Questa estate ho letto quello che mi pareva.
Non mi sono impegnata a recensire novità, non mi sono obbligata a leggere saggi, ho preso i libri che mi ispiravano dal mucchio sempre più alto di «libri che voglio leggere» che cresce sui ripiani del mio scaffale/comodino. Una pila che comprende libri nuovi e vecchi, regali del mio consorte, consigli di lettura di mia figlia, volumi ritrovati mettendo ordine nelle librerie di casa, libretti acquistati d'impulso nei mercatini dell'usato. Un po' tutto.
Non mi sono impegnata a recensire novità, non mi sono obbligata a leggere saggi, ho preso i libri che mi ispiravano dal mucchio sempre più alto di «libri che voglio leggere» che cresce sui ripiani del mio scaffale/comodino. Una pila che comprende libri nuovi e vecchi, regali del mio consorte, consigli di lettura di mia figlia, volumi ritrovati mettendo ordine nelle librerie di casa, libretti acquistati d'impulso nei mercatini dell'usato. Un po' tutto.
È stato bello, parlando da lettore ho vissuto un'estate strana e intensa. Non ho
letto più libri del solito, ma mi sono lasciata guidare da una parte
di me a cui ultimamente ho dato poco ascolto. Una curiosità
giovanile, infantile forse, quel desiderio di «scoprire», di non risparmiarmi, che provavo da ragazzina, quando
arraffavo uno dei tanti libri che i miei genitori accumulavano e
disperdevano qua e là in casa, senza ordine, con poco criterio, ma
molta generosità.
Li sceglievo per il titolo, per l'autore – se lo conoscevo, ma spesso lo avevo soltanto sentito nominare – per le illustrazioni – le magnifiche copertine di Karel Thole dei tanti Urania che i miei scambiavano sulle bancarelle... E divoravo con identica avidità i saggi di astronomia e Lupo dei cieli di Hamilton, i romanzi di Raphael Sabatini e I fratelli Karamazov, le poesie di Montale e Cime tempestose, Terre del finimondo di Amado, Furore e i romanzi della biblioteca per signorine di mia nonna.
Li sceglievo per il titolo, per l'autore – se lo conoscevo, ma spesso lo avevo soltanto sentito nominare – per le illustrazioni – le magnifiche copertine di Karel Thole dei tanti Urania che i miei scambiavano sulle bancarelle... E divoravo con identica avidità i saggi di astronomia e Lupo dei cieli di Hamilton, i romanzi di Raphael Sabatini e I fratelli Karamazov, le poesie di Montale e Cime tempestose, Terre del finimondo di Amado, Furore e i romanzi della biblioteca per signorine di mia nonna.
Non
mi importava del giudizio della critica, non ambivo a collezionare
capolavori, riuscivo a trovare qualcosa di valido, o almeno di
curioso, in tutti i volumi, non temevo di commettere sacrilegi lasciando
a metà un Grande Libro per leggerne uno «piccolo». E spesso le storie
che leggevo sembravano parlare tra loro, complottare a mio favore
per suggerirmi riflessioni e nuove strade…
Poi,
lavorando, ho cominciato a disciplinare le mie letture, a negare una
possibilità a quelli che mi erano stati consigliati da lettori con i
quali avevo poca assonanza, a lasciare da parte i romanzi di intrattenimento con prevedibile lieto fine (parafrasando Elton John: sad
stories say so much). A dirmi cose tipo: «i titoli sono
milioni, ragazza, devi fare attenzione, NON PUOI perderti i Grandi Libri!»
Fortunatamente i tempi gloriosi di LibriNuovi cartaceo hanno rianimato il lettore impudente e dissipatore che sonnecchia in me: per anni ho letto di tutto, anche i libri per bambini con l'alibi della maternità (conoscendo personaggi deliziosi, e NON nei libri canonici delle pur belle serie Salani). Ho macinato gialli e horror, ho letto chili di FS e di racconti gotici (e ne ho scritti, o almeno ci ho provato), ho mescolato grandi saggi e piccole storie, romanzi indimenticabili e racconti semplicemente carini.
Fortunatamente i tempi gloriosi di LibriNuovi cartaceo hanno rianimato il lettore impudente e dissipatore che sonnecchia in me: per anni ho letto di tutto, anche i libri per bambini con l'alibi della maternità (conoscendo personaggi deliziosi, e NON nei libri canonici delle pur belle serie Salani). Ho macinato gialli e horror, ho letto chili di FS e di racconti gotici (e ne ho scritti, o almeno ci ho provato), ho mescolato grandi saggi e piccole storie, romanzi indimenticabili e racconti semplicemente carini.
Grandi
momenti, davvero.
Negli ultimi tempi ho nuovamente sentito il richiamo del tempo che passa: «mica divento più giovane... e la pila dei classici è sempre più alta. Devo amministrarmi meglio».
Quest'anno ho gettato la spugna: ho azzerato la pila e rimesso i classici al loro posto. Quando ne sentirò la necessità e il desiderio… so dove stanno. Al posto della pila adesso c'è il mucchio, nel quale i libri in entrata sostano in felice, democratico caos, uno accanto all'altro. Ne ho pescato gialli (però ben scelti dal mio libraio personale), FS, horror, una biografia di Eduard Limonov e un romazo di Ben Pastor. che prima o poi recensirò. Non ho rinunciato al mio solito Simenon estivo, ma l'ho accompagnato con letture grandiosamente scompagnate e…
Sorpresa: loro, i libri, sono andati perfettamente d'accordo e hanno complottato come un tempo, permettendomi accostamenti bizzarri e significativi. Come Strane creature di T. Chevalier e Alle montagne della follia di H.P. Lovecraft) che mi hanno trascinato a compiere la strada che segue, per raggiungere due opere che amo per motivi differenti, un saggio di Stephen J. Gould e un bel racconto incontrato lavorando al volume Alia Anglostorie.
Negli ultimi tempi ho nuovamente sentito il richiamo del tempo che passa: «mica divento più giovane... e la pila dei classici è sempre più alta. Devo amministrarmi meglio».
Quest'anno ho gettato la spugna: ho azzerato la pila e rimesso i classici al loro posto. Quando ne sentirò la necessità e il desiderio… so dove stanno. Al posto della pila adesso c'è il mucchio, nel quale i libri in entrata sostano in felice, democratico caos, uno accanto all'altro. Ne ho pescato gialli (però ben scelti dal mio libraio personale), FS, horror, una biografia di Eduard Limonov e un romazo di Ben Pastor. che prima o poi recensirò. Non ho rinunciato al mio solito Simenon estivo, ma l'ho accompagnato con letture grandiosamente scompagnate e…
Sorpresa: loro, i libri, sono andati perfettamente d'accordo e hanno complottato come un tempo, permettendomi accostamenti bizzarri e significativi. Come Strane creature di T. Chevalier e Alle montagne della follia di H.P. Lovecraft) che mi hanno trascinato a compiere la strada che segue, per raggiungere due opere che amo per motivi differenti, un saggio di Stephen J. Gould e un bel racconto incontrato lavorando al volume Alia Anglostorie.
Dunque, i due libri parlano di fossili. Cominciamo quindi da:
BREVE
STORIA DELLA PALEONTOLOGIA
L'incontro
fra umani e fossili risale a tempi lontani, anche se i nostri
progenitori non ne conoscevano ancora la natura: nell'Olocene, le
popolazioni dell'Età del Bronzo raccoglievano fossili di ricci di
mare e conchiglie per conservarli nelle tombe; in America
centro-meridionale alcune popolazioni utilizzavano denti di squalo
fossili come punte per le frecce.
ricci di mare fossili |
Avicenna (X sec.) immaginò che una vis plastica li avesse formati modellando la materia inerte. Nel Medio Evo cristiano i fossili furono considerati sia «trucchi» di Satana per ingannarci, sia testimonianze del Diluvio Universale: Restoro D’Arezzo (XIII sec.) riconobbe i fossili per resti di organismi trasportati insieme con i sedimenti dalle acque di un diluvio. Altrove i fossili furono considerati più semplicemente strani minerali, formatisi, un po' come le rose del deserto, da granelli cristallini trasportati dal vento.
Il solito strabiliante Leonardo da Vinci (1452-1519), intuì correttamente l'origine marina di certi molluschi cenozoici rinvenuti in Val Padana. Il nome fossile venne assegnato nel XVI secolo dal fisico tedesco Giorgio Bauer, che lo derivò dal latino fodere, scavare.
Il nostro Fabio Colonna (1567-1640) scrisse un piccolo saggio sulle glossopetrae dimostrandone la derivazione da denti di squalo. Un grande contributo diede Niels Stensen (Stenone, 1638-1686), dimostrando non soltanto che i fossili sono resti di organismi vissuti nel passato ma anche che la stratificazione delle rocce è conseguenza della deposizione e solidificazione di sedimenti sospesi in acqua.
Niels Stensen |
Il
grande scoglio alla corretta interpretazione e antichità dei fossili
era. comprensibilmente. la loro diversità dagli organismi attuali e
la loro estinzione, nozioni allora inaccettabili perché
contrastavano con l'opinione corrente che ogni singola parte della
creazione, frutto della saggezza divina, doveva restare uguale a se
stessa, senza mai cambiare o estinguersi. I fossili più difficili da
accettare erano quindi quelli più antichi – paleozoici e mesozoici
– perché più differenti dalla condizione attuale, mentre quelli
più recenti furono a lungo considerati resti di organismi travolti
dal Diluvio Universale.
Mary Anning e il suo cane |
I
tempi, però stavano cambiando: dal XVIII secolo, grazie a Georges
Buffon
(1707-1788) e alla sua Histoire
Naturelle
– impostata sull'evoluzione dei viventi e all'attualismo sostenuto
da James
Hutton
(1726-1797), i naturalisti misero definitivamente in relazione i
fossili con la litologia, comprendendone il valore di testimonianze
della storia della vita sul nostro pianeta.
All'inizio dell'Ottocento, ai tempi di Mary Anning ed Elizabeth Philpot (protagoniste del romanzo di Chevalier), due discipline affini, la biologia evoluzionista e la geologia – allora nella sua «epoca eroica» (1790-1820) – contribuirono, insieme all'ancora incerto studio dei fossili, a gettare le basi della moderna Paleontologia (dal greco logos [discorso], palaios [sugli antichi] e onta [enti]).
In particolare, fu la geologia ad aprire una prospettiva nuova sulla storia del pianeta, compiendo una vera rivoluzione scientifica, paragonabile a quella copernicana, che separò la breve storia dell'umanità da quella, molto più lunga e complessa, del nostro mondo. Una storia suddivisa in lunghi periodi successivi, contraddistinti da forme di vita diverse e oggi estinte, (e da rimarchevoli diversità ambientali) sempre più simili a quelle odierne mano a mano che divenivano più recenti.
La nostra storia comincia
All'inizio dell'Ottocento, ai tempi di Mary Anning ed Elizabeth Philpot (protagoniste del romanzo di Chevalier), due discipline affini, la biologia evoluzionista e la geologia – allora nella sua «epoca eroica» (1790-1820) – contribuirono, insieme all'ancora incerto studio dei fossili, a gettare le basi della moderna Paleontologia (dal greco logos [discorso], palaios [sugli antichi] e onta [enti]).
In particolare, fu la geologia ad aprire una prospettiva nuova sulla storia del pianeta, compiendo una vera rivoluzione scientifica, paragonabile a quella copernicana, che separò la breve storia dell'umanità da quella, molto più lunga e complessa, del nostro mondo. Una storia suddivisa in lunghi periodi successivi, contraddistinti da forme di vita diverse e oggi estinte, (e da rimarchevoli diversità ambientali) sempre più simili a quelle odierne mano a mano che divenivano più recenti.
La nostra storia comincia
Qui
entrano in scena, oltre a Mary ed Elizabeth, alcuni dei personaggi
sviluppati da Tracy Chevalier nel suo romanzo Strane creature
(il titolo è una discreta traduzione
dell'originale Rimarcable creatures). Infatti, durante
la prima metà del XIX secolo, la paleontologia schierò grandi
naturalisti come Georges Cuvier e Jean-Louis-Rodolphe Agassiz, la
cui storia si intreccia con quelle delle due cercatrici di fossili.
Cuvier (1769-1832) è considerato il fondatore dell’anatomia comparata e della paleontologia come scienza, benché negasse l’evoluzione delle specie e spiegasse le differenze fra i resti fossili e gli organismi moderni con una serie di successive estinzioni dovute a cataclismi avvenuti in vaste aree geografiche, in seguito ripopolate da viventi provenienti da altre zone.
Cuvier si dedicò soprattutto alla paleontologia dei vertebrati, ovviando alla difficoltà di trovare esemplari interi con la legge della corrispondenza organica, formulata così, proprio nel 1825:
Cuvier (1769-1832) è considerato il fondatore dell’anatomia comparata e della paleontologia come scienza, benché negasse l’evoluzione delle specie e spiegasse le differenze fra i resti fossili e gli organismi moderni con una serie di successive estinzioni dovute a cataclismi avvenuti in vaste aree geografiche, in seguito ripopolate da viventi provenienti da altre zone.
Cuvier si dedicò soprattutto alla paleontologia dei vertebrati, ovviando alla difficoltà di trovare esemplari interi con la legge della corrispondenza organica, formulata così, proprio nel 1825:
Ogni
individuo organizzato costituisce di per sé un sistema unico e
chiuso, le cui parti corrispondono l'una all'altra e concorrono a
produrre un certo risultato definito, per reazione reciproca [...
Di conseguenza...] cominciando
da ciascun [singolo osso],
chi possieda razionalmente le leggi dell'economia organica, potrebbe
rifare tutto l'animale.
Georges Cuvier |
Una
conclusione molto suggestiva ma eccessivamente fiduciosa,
tanto è vero che le rappresentazioni dei primi grandi sauri fossili
– come l'iguanodonte e il megalosauro – restarono per diversi
decenni decisamente poco accurate: inizialmente furono descritti come
quadrupedi e solo in seguito si scoprì che erano bipedi.
I numerosi fossili di invertebrati (artropodi, molluschi ed echinodermi) rinvenuti in quegli anni erano sicuramente meno spettacolari dei grandi bestioni e regalavano meno notorietà a chi li studiava, ma fornirono le conoscenze che permisero, intorno al 1830, di delineare e mettere in relazione fra loro le formazioni rocciose del pianeta. Anche qui Cuvier, tra gli altri, diede un contributo, rendendosi conto che - per correlare rocce uguali ma distanti - non è sufficiente la composizione mineralogica, occorre affidarsi al contenuto in fossili racchiusi in ogni strato, come spiegò nel 1808:
I numerosi fossili di invertebrati (artropodi, molluschi ed echinodermi) rinvenuti in quegli anni erano sicuramente meno spettacolari dei grandi bestioni e regalavano meno notorietà a chi li studiava, ma fornirono le conoscenze che permisero, intorno al 1830, di delineare e mettere in relazione fra loro le formazioni rocciose del pianeta. Anche qui Cuvier, tra gli altri, diede un contributo, rendendosi conto che - per correlare rocce uguali ma distanti - non è sufficiente la composizione mineralogica, occorre affidarsi al contenuto in fossili racchiusi in ogni strato, come spiegò nel 1808:
...
questi fossili sono generalmente sempre gli stessi negli strati
corrispondenti e presentano differenze di specie abbastanza notevoli
da un sistema di strati a un altro.
Era
l'alba della cronologia stratigrafica e dell'uso dei fossili
guida per identificare l'età dei vari strati della crosta terrestre.
Verso il 1830 una colonna stratigrafica standard era ormai ben
determinata e non suscitava più controversie.
Niente panico: non dovete imparare i nomi, solo farvi un'idea generale:
gli strati di rocce più antiche, con le loro caratteristiche ben precise
e gli eventuali fossili coevi, stanno al di sotto di quelli più recenti
William Buckland è il primo paleontologo a comparire in Strane creature; pagina dopo pagina Chevalier lo presenta ai lettori come uno dei più noti e apprezzati studiosi dell'epoca, un appassionato che intuendo il talento di Mary la scelse come cercatrice di fossili. In effetti Buckland diede – insieme a Henry T. De la Beche (1796-1855), altro personaggio del romanzo – un contributo notevole alla ricostruzione dell'anatomia e della morfologia di varie specie di vertebrati vissuti in quella che fu chiamata «l'era dei rettili».
William Buckland è il primo paleontologo a comparire in Strane creature; pagina dopo pagina Chevalier lo presenta ai lettori come uno dei più noti e apprezzati studiosi dell'epoca, un appassionato che intuendo il talento di Mary la scelse come cercatrice di fossili. In effetti Buckland diede – insieme a Henry T. De la Beche (1796-1855), altro personaggio del romanzo – un contributo notevole alla ricostruzione dell'anatomia e della morfologia di varie specie di vertebrati vissuti in quella che fu chiamata «l'era dei rettili».
William Buckland, 1845 |
In
realtà, Buckland offrì alla scienza anche più di quanto risulti
dal romanzo: convinto che un fossile rappresentasse non solo una
certa specie ma un elemento di un'antica comunità, di fatto
sviluppò una nuova disciplina, la paleoecologia; il suo
scopo era quello di illustrare «la potenza, la sapienza e la bontà
di Dio, manifestata nel Creato». Buckland non riteneva il progresso
una semplice ascesa da creature meno perfette a creature più
perfette: la perfezione era raggiungibile soltanto con l'adattamento
a un particolare ambiente e adattamenti del genere erano evidenti
lungo tutta la storia del pianeta, dai tempi più remoti a quelli più
recenti.
Oltre a un certo numero di collezionisti di fossili in quanto oggetti curiosi (Mary li chiama familiarmente «ninnoli») Tracy Chevalier descrive altri studiosi, come un giovane e simpatico Charles Lyell, il già ricordato De la Beche, il reverendo Conybeare, Louis Agassiz e, inevitabilmente, Georges Cuvier, soffermandosi, tra l'altro proprio sulla querelle scoppiata quando il paleontologo francese criticò (ricredendosi in seguito) il lavoro di Mary Anning sul plesiosauro, che – secondo la sua legge di corrispondenza organica – avrebbe dovuto avere un collo meno lungo e con meno vertebre:
La struttura del plesiosauro in questione non concorda con alcune delle leggi anatomiche scoperte dal barone Cuvier. In particolare, il numero delle vertebre cervicali è troppo numeroso per quel genere di animale. I rettili ne hanno di solito fra tre e otto, mentre la creatura da voi disegnata sembra averne una trentina...
Il romanzo dedica molto spazio alle notevolissime scoperte di Mary, lasciando un po' in ombra la passione di Elizabeth per i pesci fossili.
Oltre a un certo numero di collezionisti di fossili in quanto oggetti curiosi (Mary li chiama familiarmente «ninnoli») Tracy Chevalier descrive altri studiosi, come un giovane e simpatico Charles Lyell, il già ricordato De la Beche, il reverendo Conybeare, Louis Agassiz e, inevitabilmente, Georges Cuvier, soffermandosi, tra l'altro proprio sulla querelle scoppiata quando il paleontologo francese criticò (ricredendosi in seguito) il lavoro di Mary Anning sul plesiosauro, che – secondo la sua legge di corrispondenza organica – avrebbe dovuto avere un collo meno lungo e con meno vertebre:
La struttura del plesiosauro in questione non concorda con alcune delle leggi anatomiche scoperte dal barone Cuvier. In particolare, il numero delle vertebre cervicali è troppo numeroso per quel genere di animale. I rettili ne hanno di solito fra tre e otto, mentre la creatura da voi disegnata sembra averne una trentina...
Il romanzo dedica molto spazio alle notevolissime scoperte di Mary, lasciando un po' in ombra la passione di Elizabeth per i pesci fossili.
Prediligo i pesci fossili, perché la trama delle scaglie e le pinne li accomunano a quelli che mangiamo ogni venerdì, avvicinandoli al presente pur nella loro stranezza.
Pesci
che – tanto per dire – anche Cuvier trascurò un po'. In realtà
in anni in cui i cambiamenti degli organismi venivano considerati
uno «sviluppo progressivo» e non spiegati in chiave evoluzionista,
i pesci fossili erano piuttosto importanti perché comparsi prima dei
rettili e quindi presenti sul pianeta per un lungo tempo geologico.
Qualche anno dopo la storia narrata da Chevalier, Louis Agassiz,
basandosi sulle squame che tanto piacevano ad Elizabeth, introdusse
una nuova classificazione dei pesci antichi in quattro ordini,
Ganoidi e Placoidi – comparsi tra 570 e 250 milioni di anni fa
durante il Paleozoico – e Cicloidi e Ctenoidi – apparsi durante
il Cretaceo, tra 140 milioni e 67 milioni di anni fa – Per quanto
paia una semplice precisazione la questione puntualizzata da Agassiz
era tutt'altro che secondaria e dimostrava che il «progresso»
poteva verificarsi non solo tra le classi di organismi ma anche al
loro interno, tra gli ordini.
Agassiz,
diversamente da Buckland, considerò la successione pesci - rettili
- mammiferi e umani come una sequenza coerente di progressivo
perfezionamento anatomico, voluta dal piano divino per la Creazione
(esattamente come le fasi successive della crescita embrionale di un
singolo organismo). E questo suo punto di vista «idealistico»,
molto differente dall'empirismo di Buckland, lasciò un segno sugli
studiosi successivi.
Louis Agassiz |
Naturalmente
tutti i modelli presentano qualche punto debole. Il punto debole
della definizione tassonomica di progresso fossile sostenuta da Agassiz e da molti altri, consisteva nell'incapacità di spiegare
le irregolarità della documentazione geologica, le anomalie che per
i non addetti ai lavori hanno un significato limitato ma non fanno
dormire gli esperti.
Un primo esempio potrebbe avere come titolo lo strano caso dell'opossum. Reperti di opossum (o didelfide), un piccolo marsupiale, furono scoperti in cave d'ardesia risalenti al Giurassico (200-140 milioni anni fa)l di un villaggio presso Oxford (qui la descrizione di Buckland in traduzione). La presenza dell'opossum sottintendeva che mammiferi primitivi come lui fossero convissuti con i grandi rettili, invece di seguirli e comparire graziosamente durante il Terziario (era Cenozoica), allora ritenuto il posto giusto per loro (in realtà reperti attribuibili a mammiferi marsupiali risalgono circa a 120 milioni di anni fa). Spiegazioni fantasiose vennero escogitate dai fautori del progresso successivo per spiegare la presenza inopportuna dell'opossum: forse il fossile non era proprio stato ritrovato nelle cave d'ardesia? O forse le rocce della cava erano meno antiche? O magari, più semplicemente, la imbarazzante bestiola non era un mammifero ma un rettile, vissuto educatamente nell'era che gli era stata assegnata? La faccenda inquietava notevolmente i paleontologi.
Un primo esempio potrebbe avere come titolo lo strano caso dell'opossum. Reperti di opossum (o didelfide), un piccolo marsupiale, furono scoperti in cave d'ardesia risalenti al Giurassico (200-140 milioni anni fa)l di un villaggio presso Oxford (qui la descrizione di Buckland in traduzione). La presenza dell'opossum sottintendeva che mammiferi primitivi come lui fossero convissuti con i grandi rettili, invece di seguirli e comparire graziosamente durante il Terziario (era Cenozoica), allora ritenuto il posto giusto per loro (in realtà reperti attribuibili a mammiferi marsupiali risalgono circa a 120 milioni di anni fa). Spiegazioni fantasiose vennero escogitate dai fautori del progresso successivo per spiegare la presenza inopportuna dell'opossum: forse il fossile non era proprio stato ritrovato nelle cave d'ardesia? O forse le rocce della cava erano meno antiche? O magari, più semplicemente, la imbarazzante bestiola non era un mammifero ma un rettile, vissuto educatamente nell'era che gli era stata assegnata? La faccenda inquietava notevolmente i paleontologi.
Impronta di fabrosaurus del Triassico |
Ma
è ora di lasciare Mary ed Elizabeth alle loro vicende: le
irregolarità inspiegabili ci offrono l'occasione di cambiare storia.
Opossum e famiglia |
Se
la questione dell'opossum fu all'epoca spiacevole quanto un dito in
un occhio, l'anomalia «pensata» da Lovecraft
nella sua ben nota novella Alle montagne della follia sarebbe
grande almeno quanto un tirannosauro: nientemeno che il rinvenimento
di tracce di vita altamente evoluta letteralmente all'alba del
pianeta, nel cosiddetto Precambriano, ovvero più di 540 milioni di
anni fa. Le conoscenze attuali assegnano a quel lunghissimo periodo
soprattutto un enorme numero di forme di vita batterica e, verso la
fine del periodo, circa 600 milioni di anni fa, le prime tracce di
vita complessa pluricellulare (vedi più avanti). Non solo, nella
novella tali tracce vengono poi rinvenute lungo tutta o quasi la
storia successiva della Terra, fino alle soglie dell'Olocene. Roba da
far risorgere dalla gioia Peter Colosimo e da far quasi morire
d'infarto il dottor Lake, lovecraftiano biologo della spedizione
polare promossa dalla Miskatonic University.
Fedele
al suo stile, Lovecraft ci dimostrerà che per l'infelice Lake
sarebbe stato meglio morire di un colpo piuttosto che affrontare ciò
che il rio destino gli ha riservato.
Ma questa è la storia del prossimo post.
A proposito, anche senza l'aiuto dell'accesa fantasia di H.P. Lovecraft, i fossili del Precambriano possono riservare interessanti sorprese, come questi microscopici fossili trovati nella Formazione di Doushantuo, in Cina. Per saperne di più leggete questo interessante articolo di Laura Berardi
per
un brevissimo corso sui fossili cliccate qui.
Altre informazioni sulla paleontologia nei due siti che seguono, a cui sono debitrice di molte notizie.
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