venerdì 3 agosto 2012

Ricordare a memoria, ma saper dimenticare


Salvador Dalì: Persistenza della memoria
Tra le mie ossessioni «narrative», il tema del ricordo merita il primo o il secondo posto (conteso sul filo di lana a quello della comunicazione/comprensione fra senzienti).
Come ricordiamo? Dove finiscono i ricordi che crediamo di avere smarrito? Come riemergono, improvvisi e vividissimi, sorprendendoci e trascinandoci indietro nel tempo, fino a qualche fatidico allora. E come possiamo salvarci dal ricordo di quel dolore, di quel fallimento, di quel terribile momento vissuto da idioti, come se non avessimo mai imparato nulla? E ciò che scivola sornione nei nostri sogni è la copia confusa di un ricordo vissuto o la rievocazione di un ricordo altrui, regalato da una lettura, un racconto, una canzone? E potremo mai cancellare volontariamente ciò che non abbiamo ancora imparato a sopportare?

Un articolo di  Jerry Adler comparso su Le Scienze (n° 527, Luglio 2012),  mi ha sedotto fin dal titolo: Cancellare i ricordi dolorosi. L'ho letto d'un fiato e mi ha spinto a  documentarmi sulla memoria, sulla riattivazione di un ricordo, sulla possibilità di dimenticare. Ho frugato nella Rete, sugli scaffali delle librerie di casa e nei miei stessi ricordi. Dato che non so,  nemmeno come docente, separare la saggistica dalla narrativa, leggendo ho anche ricordato diversi racconti, romanzi, film che ruotano attorno al ricordo e all'oblio; questo post e la seconda puntata (sull'amnesia e gli stati alterati della memoria) saranno, quindi, miscele piuttosto eterogenee di letture/immagini.
Non mancherà un'ultima parte dedicata a mie riflessioni sulla relazione profonda tra memoria, ricordo e narrazione, non solo come tema o come  tecnica narrativa, ma - più profondamente - come vero e proprio nocciolo del processo narrativo. Sarei davvero contenta di qualche commento in proposito. 
Un'avvertenza: alcuni termini specifici ricorrono più volte; riscriverli ogni volta è noioso, appesantisce la lettura e fa perdere tempo a voi e a me. Userò quindi qualche sigla che vi prego di imparare a memoria. Mantenere allenata la memoria è molto importante perciò imparandole farete soltanto il vostro bene.
Infine una preghiera. nel post ho accennato ad alcune reazioni biochimiche e interazioni cellulari perché sono alla base del processo della memoria. Troverete qualche termine scientifico (RNA, DNA, enzima, roba così), ma non lasciatevi ingannare: non ho la pretesa di fare una lezioncina, voglio semplicemente fornirvi qualche informazione, evocare alcune suggestioni, sollevare qualche problema etico –  insomma ripercorrerò la strada compiuta per informarmi tenendo però al guinzaglio il mio entusiasmo biochimico. Mi rendo conto che ciò che scrivo potrebbe risultare semplicistico e ovvio ai più specializzati e noioso e oscuro  a chi ha invece una preparazione umanistica. Consideriamo i due post una scommessa che spero, se no di vincere, almeno di perdere onorevolmente.

Prima di tutto: che cos'è la memoria?

noi siamo chi siamo soprattutto grazie a quello che ricordiamo della nostra vita. [...] Sogni e ricordi sono l’unico laccio tenace che ci tiene stretti al futuro e al passato: i mattoni portanti della nostra vita. L’io-uomo è quello che ha imparato ad essere con l’apprendimento, con l’interesse, con lo stimolo che la «memoria» ha metabolizzato in una personalità unica e distinta da tutte le altre. Un profumo, un sapore, una musica, una voce, possono riaccendere istantaneamente il bambino che siamo stati, l’adolescente, l’adulto, nella sequenza filmica del nostro passato. Possono tuffarci nelle pieghe stratificate dei ricordi con sensazioni analoghe, senza soluzione di continuità, azzerando il tempo.  

La memoria è la capacità di un organismo di conservare e utilizzare le esperienze passate e utilizzarle in seguito, per fronteggiare eventi successivi. Si esprime con il ricordo che, fisiologicamente, può sbiadire e scomparire. L'amnesia, invece, è un fenomeno patologico.
R. Magritte: La memoria
Senza la memoria, noi umani non potremmo svolgere funzioni superiori come percepire, riconoscere, comprendere e usare il linguaggio, scegliere, pianificare il futuro, risolvere problemi. La memoria collabora strettamente con l'immaginazione: il confronto tra scenari ricordati e scenari immaginati, tra esperienze vissute e obiettivi prefigurati, tra le emozioni e i sentimenti le accompagnano, guida le nostre decisioni future.
Le strutture cerebrali della memoria si formano durante lo sviluppo embrionale e vengono modulate dallo sviluppo e dall'esperienza, quindi siamo animali «programmati» per ricordare; che cosa e come ricorderemo, però, dipende dalle nostre interazioni con l'ambiente, dalla quantità di stimoli, ma anche dalla loro coloritura emotiva.
Ricordare non significa recuperare immagini statiche immagazzinate ma ricostruire un’esperienza trascorsa  in un nuovo contesto, attraverso il rimaneggiamento di mappe neuronali. La nostra identità nasce dalla continua ricostruzione, dal rimodellamento, dal confronto di passato e futuro come varianti di una medesima scena, dalla narrazione di noi a noi stessi, questo intendiamo quando dichiariamo di «aver meglio compreso il nostro passato». 
Naturalmente la rielaborazione del passato può portare all'autoinganno, oppure al congelamento dei nostri ricordi. Quanti di noi offrono una versione ormai statica, non più rivisitabile, delle vecchie esperienze? Forse il fastidio che proviamo per i ricordi narrati duecento volte dal solito parente non derivano dalla ripetizione ma dalla sensazione di avere in mano un'istantanea ormai immodificabile.
Il processo mnestico è costituito da alcune tappe: 1. registrazione; 2. immagazzina- mento; 3. recupero/ rievo- cazione delle informazioni; ognuna è regolata da particolari sistemi collocati in diverse aree corticali (il lobo temporale, alcune regioni frontali e nuclei), nello ippocampo, nel talamo e nel cervello anteriore basale.
Il nostro cervello è composto da miliardi di neuroni (cellule nervose ramificate) collegati tra loro in una rete complessa. Il messaggio viene trasmesso da una cellula nervosa all’altra grazie a mediatori chimici e che agiscono in punti specifici di contatto chiamati sinapsi. Quando i neuroni sensoriali trasportano informazioni, al loro interno si attiva un gene che determina la sintesi di proteine capaci di modificare la sinapsi che lo collega a un altro neurone, generando le vari forme della memoria.
Tutti gli impulsi nervosi che ci arrivano dagli organi di senso circolano nel cervello e – se sono privi di interesse o ricollegabili ad associazioni già presenti, oppure se sovrastati da altre percezioni, come il dolore – nel giro di dieci/venti secondi si perdono nel rumore di fondo, senza essere consolidati nella memoria.
Solo se «rilevanti», le percezioni passano al livello della memoria immediata (MI). Le informazioni si possono comunque salvare dall’estinzione richiamandole entro pochi secondi per associarle a qualche ricordo già immagazzinato.
dal sito http://www.rpolillo.it/faciledausare/Cap.4.htm
Prima del decadi- mento della MI, la  informazione entra nel magazzino della memoria a breve termine (MBT), il quale è legato alla formazione di una matrice di RNA che dura per circa 20 minuti, sciogliendosi poi di nuovo, proprio come un tempo nei processi di stampa l’originale dopo l’uso veniva nuovamente fuso. Entro questo tempo, quindi, l’informazione deve essere già passata alla memoria a lungo termine (MLT) mediante la formazione di certe proteine. La prima di queste proteine, PKMZ (non dimenticatevela, tornerà ancora), modifica altre proteine e così via; alla fine di questa catena viene attivato il Potenziamento a lungo termine (LTP), ossia un processo mediante il quale due neuroni vengono connessi in maniera che si attivino simultaneamente. Ecco che un determinato stimolo viene associato a una particolare esperienza o a un certo pensiero.
La MBT ha una capacità di circa 5 elementi che, non sottoposti a ripetizione, vengono subito perduti. La MLT è ritenuta virtualmente illimitata: ogni informazione che passa dalla MBT alla MLT  trova una collocazione permanente.
La memoria di lavoro (ML) si pone tra la MBT e la MLT, e sembra trattenere «a fuoco» le informazioni per un tempo molto breve, pochi secondi, per consentirne l'analisi, la «lavorazione» e il confronto, è cioè un block notes da utilizzare per la formazione di concetti e per pensare.
La struttura proposta per la ML si articola in almeno tre sottosistemi: centro esecutivo (Central executive) , che collega MLT ad altri due sottosistemi. il block notes visuospaziale (Sketchpad), associato all’emisfero destro e specializzato nel trattenere l'informazione visuospaziale e il circuito fonologico (Phonological loop), formato da un magazzino di informazioni acustiche a breve termine, accoppiato a un processo di ripetizione articolatoria.
Il centro esecutivo sarebbe responsabile della selezione ed esecuzione delle strategie spostando l’attenzione a seconda delle esigenze. Svolge anche la funzione di supervisore, attivo quando occorre superare schemi mentali inadeguati in una certa situazione e coordina  informazioni provenienti da fonti diverse.
Insomma, ricordare è una faccenda molto complicata.

Quando diciamo «imprimiti questo nella mente», non siamo troppo lontani dal vero: la memoria durevole non è  un flusso elettrico permanente ma una sorta di incisione, l'engramma.
Alla base della memoria a lungo temine c'è una vera modificazione fisiologica che consiste in cambiamenti delle microstrutture delle sinapsi. Gli engrammi sarebbero la «impronta» di tutte queste modificazioni sinaptiche. Quando questa impronta viene riattivata porta alla formazione di impulsi che sono copie di quelli responsabili dell’esperienza originale, cioè al ricordo.
Non esiste un centro neuronale unico della memoria, la traccia mnestica è «distribuita»: molti distretti del sistema nervoso partecipano all’immagazzinamento di una determinata informazione; l’engramma, però, è «localizzato» perché solo determinate tracce sono implicate nella codificazione mnemonica di un certo evento. e ciascuna di esse partecipa in maniera differente all'impronta globale.
dal Corriere della sera
Esistono vari tipi di MLT:
La memoria esplicita (dichiarativa): com- prende la memoria semantica (dei fatti) ed episodica (degli eventi). La prima riguarda conoscenze generali, condivise dalla collettività e si esprime attraverso affermazioni, nomi, definizioni, brevi frasi; la seconda è invece fortemente legata al contesto (chi, dove, come, quando) e ha una forte componente autobiografica, (auto)narrativa, di costruzione del sé.
In conclusione la memoria semantica accumula informazioni provenienti da numerosi episodi, riflette la nostra capacità di valutarli globalmente, estraendone le caratteristiche comuni, mentre la memoria episodica rappresenta la capacità di estrarre e recuperare un singolo evento dall’insieme.
La memoria implicita, suddivisa in procedurale (quella che ci permette, per esempio, di ricordare come si guida l'auto o si suona uno strumento musicale o si pratica uno sport) – quella che noi indichiamo come «automatica» e che, se lesa, rende difficoltosi gesti quotidiani come vestirsi – e semantica (che permette di fissare concetti astratti). La memoria implicita è anche coinvolta in quei processi in cui noi inconsapevolmente attribuiamo a un certo evento un significato ansiogeno o spaventoso perché portatore di stimoli (suoni, immagini) collegati nella nostra mente a situazioni nelle quali abbiamo provato ansia o paura.
Proprio questo è il tipo di memoria che descrive Jerry Adler. 

Ricordi che fanno male
Purtroppo se noi siamo i nostri ricordi,  alcuni di essi ci tengono in letteralmente in ostaggio: un veterano di guerra, ad esempio, può soffrire di PTSD (disturbo post-traumatico da stress), associando stimoli come spazi aperti, rumori intensi e improvvisi, folle, con il dolore e la paura provati in combattimento.
Base militare di Nassiriya dopo l'attacco
Questo disturbo incide pesantemente sulla vita quotidiana dei reduci; negli Stati Uniti, la percentuale di colpiti pare oscillare tra il 20 e il 40% dei reduci; in  Italia i casi dichiarati sono 2 o 3 l'anno, ma leggetevi questa  inchiesta.
Partiamo allora da un qualunque veterano, chiamiamolo John. 
Per condurre una vita normale, John deve riscoprire che gli stimoli collegati al suo ferimento – spazi aperti, fragori, urla improvvise, rumori di motori in avvicinamento o di elicotteri in volo – nella vita quotidiana alla quale è fortunatamente ritornato NON sono associati a situazioni di pericolo. Per farcela John ha diverse possibilità:
1. Autorizzare la manipolazione del proprio cervello:
occorre lavorare  a livello dell'ippocampo, dove si formano e sono archiviate le memorie riguardanti i luoghi; in esperimenti condotti su topi, l'iniezione nell'ippocampo di una sostanza denominata ZIP cancella la «paura» associata a una certo stimolo. ZIP è un antagonista di PKMZ (rieccola!), la proteina che attiva il potenziamento a lungo termine. ZIP, in pratica, sconnette i neuroni connessi durante il potenziamento.
Ma se io fossi John non accetterei, perché ZIP è efficace ma non specifico: dal punto di vista biochimico un ricordo cattivo non è diverso da un ricordo buono e ZIP potrebbe combinare dei bei pasticci (infatti nessuno si sogna di autorizzare la sua  sperimentazione sugli esseri umani).
Che fare, quindi? Bisognerebbe contrastare il passaggio dalla MBT alla MLT, tenendo conto che i ricordi a lungo termine sono spesso quelli a maggior impatto emotivo: probabilmente ricordate molto meglio ciò che avete mangiato (o NON mangiato) durante la cena in cui il/la vostro/a ex vi ha dato il benservito. Ben difficilmente, invece i ricordate che cosa avete ingoiato, oltre alla noia, durante lo sciagurato pranzo organizzato dai vostri condomini lo scorso anno. Bene, mentre Lui/Lei vi stava piantando in asso, voi stavate producendo una palata di noradrenalina, un neurotrasmettitore che favorisce la sintesi proteica nei neuroni dell'amigdala. Per impedire a quella sciaguarata cena di diventare un ricordo doloroso, dovrebbe andare bene qualunque sostanza che abbassi la concentrazione di noradrenalina: la più nota è il propranololo, un beta bloccante usato dagli artisti per controllare l'ansia da palcoscenico e dagli ipertesi per abbassare la pressione. Ma quando occorre somministrarlo? La finestra temporale è di poche ore, dopo il riccordo sarà ormai stabilmente immagazzinato nella MLT. 
Questa possibilità è stata utilizzata circa nel 2002 da uno studioso che ha somministrato il propranololo ad alcune vittime di incidenti stradali o di aggressioni. Inizialmente il farmaco – che NON cancella il ricordo ma solo la sua valenza emotiva negativa, lasciandone intatta la memoria – aveva fatto ben sperare, ma uno studio successivo e su ampia scala  ha smorzato gli entusiasmi.

2. Migliorare l'estinzione:
Arag
di solito un ricordo prima o poi sbiadisce. Ma un ricordo doloroso, carico di coloriture emotive, ansia, dolore e paura, permane per lunghissimo tempo, anzi ogni nuova rievocazione lo fissa con maggiore forza. Si tratta di un meccanismo raffinato di sopravvivenza: fino a che il ricordo di un pericolo o di un dolore permane, noi faremo di tutto per evitare di metterci in analoghe situazioni. Si è quindi pensato a un trattamento simile a quello utilizzato per le fobie: hai paura dei ragni? Be', prima ti mostrano la parola: RAGNO. Poi ti fanno vedere l'immagine del caro aracnide, poi te ne fanno vedere una più grande, poi ti chiedono di tenere in mano un modesto ma ben vivo vivo ragno nostrano e via così. Alla fine, immagino, ti  presentano ad Aragog, il ragnone amico di Harry Potter.
Per il trattamento del PTSD è estremamente utile la realtà virtuale: scenario di guerra, spari, scoppi, perfino effluvi di polvere da sparo e sudore. Così il trattamento si spinge fino all'amigdala, alla quale comunica: «niente di tutto questo è una minaccia». Ma non basta. I neuroscienziati si sono resi conto che l'estinzione non consiste nella cancellazione di un ricordo ma nel consolidamento di un ricordo nuovo, «sicuro», che entra in competizione con quello del trauma. Intendiamoci, in situazioni di stress – per esempio in un nuovo ambiente – gli stimoli originari riportano a galla il ricordo del trauma, che quindi non è affatto estinto. Il consolidamento del nuovo ricordo sicuro, può essere accelerato con l'utilizzo di una sostanza (cicloserina) che attiva il suo potenziamento a lungo termine.

3. modificare la memoria: 
ricordate la famosa finestra temporale di cui abbiamo parlato a proposito del propranololo? Bene, perché invece di usare farmaci non cercare di lavorare durante quel lasso di tempo necessario al consolidamento del ricordo?
Immaginiamo che il complesso delle nostre memorie e dei ricordi che contengono non sia un libro scritto dalla prima all'ultima pagina e immodificabile, ma il disco rigido di un PC, dal quale richiamare e modificare i file (ricordi) archiviati ma ancora «labili», prima che vengano consolidati. Dal punto di vista evolutivo, questo limbo in cui i ricordi vengono lasciati per alcune ore prima di essere definitivamente fissati, potrebba servire ad aggiornarli con altre informazioni. 
Adrenal gland = gh. surrenale; kidney = rene
Esistono sostanze che in grado di bloccare il consolidamento dei ricordi? Sì. il cortisolo, prodotto dalla cortex delle ghiandole surrenali è un ormone coinvolto nella formazione di ricordi ad alto livello emotivo; non per niente è chiamato «ormone dello stress» – stress vero, da trauma fisico profondo o da paura terribile, non stress da capufficio. Bene, il metopirone è un antagonista del cortisolo, in pratica ne inibisce la sintesi. Anche il propranololo promette bene. Lo studio sugli esseri umani è comunque appena appena all'inizio.

Questioni di etica
1) Noi siamo i nostri ricordi…
Supponendo che esista un metodo sicuro, selettivo ed efficace, voi vi fareste modificare i ricordi o almeno modificare la vostra reazione in proposito? Come si dice: questo ricordo è un bastardo. Ma è il mio bastardo… Che cosa sarei, io, se cancellassi qualcuno dei miei ricordi? Questo è il primo problema.
2) Ma, e le mie emozioni?
La prima volta che abbiamo parlato del propranololo, abbiamo visto che è in grado non di cancellare il ricordo ma di eleminarne la coloritura emotiva. Il fatto che essere sopravvissuto per un pelo a un attentato non vi faccia più né caldo né freddo, potrebbe compromettere la vostra integrità psicologica? Oppure essere costretti a rintanarvi nel buco più lontano ogni volta che udite un forte fragore è una compromissione molto più dolorosa e debilitante di voi stessi? Fa riflettere il commento di James McGaugh, studioso dell'Università della California [1] sul fatto che le vittime di PTSD

si sentano dire in continuazione «ma dai, vedrai che passerà». Questo va bene e somministrare un farmaco no? E perché mai?

Perché  sperare che il ricordo sbiadisca e la valenza emotiva trascolor0 dovrebbe essere più accettabile mentre del fornire (con l'accordo informato del paziente) un farmaco che ottenga il medesimo risultato in molto meno tempo? Con questo tipo di ragionamento saremmo ancora qui a operare senza anestesia e a partorire senza epidurale. O no?

Questioni da legulei
A un altro aspetto, sollevato da Adler, io francamente non avrei mai e poi mai pensato. Lo metto in scena, invece di riportare le sue parole, solo per variare un po' il tono troppo didattico di questo post:
Stiamo assistendo a un processo, uno di quelli da thriller forense, sul tipo di The good wife (noioso perché infestato dai drammi sentimental-sessuali dei vari avvocati); si tratta di un caso di stupro: i rappresentanti dell'accusa e della difesa cercano ognuno di trascinare la giuria dalla propria parte. L'accusa, elegante e grintosa come Alicia Good/Julianna Margulies, chiama  a deporre la vittima; la difesa trema, queste testimonianze in diretta fanno sempre presa sulla giuria. Alicia  chiede alla testimone di rievocare l'aggressione e le proprie emozioni. La vittima, che ha  subito tempestivamente (durante la famosa finestra temporale) un trattamento contro il PTSD, allinea un fatto dopo l'altro – lui mi ha aggredito, io ho cercato di difendermi, allora lui mi ha minacciato, picchiato…  – parla tranquilla, precisa e efficiente; «sì, è lui», conclude e indica l'accusato senza un battito di ciglio o un tremito nella voce. Il ricordo è vividissimo ma  la coloritura emotiva è andata persa.
Come reagirà la giuria? E come avrebbe reagito, invece, di fronte a una vittima in lacrime, indignata, spaventata? Eh già. L'accusa si trova per le mani un testimone affidabile ma emotivamente inutile. D'altra parte, una vittima traumatizzata non è emotivamente equilibrata, bensì sopra le righe, nelle condizioni anomale associate al ricordo del trauma.  Un bel dilemma etico, che francamente io – come molti di voi, immagino – risolverei considerando che, se ad alterare emotivamente la vittima fosse stato l'accusato, mangerebbe semplicemente il piatto che si è cucinato. Ma se non lo fosse? 

Comunque, la scelta di manipolare la memoria in qualsiasi modo – con farmaci, tecniche varie o trattamenti psicologici - è davvero discutibile, nel senso che andrebbe dibattuta a lungo. Probabilmente è impossibile stabilire regole adeguate a ogni singolo caso. Soltanto il paziente potrebbe dare il proprio assenso informato. I neuroscienziati e gli studiosi di etica dovrebbero limitarsi a spiegare e ad assicurarsi che la vittima del PTSD abbia afferrato chiaramente tutti gli aspetti della questione. Ma riuscirebbe la vittima a immaginare fino in fondo le alternative, le conseguenze della propria scelta?

Ti racconto i tuoi ricordi…
Come autore, ma soprattutto come lettore, mi interrogo spesso su che cosa accada veramente quando qualcuno scrive una storia e un altro chiunque, sconosciuto e lontano, la legge. Come fanno, quelle lunghe file di parole che diventano  frasi, periodi, paragrafi, capitoli… a divenire vite ed emozioni  di gente che molto spesso non esiste al di fuori della nostra mente di scrittori/lettori? A evocare mondi lontani, persi nel passato, nel presente e nel futuro? A farci entrare in mondi famigliari, che sono quasi il nostro,  eppure non lo sono perché ospitano creature virtuali, vive soltanto dentro  di noi?
La narrazione, a ben pensarci, è un processo complesso e sofisticato, un miracolo che solo i senzienti sono capaci di compiere. Se il ricordo è uno dei più stupefacenti risultati della lotta contro l'entropia, la narrazione è sicuramente il suo apice.
Fragonard: Donna che legge
Pensate a uno scrittore che vi abbia davvero emozionato, che vi tocchi in profondità, che sia davvero in consonanza con voi. Un autore che vi abbia fatto pensare «sembra che l'abbia scritto per me» - «Se ne fossi capace, potrei averle scritte io queste pagine» - «Non sapevo di provare questa emozione, ma è vera, mia, la comprendo e la riconosco».
Uno scrittore in gamba, un virtuoso della parola, uno che sa bilanciare perfettamente ingredienti, emozioni, ritmo. Certo. Ma, al di là della padronanza della tecnica (che, a vari gradi, è indispensabile), come avrà fatto, questo estraneo,  a toccarvi tanto da vicino, a entrare così tanto dentro di voi?
Sicuramente una storia è una specie di patto tra chi la racconta e chi la ascolta. Questo patto è esplicito nella  narrativa fantastica, perché chi la scrive chiede al lettore (consenziente) di «credere» all'incredibile, o almeno al fortemente improbabile, al non dimostrato. Ma questa  collaborazione  è sempre indispensabile: è chi legge che ci mette i ricordi, non chi scrive. Chi scrive evoca i propri, fa del suo meglio per tradurre in parole la coloritura emotiva che è loro associata. Ma a voi che leggete, a meno di una improbabile coincidenza, quelle parole non evocheranno  alcuna associazione, perché il famoso engramma è impresso nella mente dell'autore, non nella vostra. Se proprio andrà bene, le parole dell'autore diventeranno forse un nuovo ricordo. 
E allora come fa, il nostro autore a cogliere nel segno? Grazie alla magnifica arte dell'ambiguità: se non pretenderà di essere troppo preciso e circostanziato, se troverà parole  sufficientemente (e magnificamente) ambigue e nebulose da evocare un ricordo simile, assonante nella vostra mente, la magia sarà compiuta.  La precisione quasi chirurgica con la quale i grandi scrittori trovano le parole, quelle adeguate, funzionanti   in maniera diversa per ognuno dei  suoi lettori, è frutto di una meravigliosa ambiguità e vive, letteralmente vampirizza i vostri ricordi: l'autore può solo fornire lo stimolo chiave, la coloritura emotiva è vostra.
Faccio un esempio fresco fresco: sto leggendo La sindrome di Rasputin, un delizioso romanzo breve di Ricardo Romero che mi riservo di recensire sul blog LN out of print. I protagonisti sono tre persone di età differenti (un giovane dj, un impiegato e un guardiano notturno che, in una odierna  e notturna Buenos Aires, sono costretti a improvvisarsi investigatori.  I tre sono «amici» in quanto tutti  affetti da Sindrome di Tourette, accomunati da tic, manie e reazioni difficili nei confronti della gente. Insomma, le loro esperienze e le mie sono diversissime. 
Van Goch, Notte stellata
In una delle mie scene preferite, l'impiegato, scaraventato da una finestra, atterra miracolosamente di schiena sul tetto di un autobus che continua la sua corsa e pesto, con le ossa fratturate e la convinzione di morire di lì a poco, prova una vera catarsi nel contemplare il cielo notturno, con la sensazione di cadervi dentro.
Mai accaduto a me, giuro. Eppure ho provato un'assonanza profonda. Era perfetta così e non ho nessuna intenzione di provare a spiegarmela. Al massimo posso ricordare una notte, in campeggio, sdraiata su una coperta a guardare il cielo, o un film visto da bambina con un tizio che guardava il cielo da una zattera… o io che riposo sdraiata su un masso piatto, in un bosco… Del resto non so. Non ricordo. Eppure ri-conosco. Ri-suono. Romero ci ha messo molto – il tocco leggero, la costruzione ottimale che ha condotto a quella catarsi, l'amore per il cielo di notte, la solitudine definitiva e perfetta e chissà che altro – ma anche io ho fatto la mia parte. È stata una buona collaborazione.

Questo vale per la narrazione in generale.
Ma ci sono romanzi, racconti, film, quadri, basati proprio sul tema del ricordo, del bisogno di ricordare, della necessità di dimenticare.
Il primo racconto che mi viene in mente è Reincantamento [2], un bel racconto di Vittorio Catani, che tratta proprio della qualità del ricordo e del bisogno di dimenticare. Non ne racconterò la trama, perché è una costruzione sapiente e ben dosata che svela piano piano vari livelli di realtà e non intendo bruciarla in poche righe; merita davvero una lettura.
Il secondo racconto si basa su un altro dei miei must, il potere evocativo degli oggetti, il loro ruolo di testimoni muti delle nostre vite, la loro capacità di farci immaginare le vite degli altri. … Si intitola Il mondo delle cose e, insieme ad altri racconti decisamente belli, fa parte dell'antologia omonima  di Michael  Zadoorian pubblicata in Italia da Marcos y marcos.  A raccontare la storia è un collezionista compulsivo di oggetti anni Sessanta che, alla morte della madre, si trova a dover sgomberare la casa di famiglia, piena proprio delle cose di cui è appassionato. Improvvisamente gli oggetti che ha sempre desiderato con la passione fredda del collezionista diventano testimoni della vita di  famiglia, ognuno unico, ognuno insostituibile, oggetti troppo preziosi per disfarsene ma troppo intensi da tollerare.

La casa di un genitore è un campo minato di emozioni, nascoste nel solido terreno dei ricordi [… mi sento in colpa per tutto ciò che finisce tra le cose da buttare, ma anche per le cose che decidiamo di tenere. 

Il terzo, Morire dentro di Robert Silverberg, è un romanzo di fantascienza apparentemente poco pertinente con il nostro tema, e che amo soprattutto perché esplora l'altra mia ossessione narrativa, la comunicazione fra esseri umani. Ripubblicato qualche anno fa da Fazi editore, è la storia, ricostruita a flashback, di un telepate, sperso fra milioni di umani di una grande città americana degli anni Settanta. Quel talento ha plasmato tutta la sua vita, rendendolo prima un ragazzino strano, poi un adolescente disadattato che non riesce a instaurare relazioni  profonde; da adulto è diventato un afasico emotivo, ubriaco delle emozioni e  dei pensieri altrui, incapace di amare una donna e di affidarsi a lei perché  stordito dal riverbero delle sue  emozioni. Emarginato e privo di amici, dovrà imparare a sopportare anche il tramonto del proprio dono avvelenato. Il tema del ricordo è toccato in tutto il romanzo e costituisce il nocciolo del suo acme. 
La lista sarebbe lunghissima e vorrei citare titoli meno conosciuti e autori di genere (FS e noir sono i più promettenti), perché spesso riservano sorprese e punti di vista inconsueti. Tanto per dire  mi ricordo  I labirinti della memoria, primo di  otto racconti di P.K. Dick, nell'antologia omonima, e Total Recall, (Ricordi in vendita) sempre di Dick, nei quali i temi del ricordo e  della sua cancellazione sono collegati con lo strapotere economico  e la perdita di identità (temi che Dick ha esplorato in maniera quasi ossessiva. Un tema molto simile torna anche in Filmini casalinghi di Mary Rosenblum, un racconto inserito nella antologia  Controrealtà che recensirò quanto prima.  
Basta. Ho ancora un buon numero di titoli, alcuni me li riservo per la prossima puntata, altri magari li aggiungerò più avanti. Se vorrete collaborare sarete i benvenuti.


Per quanto riguarda i film, credo che il primo che abbia incontrato, diversi decenni fa, fosse Io ti salverò di Alfred Hitchcock, con Gergory Peck affascinante smemorato e Ingrid Bergman, bella psicanalista intenzionata a salvarlo dall'amnesia e da un'accusa di omicidio. Avevo meno di dieci anni e vidi il film in TV, come molti altri noir d'antan. I miei erano appassionati del genere e li rivedevano volentieri, spiegandomi parcamente i passaggi più complessi. Io ti salverò è famoso per l'episodio del sogno dell'amnesico, inquietante grazie alla collaborazione di Salvador Dalí. Immagino che ai giorni nostri una pellicola – che potremmo definire sorpassata e superficiale nella rappresentazione dell'inconscio indagato dalla psicoanalisi – così inquietante verrebbe classificata per «minori accompagnati» e i miei sarebbero tacciati di  incoscienza. Io li ringrazio per avermi introdotto a un mondo virtuale così promettente e suggestivo.
Due film legati al tema del ricordo sono ispirati, più o meno fedelmente, ai due racconti di Dick che ho citato, rispettivamente:

Paycheck di Jon Woo 




e Total recall  di Paul Verhoeven 


Nel recente Inception di Christopher Nolan, realtà, ricordo, immaginazione, sogno e condivisione sono fittamente intrecciati. Nonostante alcuni difetti è di ampio respiro e di grande suggestione e pone tra l'altro il tema interessante dei pericoli (e della bellezza) di una comunicazione a due quasi esclusiva. 


 
Fine. Per ora.

1. (cit. Jerry Adler, le Scienze luglio 2012)
2. in Fata Morgana 8: FANTASMI, rimorsi, assenze, oblio - CS Libri. 2004.

Bibliografia e siti interessanti

un ricco dossier, con un grazie al dr. Giuseppe Giunta, psichiatra, che l'ha reso disponibile


conferma della possibilità, almeno teorica,  di eliminare i ricordi dolorosi

Questo primo post sulla memoria  è dedicato a M. e M. prime cavie delle mie pensate, con un grazie per le belle chiacchierate a 360 gradi.

11 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Accidenti! Ho tanto da imparare da te, credimi.

Romina Tamerici ha detto...

Ho letto tutto con grande interesse! Davvero un bellissimo post dai testi alle immagini, dalle citazioni ai trailler tutti molto attinenti e degni di riflessione.

Il tema della memoria mi interessa particolarmente. Mi sono chiesta anch'io più volte se vorrei cancellare dei brutti ricordi (se fosse possibile) e mi sono sempre risposta di no. Non si tratta di masochismo, ma ogni ricordo (anche se brutto) ci rende ciò che siamo oggi.

Non sapevo che si potesse cancellare anche solo l'emozione collegata al ricordo, ma credo che anche questa sia una possibilità da escludere a livello etico, perché le emozioni sono la cosa che ci rende vivi ed è meglio sopportare una sofferenza piuttosto che poterla descrivere con freddezza come se l'avessimo vista solo negli occhi di un'altra persona. Insomma, per dirla alla Matrix, io sono in favore della pillola rossa! Sapere la verità e scavare nel prorio passato per trovare le cause dei problemi. Rimuoverli in realtà non credo risolva le loro conseguenze.

Ci sarebbero tante cose da dire ancora, ma taccio perché dopo il tuo discorso non sento di poter essere all'altezza.

Bravissima! Non vedo l'ora di leggere la seconda parte!

S_3ves ha detto...

Grazie Nick e grazie Romina, siete troppo gentili! Il tema della memoria è davvero infinito, mano a mano che leggo Le scienze.it, per esempio (sito che - a chi ama la FS o semplicemente vuole tenersi al corrente - offre un sacco di spunti), trovo articoli che suggeriscono nuove possibilità di intervento e manipolazione sui ricordi. Roba inquietante. Ma sono d'accordo con Romina: i ricordi sono la nostra vita e il nostro io, cancellarli è come mutilare noi stessi. Anche se non so come mi comporterei se fossi al posto di certi veterani di guerra.

Romina Tamerici ha detto...

A proposito di ricordi di veterani di guerra e problemi di memoria, proprio ieri ho visto il film "Beautiful Dreamer" e ho pensato di segnalartelo. Non aspettarti però cose troppo scientifiche.

S_3ves ha detto...

Grazie per la segnalazione, Romina! Me l'ero perso,in effetti: a volte mi faccio un'idea sbagliata sui film in base al titolo (pessima idea, poi, visto che a volte li cambiano nella versione italiana). In questo caso mi ero fermata al titolo in inglese, perdendomi la parola "memoria". Cercherò di recuperarlo.

Romina Tamerici ha detto...

Questo è uno dei rari casi in cui il titolo italiano è più sensato di quello inglese, in effetti.

Oggi metto il tuo blog nel blogroll così non mi perdo più i tuoi post. Non posso aspettare sempre di leggere l'avviso su "Fronte e Retro"!

S_3ves ha detto...

Lusingata! Io farò altrettanto.

Romina Tamerici ha detto...

Grazie (ho visto il link al mio blog). Io sono veramente contenta di aver inserito il tuo blog nel mio blogroll perché così oggi non mi sono persa il secondo post sulla memoria, che ho già letto e commentato. Il tuo blog mi piace proprio!

Unknown ha detto...

ho scoperto oggi il tuo blog e questo post mi è piaciuto moltissimo, davvero interessante.

Visto che mi sembri piuttosto ferrata in materia di memoria, mi sai dire (o conosci qualche fonte, web o cartacea, che posso consultare) se ciò che si è appreso nel corso del tempo potrebbe essere perso per sempre e non poter più essere recuperato dalla nostra memoria?

Ti faccio un esempio: io sono appassionata di lettura fin da bambina. Fino a che studiavo (quindi fino alla laurea), non ho mai avuto problemi a ricordare quanto studiato e le mie letture in generale.

Successivamente, poco alla volta (è stato un processo lentissimo), mi sono resa conto che quello che leggo o anche i film che guardo, non riesco a ricordarli. Ma non a distanza di anni, anche nel giro di poche ore.
Non so (ed è anche questo che vorrei approfondire) se è un problema di memoria che non funziona più oppure se di distrazione. Mi accorgo che già mentre leggo la mia mente inizia a vagare perché magari una frase mi ha evocato qualcosa (idem durante un film) ma i miei occhi continuano con la lettura e ovviamente quanto torno anche con la testa sulla pagina non ricordo nulla delle righe precedenti perché mi ero "assentata".

Inoltre mi rendo conto che di tutto quello che ho studiato e di tutti i libri che ho letto in passato non ricordo quasi nulla. Questo mi addolora (ti assicuro che il termine non è esagerato) e inoltre man mano mi ha fatto perdere il piacere della lettura, senza contare il fatto che mi sento terribilmente ignorante e quindi preferisco non partecipare mai alle conversazioni perché ho magari dei flash su qualcosa che ho letto ma non sono in grado di citare la fonte né di argomentare.

Mi piacerebbe sapere perché mi succede tutto questo, se posso recuperare tutto il patrimonio culturale che avevo e se ci sono tecniche per migliorare la situazione. Ho trovato alcune memotecniche ma funzionano più che altro per ricordare liste o numeri di telefono...

scusa se mi sono dilungata

grazie
Raffaella

S_3ves ha detto...

Cara Raffaella, ho appena letto il tuo commento. Innanzitutto ti ringrazio, perché sollevi un problema estremamente importante per tutti i lettori e le persone che studiano e si informano, me compresa. Francamente, voglio pensarci su bene prima di scrivere una risposta per non rischiare di essere banale e superficiale. Ti risponderò fra qualche giorno, o sul blog o, se preferisci, sulla tua posta. Per adesso grazie e a presto.

S_3ves ha detto...

@ Raffaella. Bella domanda, davvero. Dimenticare, o almeno non riuscire a recuperare il ricordo di una certa informazione (personale, letta, ascoltata, vista al cinema), è un'esperienza comunissima, come posso testimoniare di persona e per sentito dire da parenti e amici. Da quanto ho letto per scrivere il post, in realtà nessun ricordo va mai completamente perduto, ne restano tracce nella mente, "appese" a qualche chiodo. Il problema quindi è "dove si trova il chiodo?"
Però - sempre da quanto ho letto e poi inserito nel post - prima di appendere il ricordo al chiodo, occorre superare una serie di livelli: memoria immediata, salvataggio dall'estinzione, memoria a breve termine, associazione con un ricordo già presente, passaggio alla memoria di lavoro e poi a quella a lungo termine. Insomma, per farla breve, il nuovo ricordo si fissa bene solo se ci sono già altri ricordi in qualche modo correlati, simili. Inoltre, il ricordo passa nella memoria a lungo termine grazie alla sintesi di alcune proteine e – grazie alle proteine - costruendo una sorta di “impronta” (engramma) che è la somma delle modificazioni delle sinapsi (cioè dei punti di contatto) fra i neuroni. Occorre poi perché il ricordo non sbiadisca, che venga spesso “rivisitato”; questa è un'altra faccenda complicata: l'impronta viene riattivata quando si presenta un ricordo in qualche modo simile, (per luci, odori, parole, stati d'animo ecc.). In poche parole più il ricordo è stato coinvolgente, importante, legato alle percezioni di più organi di senso, più ha occasioni di essere rivisitato e sempre più fissato. Quando non riusciamo più a ricordare quanto abbiamo visto al cinema o letto o studiato, quindi, dovremmo chiederci se e quanto quel contenuto ci abbia “colpito”, probabilmente meno lo ricordiamo e meno è stato interessante per noi. Poi c'è la “rivisitazione” dovuta al lavoro: io per esempio ricordo benissimo un gran numero di procedure matematiche perché o le insegno ai miei alunni delle medie o mi è capitato di riprenderle in mano con mia figlia quando frequentava il liceo. Quindi ricordo il contenuto, ma non ricordo assolutamente più l'esatto contento nel quale mi sono state insegnate a scuola: chi mai mi ha parlato per la prima volta di numeri periodici? In quale giorno, che tempo faceva, come mi sentivo allora? Boh.
In conclusione, penso sia impossibile ricordare bene tutto il nostro “patrimonio culturale”, come ben scrivi tu. A pensarci è davvero triste, ci si senti defraudati delle tante ore dedicate ad accrescerlo. Io però mi consolo pensando che: 1) orse un bel po' delle tante cose che ho dimenticato non erano così significative per me, tanto è vero che non le ho rivisitate spesso (altrimenti le ricorderei); 2) che molto probabilmente una parte della mia mente le ricorda ancora, anche se non riesco più a trovare il famoso chiodo. Anche quei ricordi riemergono, probabilmente, in sogni (che poi non ricordiamo, costituiscono un substrato che ci ha mano a mano cambiato e che ci ha resi come siamo.
Ciao, torna a trovarmi e grazie per il tuo intervento, mi ha fatto pensare.

LEGGERE INSIEME

Ieri sera, 2 ottobre 2023, è iniziata la seconda stagione del club di lettura di Solarpunk Italia, dedicata alla New Wave.  Sul link al fond...