giovedì 11 settembre 2008

Camping esclusivo per quarantenni rovinati: acqua corrente e vista sui binari


Grazie Piotr e Fran, ma non merito lodi. Oltre che un tentativo di imparare dall’esperienza (che è piatto buon senso) e di dare un po’ di senso a giorni che avremmo fatto volentieri a meno di vivere, le mie riflessioni sono l’esternazione di un timore. Temo la deriva che sta prendendo il Paese e temo la mia impotenza, quindi cerco, con lo strumento che so usare meglio - le parole - di fare qualcosa.

Il titolo si riferisce a un articolo apparso su D, inserto del sabato di Repubblica. È uno dei pochi articoli leggibili e, guarda caso, non è scritto da un italiano ma di Peter Hossli che, invece di limitarsi a telefonare o a cercare sul Web, è andato a Tent City a parlare con la gente, a guardare come si vive in una tendopoli di Ontario, sobborgo di Los Angeles. Il posto ospita attualmente 200 persone (dopo che l’amministrazione ne ha cacciate 600 perché provenienti da altri stati); sorge su un terreno incolto incuneato tra l'aeroporto e una ferrovia dove transitano continuamente container zeppi di merci provenienti dalla Cina. Gli “abitanti” (senzatetto con 162 $ mensili di sussidio) sono in gran parte lavoratori e colletti bianchi travolti dalla crisi subprime, la cui casa è stata sequestrata o venduta all’asta. L’amministrazione di Los Angeles, per porre un limite al degrado, sta costruendo sul medesimo terreno, un campeggio ancora più "esclusivo" con tendine di plastica tutte uguali, fornite di verandina e disposte ordinatamente a dieci metri una dall'altra. Un’isoletta nell’inferno, già piantonata dai vigilantes, nella quale potranno trasferirsi tre quarti degli attuali campeggiatori abusivi. La versione strapezzente del condominium ballardiano. Riporto un frammento dell’articolo:

Alla condizione di senzatetto David c'è arrivato in gennaio, con l'autobus a lunga percorrenza. Lavorava in Nord Carolina come mulettista e si è rotto la tibia destra. Non essendo assicurato, si è trovato con 40mila dollari di spese mediche da pagare. Ha perso tutto, casa compresa [...] "Il mio sogno americano è andato in pezzi", dice.

Ovvio che noi siamo in Italia e non negli States, e ovvio che qui in periferia - con un’imprenditoria perennemente soccorsa dallo Stato (e quindi finanziata a fondo perduto da noi che paghiamo le tasse), con partiti comunque ancora imbevuti di assistenzialismo cattolico e con la Chiesa in casa - le cose accadrebbero in maniera diversa. O no?

Non temo (non ancora, almeno) per me personalmente, mi chiedo però quanto ci vorrà prima che la povertà diventi tangibile e respirabile. E non mi riferisco alla povertà “lontana”, quella che per la maggior parte di noi riguarda “altri”, ovvero immigrati di varie etnie. Quella la conosciamo, sappiamo che esiste, la vediamo spesso, magari, se svolgiamo certe professioni. Ma - ingiustamente - non la riconosciamo come nostra. Quanto tempo occorrerà perché diventi un affare "nostro"? Perché investa i nostri vicini, quelli del negozio all’angolo, quelli che incontriamo ogni giorno al bar?

Pensiamoci, non ci vorrebbe mica tanto. Basterebbe azzerare la sanità pubblica, la scuola pubblica... 40.000 € di spese mediche, per esempio, si mettono insieme molto in fretta...


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