedere ovunque in New York [trad. mia]

La visione di bande giovanili e «branchi» di stranieri fu, per l'autore, un'esperienza di prima mano, vissuta in occasione di del suo trasferimento a New York in compagnia di Sonia Greene, sposata nel 1924.  Inizialmente infatuato della città, l'autore si disamorò presto, proprio perché estremamente turbato dalla mescolanza etnica, particolarmente evidente in quartieri come Red Hook. 

la mia venuta a New York  è stato  un errore […] Io vi ho trovato soltanto un senso di orrore e oppressione che incombeva fino a dominarmi, paralizzarmi e annichilirmi. 

L'esperienza è anche adombrata nel suo racconto He
Come riportato in The private life of HP Lovecraft, Sonia ricordava che una sera, mentre stava cenando in compagnia di James F. Morton, Samuel Cavenon e Reinhart Kleiner, in un ristornate dalle parti di Columbia Heighs, entrarono nel locale alcuni uomini turbolenti e chiassosi. Lovecraft fu talmente infastidito dal loro comportamento grossolano che riversò l'irritazione in questo racconto. 
 
Ogni volta che noi ci trovavamo in mezzo alla folla razzialmente mescolata che caratterizza New York, Howard diventava livido di rabbia, sembrava perdere la ragione.

Il Gentiluomo di Providence era mica razzista?
Be'… Che certi passi narrativi, come anche molti brani di lettere inviate ad amici e autori con i quali era in corrispondenza, siano esplicitamente razzisti, non vi è alcun dubbio, d'altra parte Lovecraft ha dichiarato un po' tutto e il contrario di tutto, apprezzando il pensiero di Marx ed Engels ma non disdegnando certe forme di fascismo, criticando il pensiero dei «fondamentalisti arretrati del Ku Klux Klan & della Legione Nera» e dichiarandosi possibilista sulla integrazione degli ebrei fra gli ariani, ma solo a patto che fossero assimilati, ovvero che non conservassero tracce della cultura ebraica!) e sposando una donna di origine ebraica. Ad esempio:

Un uomo educato nella tradizione tedesca, le cui prime sensazioni confermino la virile psicologia pagano-protestante che appartiene a quella nazione ed escludano gli insegnamenti ereditari di altre culture, dovrebbe poter diventare un cittadino a pieno diritto, e un potenziale funzionario, anche se è ebreo per un quarto, per metà o al cento per cento. Ma nessun uomo che abbia conservato sentimenti e punti di vista ebraici dovrebbe occupare ruoli di primo piano in un paese ariano.

Definirlo un social-confuso è sicuramente minimizzare, ma… A chi voglia approfondire  consiglio di dare un'occhiata alla voce che Wikipedia dedica al punto di vista politico di Lovecraft.

Torniamo alla storia…
Giusto. La principale fonte dei riferimenti alla magia usati in Red Hook provengono dalla 9^ edizione della Encyclopaedia Britannica (alle voci Magia e Demonologia) Una piccola querelle riguarda i termini greci uditi da Malone. Uno di essi è scritto in maniera errata: quella corretta, nella religione cattolica significa «consustanziale», riferita a Cristo e al Padre; quella trascritta da Lovecraft, invece, è tipica dell'eresia ariana e significa «simile a».
Al 90% si trattò di uno sbaglio. Ma se invece, come ipotizza Pilo (curatore del racconto),  fosse stato un errore voluto, per aggiungere un'ulteriore blasfemia al carico di peccati dei villains del racconto? 

La vera storia dei villains
Ma chi sono i peggiori tra questi cattivi? I membri di una comunità di immigrati che Lovecraft definisce esplicitamente yazidi e che spaccia per adoratori del diavolo. L'idea gli fu suggerita, pare, dalla lettura di un racconto pubblicato su Weird Tales nel 1925: The Stranger from Kurdistan di E. Hoffmann Price (1898-1988), un autore pulp abbastanza famoso all'epoca, che non solo fu corrispondente di Lovecraft ma lo conobbe di persona e collaborò con lui alla storia Attraverso i cancelli della chiave d'argento. Anzi, a essere precisi, E. Hoffmann Price fu forse l'unico, fra i tanti corispondenti di Lovacraft, ad avere avuto l'onore di conoscere di persona anche Robert E. Howard, e Clark Ashton Smith cioé  i «tre moschettieri» di Weird Tales.

Con alle spalle due guerre del Golfo, la semplice parola «kurdi» mi fa sussultare. E gli yazidi sono kurdi, ovvero discendenti di popolazioni di pastori che abitano da millenni un’ampia regione situata tra il Caucaso e il Golfo Persico.
Dopo la Prima guerra mondiale, le nuove frontiere nazionali ostacolarono le migrazioni stagionali, costringendo la maggior parte dei kurdi ad abbandonare l’allevamento per l’agricoltura stanziale e altre attività, un fenomeno che innescò la disgregazione dell’organizzazione tribale.
I kurdi sono in prevalenza musulmani sanniti, Ma gli yazidi non sono musulmani. Nel racconto di Lovecraft, essi occupano il gradino più basso, e sono talmente perversi, pervertibili e pervertiti da essere evitati perfino da altra gentaglia provenienti da razze sospette come i «siriani».
Ora, chi sono mai questi yazidi? Sono una popolazione kurda che professa, appunto, lo yazidismo, una religione che conta più di 4.000 anni, nella quale sono confluiti, nel tempo, elementi di giudaismo cabalistico, mitraismo, zoroastrismo, manicheismo e misticismo islamico. Gli yazidi furono perseguitati per centinaia di anni dai musulmani, che non riuscirono a convertirli. 
La loro roccaforte era Mossul sul Tigri, ai piedi delle montagne del Kurdistan, un punto di passaggio obbligato per le carovane che dall'Asia centrale dirette verso il Mediterraneo e l'Anatolia. Mossul era quindi una preda molto ghiotta, ma perfino i mongoli di Gengis Khan, che avevano preso Baghdad in una settimana, dovettero assediarla per un anno intero.
Che gli arabi non amassero i kurdi yazidi è dimostrato da un proverbio: : «Tre calamità vi sono al mondo: le locuste, i topi e i kurdi»: i wahhabiti combatterono gli yazidi in quanto «apostati», mentre i tradizionalisti sunniti li considerano tuttora «adoratori del diavolo».
Gli yazidi rischiarono l'estinzione nel 1892, quando le truppe ottomane penetrarono nella valle di Lalish (a nord di Mossul) uccidendo migliaia di abitanti.
Sotto Saddam Hussein, gli yazidi vennero classificati come «arabi» per falsare gli equilibri etnici nella regione ma vennero comunque emarginati dal regime. Dalla caduta di Saddam, nel 2003, i kurdi richiedono che gli yazidi siano riconosciuti parte del popolo kurdo a tutti gli effetti. Attualmente in tutto il mondo sono pochi – 800.000 secondo il loro sito ufficiale, 500.000 secondo altre fonti – la Germania è il paese europeo che ne ospita il maggior numero: 30.000. La loro nomea di adoratori del demonio deriva dalla venerazione degli yazidi per Melek Tā'ūs, (lett. «Angelo-Pavone») un angelo dalle sembianze di pavone.


Gli yazidi credono in un dio primordiale, la cui azione è terminata con la creazione dell'universo. Melek Ta'us, invece, è un'entità divina attiva, in origine un angelo che, dopo la caduta, si pentì e decise di ricreare il mondo che era stato distrutto. Riempì perciò alcune giare con le sue lacrime e se ne servì per estinguere il fuoco dell'Inferno. Accanto a lui esistono alcune divinità minori. Melek Tā'ūs, però,  è ritenuto dai musulmani uno shaytan, cioè un «diavolo» che corrompe i veri credenti. spingendoli ad affiancare altre divinità ad Allah, unico vero dio.
Gli yazidi si definiscono Dasin; L'etimologia popolare vuole che il termine «yazidi» derivi dal nome del califfo omayyade Yazid I (680-683); molto probabilmente, invece, proviene dal termine pahlavi yazd, cioè «angelo». I libri sacri degli Yazidi sono il Libro della Rivelazione e il Libro Nero, il rituale principale è il pellegrinaggio annuale alla tomba del maestro ʿAdi a Lalish. La società yazidi ha una struttura gerarchica con un capo secolare, detto Amīr, e un capo religioso, detto Shaykh. Ulteriori notizie potrete trovare nei siti seguenti:


E che dire di Red Hook? 
 Red Hook è una zona di Brooklyn, un quartiere che verso la metà del XIX secolo cominciò a suscitare l'interesse degli imprenditori: vennero costruiti porti e gli sbocchi a mare dell'Erie Canal, la via completmente naviganile che collega l'Oceano Atlantico alla regione dei Grandi Laghi. Intorno agli anni Venti Red Hook divenne il più importante porto mercantile del del mondo, ma tutto finì negli anni Sessanta, con l'avvento della containerizzazione. Oggi L'Atlantic basin e l'Erie basin, costruiti rispettivamente nel 1841 e nel 1864, restano come testimonianze della storia industriale di New York. 
Red Hook nel 1875 circa
Negli anni Trenta la zona era già molto impoverita e sull'area delle attuali Red Hook Houses sorgeva una di quelle baraccopoli per i senza tetto chiamate Hooverville.
Rapeleye Street, importante via di Red Hook, commemora gli esordi di una delle prime famiglie di Nuova Amsterdam (New York nacque come colonia olandese), il clan Rapelje, discendenti di Sarah Rapelje, il primo neonato olandese del Nuovo Mondo,
Nel 1990 la rivista Life definì Red Hook uno dei peggiori quartieri degli States e la «capitale del crack in America», come dimostrano le sparatorie tra gang avvenute in quel periodo per questioni di droga. Nel 2012 il quartiere è stato pesantemente danneggiato dall'uragano Sandy.
L'IKEA ha aperto un grande magazzino nel quartiere, sollevando grandi polemiche perché l'edificio ha rimpiazzato un bacino di carenaggio dell'Ottocento ancora in uso.

Altre storie
Il legame tra narrativa e Red Hook non si esaurisce con il racconto di Lovecraft; numerosi romanzi e racconti sono ambientati nel quartiere o almeno lo citano:
Nel racconto breve di Thomas Wolfe Only the Dead Know Brooklyn, il narratore (lo stesso Wolfe) prende la metropolitana di notte e viene invitato da un tizio a non passeggiare pe Red Hook. La novella è scritta nel «brooklynese» del 1936.
Non sorprenderà che il quartiere giochi una parte importante in due crime novel che intitolate proprio Red Hook: quella di Gabriel Cohen (2001) e quella di Reggie Nadelson (2005)
A Red Hook è ambientato  Memos from Purgatory  di Harlan Ellison, che Kurt Wonnegut considera uno dei suoi libri favoriti.
La spiaggia di Red Hook è una meta importante per i personaggi di City of Ashes, secondo libro della saga di di Cassandra Clare, che suppongo di non leggere mai.
Red Hook fu usata come ambientazione del dramma teatrale di Arthur Miller Uno sguardo dal Ponte (1955).
Anche molti film sono ambientati o girati a Red Hook, ad esempio:
Fronte del Porto (On the Waterfront) diretto da Elia Kazan nel 1954, con protagonista Marlon Brando, si svolge nel quartiere, anche se è stato girato a Hoboken, nel New Jersey.
Nel 1989 Red Hook è stato il setting del film Last Exit to Brooklyn (Ultima fermata a Brooklyn) e Mark Knopfler ne ha scritto l'omonima colonna sonora..
Il quartiere compare nel film di Bill Murray Quick Change (1990) come il luogo poco familiare nel quale i ladri si perdono.
Il fim indipendente Straight Out Brooklyn (1991) è ambientato presso i Red Hook Housing Projects.
La zona di Pier Van Dyke Street (dal n° 41 al 204) fu usata come setting di una scena del film Hitch, con Will Smith (2005)
Il documentario independente A Hole in a Fence di D.W. Young (2008) racconta la storia delle alterne fortune di Red Hook.
Il protagonista del film I guardiani del destino (2011) è cresciuto a Red Hook.
Nel 2012 Spike Lee diresse Red Hook Summer
 
 Alan Moore usò i riferimenti di The Horror at Red Hook per la sua graphic novel The Courtyard (Il cortile) che in realtà appartiene al Mito di Cthulhu.

Al di fuori della fiction, a Red Hook nacque il gangster Joe Gallo, poi commemorato da Bob Dylan nella canzone Joey:

Born in Red Hook, Brooklyn, in the year of who knows when
Opened up his eyes to the tune of an accordion
Always on the outside of whatever side there was
When they asked him why it had to be that way, «Well,» he answered, «just because.» 


Qui è anche vissuto per qualche tempo Al Capone 
Infine The Red Hook è il nome di un cocktail.


I veri villani!
Nel racconto,  l'autore assegna al detective Malone – che è il «buono» della storia – oltre alle origini irlandesi, un sesto senso «celtico», che gli consente di fiutare i mali, ma soprattutto il Male, di Red Hook. Purtroppo ormai da anni considero «celtico» un termine tabù capace di evocare soltanto feste strapaesane a base di polenta, scontri parlamentari conditi di volgarità, camicie verdi e bevute di acqua di fiume… Se aggiungo la fissazione di Lovecraft per gli immigrati perversi… Che cosa può visualizzare la fantasia di un lettore in vacanza? 
Da una parte gli Yazidi, qui mostrati in un'immagine presentata dalla BBC in un articolo sulla difficile situazione delle minoranze in Iraq e in un'immagine del tardo Ottocento


Yazidi men in late 19th century.



e dall'altra questi personaggi nostrani?

Ora, mi rendo conto che madre natura non è equa nel distribuire i suoi doni, però, semplicemente confrontando le immagini, voi chi scegliereste come esemplare di creature tanto rozze e turbolente, da ispirare simili eccessi:





Credeva di percepire in loro l'orrida minaccia di una continuità nascosta, un qualche piano infernale insondabile e primitivo [...] intuiva, che in qualche modo perpetuavano un culto selvaggio e osceno, retaggio di pratiche e rituali più antichi dell'umanità stessa.

I peccati dell'intero universo si erano concentrati lì e, al pulsare di crescenti ritmi blasfemi, era iniziata la danza macabra della morte che avrebbe corrotto tutti gli uomini, fino a degradarli a fungosità giganti, troppo mostruose persino per essere accolte nei sepolcri.

Mah. Chissà che cosa avrebbe risposto il Gentiluomo di Providence!


1. furono così chiamati gli scrittori, corrispondenti di Lovecraft, che introdussero nelle loro opere elementi tratti dai suoi racconti (i grandi Antichi, località fittizie, libri antichi e misteriosi ecc.)

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