Ma
loro come lo fanno?
È
venuto il momento di rivelare uno dei segreti della vita privata
delle Pteridofite: loro sono “diverse”.
Noi
pluricellulari, in stragrande maggioranza, abbiamo almeno una
costante nella vita: nasciamo diploidi e diploidi moriamo. Non è
molto, indubbiamente, ma il nucleo di ognuna delle nostre cellule
somatiche possiede per tutta la nostra vita due set di cromosomi: uno
di origine paterna e uno di origine materna. Tutte le nostre cellule
TRANNE le cellule riproduttive, i gameti. Quelli sono aploidi, cioè
hanno un solo set: un cromosoma 1, un cromosoma 2, un cromosoma 3...
ecc. provenienti o dal set materno o dal set paterno, fino al
cromosoma 23 (che può essere X o Y e, nei mammiferi, indica il sesso
biologico del nascituro). E questo perché la diploidia verrà
ripristinata nei fortunati pochi gameti che riusciranno a incontrare
un partner dell'altro genere durante la fecondazione. E questa
aploidia dei gameti ci salva dal disastro di raddoppiare il numero di
cromosomi tipici della specie generazione dopo generazione.
Detto
in linguaggio scientifico, dal punto di vista riproduttivo noi siamo
diplonti.
Però,
nella grande maggioranza dei pluricellulari, i gameti sono cosine
discrete, cellule aploidi; certo negli uccelli il gamete femminile è
un uovo visibile a occhio nudo, ma pur sempre una sola cellula.
Le
Pteridofite (come altre creature molto antiche, tipo i muschi) sono
invece aplodiplonti, ovvero presentano un'alternanza di generazioni
aploidi e diploidi. Frutto di una sperimentazione separata di Madre
Natura, loro fanno le cose in grande.
Le
spore sono cellule aploidi che non si uniscono ad altre cellule e
che, cadendo sul terreno, possono germinare, dando origine al
gametofito che ha una forma a tubercolo o, nelle felci, laminare e
viene chiamato protallo.
I protalli possono essere solo maschili (e producono gameti
maschili), solo femminili (e producono gameti femminili) oppure
ermafroditi (allora producono entrambi i tipi di gameti). I gameti
maschili sono spesso provvisti di ciglia per muoversi nell'acqua; i
gameti femminili, invece, sono contenuti in piccole strutture a forma
di fiasco e immobili. I gameti maschili “nuotano” fino ai
fiaschetti e si uniscono al gamete femminile, formando un embrione
che si nutre a spese del protallo, sviluppando lo sporofito che è
diploide, cioè quella che noi consideriamo la pianta vera e
propria. Quando lo sporofito giunge a maturazione sulle pagine
inferiori delle fronde dello sporofito si formano gli sporangi che,
spesso aiutati da agenti esterni (come il vento o magari il tessuto
dei vostri abiti o il pelo del vostro cane), cadono al suolo
liberando le spore, aploidi. E tutto ricomincia.
ciclo riproduttivo delle felci |
Insomma,
mentre voi producete i vostri gameti che, unendosi a quelli di
eventuali partner daranno origine a piccolissimi umani, la felce che
state guardando produce qualcos'altro (o meglio qualcun
altro, che
gode di esistenza autonoma, seppur breve) che a sua volta produrrà
la felce che vedrete il prossimo anno.
Ma
i segreti riproduttivi delle felci non finiscono qui: oltre che alla
riproduzione sessuata (gametofito) e asessuata sporofito), le
Pteridofite possono ricorrere alla riproduzione agamica (cioè da
parti della pianta adulta).
Un
esempio di questa loro capacità viene dall'osservazione della
Woodwardia
radicans
studiata presso l'Orto
Botanico di Messina, che cura un progetto per la sua
moltiplicazione e salvaguardia. La Woodwardia
è
una felce arborea molto bella, capace di riprodursi anche per via
vegetativa grazie a bulbilli che si formano in cima alla foglia e
radicano quando toccano il terreno umido.
Ho preso in prestito l'immagine qui sotto proprio dal sito dell'Orto
Pietro Castelli di Messina.
Ma,
come direbbe un mio amico, le felci sono strane, sono pure belle, ma
non si mangiano... Vale proprio la pena di dedicar loro tanto spazio?
Se siete così pragmatici continuate a leggere...
Tesori
della Terra
Le
felci arboree del carbonifero ci hanno lasciato un'eredità
grandiosa. I combustibili fossili. Come ricorda il biologo
evoluzionista Piotr Naskrecki (1),
… la nostra economia, basata sui combustibili fossili , è alimentata dagli alberi che dominavano le foreste palustri del Carbonifero, precursori di piccole piante che calpestiamo oggi ogni giorno come licopodi ed equiseti, che sono fossili viventi.
carbon fossile con felce |
Questo
bel pezzo di carbone esibisce una felce fossile, l'ho scelto proprio
per ricordarvi che i combustibili fossili derivano dalla
trasformazione (carbogenesi) di sostanza organica seppellita in
profondità nella crosta terrestre nel corso delle ere geologiche, in
forme molecolari via via più stabili e ricche di carbonio. Uno
studioso di ecologia direbbe che queste sostanze conservano nei loro
legami chimici l'energia solare assorbita dalla biosfera di centinaia
di milioni
di anni fa grazie alla fotosintesi e, nel caso del petrolio e del gas
naturale, fluita lungo catena alimentare da un livello trofico
all'altro.
Ma
allora le piante sono pezzi di carbonio?
In
un certo senso sì. Ma quali lentissimi processi hanno consentito
alle Pteridofite e alle prime Gimnosperme di trasformarsi in
combustibili?
Be',
immaginiamo i vegetali delle antiche foreste mentre piano piano
cadono a terra e cominciano ad essere coperti da sedimenti. La
pressione su di essi aumenta, il calore – compreso quello prodotto
dagli elementi radioattivi della crosta terrestre – pure.
Lentamente i batteri anaerobi eliminano da queste sostanze organiche
l'ossigeno, l'idrogeno e l'azoto sotto forma di acqua e ammoniaca, aumentando anno dopo anno la
concentrazione di carbonio all'interno di questi resti (processo di
carbonizzazione), fino alla formazione di quelli che chiamiamo i vari tipi di carboni fossili.
Maggiore
il tempo di carbonizzazione, maggiore il contenuto in carbonio dei
combustibili che vengono così classificati in base alla sua
percentuale: il litantrace, che è il più pregiato, giunge al 93%,
sua cugina povera, la torba, raggiunge soltanto il 55%.
I
carboni che noi abbiamo imparato a estrarre da secoli sono formati
da carbonio, da una certa percentuale di idrogeno, ossigeno, azoto e
piccole quantità di argilla, calcite, zolfo e acqua. Lo zolfo, che
nella combustione si libera sotto forma di anidride solforosa (?) è
responsabile di una bella fetta di inquinamento atmosferico.
Il
petrolio, invece, è una miscela di idrocarburi liquidi, e il gas
naturale una miscela di idrocarburi gassosi. Entrambi derivano dalla
fossilizzazione di resti animali, in genere plancton, in ambiente
marino. In senso stretto non hanno relazioni con le nostre
pteridofite, ma vale la pena ricordarlo.
A
questo punto si potrebbe parlare dell'impatto ambientale e sulla
salute umana dei combustibili fossili, ricordare che, soprattutto il
petrolio, hanno innescato rivalità, attriti e guerre fra le nazioni
della Terra, disquisire sul diritto di tutti i popoli di accedervi
equamente e sul loro dovere di non inquinare... Ma anche questa è
un'altra storia, che esula dalla modesta portata di questo mio post
da neo-appassionata di Pteridofite...
Ma
non esula dalla mia convinzione marxista che l'economia fa girare
buona parte del mondo e che è meglio conoscerla, almeno un po', per
non esserne soltanto vittime.
Cielo di una città cinese oscurato dai fumi di carbone |
Nel sito indicato qui sopra troverete alcuni dati interessanti sull'uso del carbon
fossile.
Il
mio spazio dedicato alle felci finisce qui. Spero di avervi convinti
che sono creature meritevoli di attenzione e di attenzioni. Io mi ci
sono affezionata e continuerò ad ammirarle nei boschi. Anzi –
cane, gatto, marito e figlia permettendo – ne voglio ospitare una,
purché sia in grado di campare bene nel clima caldo e secco del mio
terrazzo.
Potrei cominciare con questa: mi assicurano che resiste bene sia al calcare che alla siccità.
Polypodium vulgare |
(1)
Liberamente citato da A. J. Werth e W. A. Shear nel bell'articolo La
verità sui fossili viventi, pubblicato
in “Le Scienze” n. 560, aprile 2015).
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