giovedì 9 aprile 2015

Prima parte

Misteriose felci 

giovani fronde di felce ancora arrtolate

Le felci mi piacciono, mi sono famigliari fin da quando ero piccola e passeggiavo nei boschi con mio padre. Adesso passeggio da sola o, più spesso, con il mio consorte e continuo a fermarmi a osservarle, sfiorarle con le dita, voltare le fronde alla ricerca delle spore. Sono creature interessanti, antichissime eppure, ai loro tempi, molto innovative, e quando insegno un po' di botanica alle mie classi cerco sempre di metterle in bella luce. 
Quando mi sono ritrovata fra le mani Diario di Oaxaca(1), un piccolo libro di viaggio scritto da un appassionato di felci abbastanza insospettabile come Oliver Sacks l'ho letto d'un fiato e mi sono detta: queste creature si meritano un po' di pubblicità "scientifica". E io mi merito di divertirmi un po' a parlarne.
Il risultato è qua di seguito.

Vita da alga
Le alghe campano bene. Quelle unicellulari fanno tutto quanto è necessario nel loro piccolo, ma anche quelle pluricellulari hanno pochi problemi: l'acqua, infatti, le sostiene, trasporta fino a loro l'anidride carbonica e i sali minerali; al resto ci pensa il sole. 

alga rossa: Alimenia
Le alghe, bisogna riconoscerlo, fin dalla loro comparsa (le eucariote unicellulari circa 1,5 miliardi di anni fa, le pluricellulari 700 milioni di anni fa) si sono date un gran daffare, cambiando lentamente la qualità della nostra atmosfera: l'ossigeno è uno dei prodotti della fotosintesi, che per i vegetali – durante la sintesi di glucosio  – è uno scarto. E l'ossigeno, lentamente,  1) ha cominciato ad aumentare nell'atmosfera fino ai livelli attuali, consentendo agli eterotrofi di inserirsi nella catena alimentare terrestre; contemporaneamente 2) ha prodotto (venendo a contatto con la radiazione ultravioletta della luce solare) ozono consentendo, quando la concentrazione di ozono ha raggiunto livelli adeguati, il diffondersi della vita sulla terraferma.
L'attuale percentuale di ossigeno atmosferico del pianeta (21%) sembra un fatt'apposta: sotto il 15% la vita sarebbe estremamente difficile, sopra il 25% basterebbe una piccola “miccia” a provocare esplosioni in presenza di materiali particolarmente infiammabili, per esempio oli e gas.

Alla conquista delle terre emerse
Circa 425 milioni di anni fa i vegetali iniziarono la colonizzazione delle terre emerse, e le cose per loro si fecero davvero difficili. L'alga, dicevamo, non ha bisogno di sostegno, quindi di un fusto non se ne farebbe nulla. Ma per le piante terrestri è tutta un'altra faccenda: sulla terra, la gravità non è contrastata dalla spinta idrostatica, quindi i vegetali pliricellulari avevano due alternative: rimboccarsi le maniche e mettere insieme un fusto, oppure restare sdraiati. 

Briofita
Le prime piante, ovvero le briofite (circa 10.000 specie), hanno scelto la seconda opzione: sono piccole e prive di tessuti vascolari lignificati, cioè non hanno fusto; l'incombenza di assorbire acqua e i sali minerali viene sabrigata dall'intero organismo, per capillarità. Prive di vasi legnosi, non possono contare su un sostegno e invece di svilupparsi in altezza restano di dimensioni ridotte, crescendo in direzione orizzontale.
Particolare interessante, quello che nei muschi, le briofite più evolute, può sembrare un fusticino è il gametofito, cioè la fase aploide (quella che ha solo un cromosoma per tipo invece della solita coppia come la stragrande maggioranza dei pluricellulari).
Tutti i vegetali comparsi dopo le briofite hanno scelto la prima alternativa, dotandosi di un sistema vascolare.
E chi sono state le coraggiose innovatrici? Le pteridofite, ovvero Felci e piante affini.


(1) Diario di Oaxaca, Oliver Sacks, Adelphi biblioteca 630, che ho recensito sulla  rivistaonline LN-LibriNuovi)

Questo post è piuttosto lungo, la pubblicazione continuerà nei prossimi giorni.

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